DI ALBERTO CONTI
“Cristina Kirchner ha ricordato il primo discorso di Nestor all’Assemblea Generale dell’ONU nel 2003, in cui disse che all’Argentina bisogna permettere di crescere, perché non aveva mai sentito di morti che possono pagare i loro debiti.”
Questa importante ovvietà, censurata dalla “cultura del Washington consensus” che imperversa ancor oggi perfino in Europa, mi consente di evidenziare la relazione con un’ovvietà simmetrica altrettanto tradita: i neonati che possono vantare crediti smodati.
Tramite l’istituzione del principio ereditario, ulteriormente concentrato sul primogenito, l’antica nobiltà si assicurava la permanenza a tempo indeterminato al potere. Dopo la rivoluzione francese la nobiltà ha ceduto il passo, ma non l’istituto dell’ereditarietà anche dei grandi e grandissimi patrimoni.Nessuno osa parlarne, questo è un tabù quasi quanto la possibilità di critica all’istituto della proprietà privata, ma resta pur sempre un’ovvietà che non può essere ignorata per sempre, tanto più quanto più gli effetti devastanti di questa censura minacciano direttamente il sistema economico e quindi sociale.
L’attuale crisi del debito potrebbe facilmente auto estinguersi spontaneamente come un qualsiasi altro problema generazionale, se solo s’introducesse il principio che la nascita e la morte di ciascuno di noi sono i due momenti naturalmente paritari e dirimenti dei diritti-doveri condivisi. Un morto non può pagare i propri debiti tanto quanto un neonato non può meritarsi immense fortune. Negare queste due evidenze simmetriche significa conservare, perpetuare, amplificare quelle distorsioni che stanno producendo la sindrome da Titanic all’umanità intera, dal momento che impediscono qualunque governance responsabile.
C’è solo un problemino tecnico, quello della persona giuridica, potenzialmente immortale. Lo Stato per esempio può accumulare i propri debiti attraverso molte generazioni, e sappiamo molto bene che questo problema è letale e irrisolvibile nel paradigma vigente nel mondo occidentale. La Grecia non è una mela marcia, è piuttosto un pesce-pilota di ciò che sta accadendo in questi ultimi anni, e a nulla serve negarlo quando le cronache ce lo confermano puntualmente.
Questo problemino ha però una soluzione ovvia, la contestualizzazione del debito, che è sempre riconducibile a persone fisiche, per semplice legge biologica che accompagna l’esistenza dell’umanità.
Applicare questo principio naturalistico può essere più o meno facile o difficile, dipende solo da quanto si è mistificato il sistema giuridico locale e globale per sostenere i paradossi di principio di cui stiamo parlando.
Legittimare contro natura a sostegno dell’impossibile non conviene, oltre ad essere una grave macchia per il legislatore. Non occorre essere giuristi senior per comprendere questa elementare verità.
La moneta è un’istituzione pubblica attualmente fondata sul principio della parità di bilancio tra debiti e crediti monetari, e questo è un errore logico evidente, che contraddice la stabilità della moneta stessa, intesa come permanenza nella società umana attraverso il succedersi delle generazioni, prima ancora che conservazione del potere d’acquisto come sancito nel trattato di Maastricht. Se scompare la moneta scompare la società che la usa, e non è questa l’ipotesi fondativa migliore tra quelle possibili. Ma per conferire carattere di permanenza alla moneta occorre crearla stabilmente, cioè contabilizzarla senza debito d’emissione, come valore spendibile garantito dalla ricchezza complessiva del paese, speso per la prima volta a beneficio della comunità. Non è cosa da poco, perché tra l’altro implica la non-autoriproducibilità nei circuiti finanziari, tradotta nel principio di condanna all’usura già adottato dalla banca islamica, sia pure per altre ragioni. Questo significa che la gestione della moneta dev’essere necessariamente un servizio sociale privo di rilevanza economica, e in quanto tale non può essere privatizzato se non in misura marginale.
Il divieto di speculazione finanziaria diventa un semplice corollario di tali principi fondativi, posto in essere da una coerente regolamentazione nella gestione della moneta e dei suoi derivati, o strumenti finanziari che dir si voglia.
Le regole fiscali svolgeranno allora l’altra metà del lavoro a completamento del paradigma che esprime un giusto patto sociale, equo e solidale, rispettoso sia dei meriti individuali che dei diritti-doveri universali. Nel necessario periodo di transizione dal fallimentare paradigma vigente è chiaro che l’imposta patrimoniale ed ereditaria svolgeranno un ruolo chiave di riequilibrio. Di “una tantum” perciò non se ne parla neanche.
Piuttosto si tratterà di differenziare la modulazione delle aliquote in funzione del livello sperequativo in fase di risanamento, ma pur sempre in senso strutturale.
Sembra un progetto di semplificazione molto realistico e moderato nella sua rivoluzione profonda, perché a tanto siamo arrivati, all’estremismo della realtà che risulta da ideologismi più vuoti che stupidi, che solo una vera rivoluzione di paradigma può ricondurre alla normalità.
Il raggiungimento dei limiti dell’ecosistema Terra non ci da scelta: non possiamo più permetterci di comportarci da cretini così come continuiamo a fare ora, al di là del ciclo congiunturale, che diventa nient’altro che l’opportunità da non perdere. A questo punto è vietato sbagliare.
13.10.2011