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La Redazione

 

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LA RIVOLTA IN LIBIA, UN MESSAGGIO PER CHAVEZ

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A cura di supervice
Il 3 Settembre 2011
30 Views

DI NIL NIKADROV
Strategic Culture

L’attacco dei ribelli libici del

23 agosto contro l’ambasciata venezuelana e il compound di Tripoli

sono largamente passati sotto silenzio, anche se le vittime sono state

fatte presenti quando l’ambasciatore venezuelano Afif Tajeldine e

il personale dell’ambasciata si sono mossi all’ultimo momento in

un luogo più sicuro e hanno lasciato la Libia poco tempo dopo. Dopo

l’incidente si è capito che l’ambasciata del Venezuela fosse stata

l’unica saccheggiata nell’intero quartiere, e ciò significa che

l’attacco – guidato, secondo il racconto di testimoni oculari, da

individui dall’aspetto europeo e con la postura militare – avesse

specificamente come obbiettivo l’avamposto della nazione.

Nella foto: l’ambasciatore del Venezuela in Libia Afif TajeldineIl viceministro degli Esteri venezuelano

e inviato permanente all’ONU Jorge Valero Briceño ha condannato l’attacco

al Consiglio di Sicurezza. Nel frattempo, i commentatori latinoamericani

hanno visto nel colpo dei ribelli contro la missione diplomatica venezuelana

a Tripoli un messaggio diretto a Chavez, col proposito di una minaccia

per essere il prossimo dirigente della lista dopo l’estromesso Gheddafi.

È largamente previsto che l’approccio che l’Impero ha utilizzato

per destabilizzare la Libia e la Siria verrà in un futuro non troppo

lontano utilizzato in Venezuela. Reuters ha fatto menzione del piano

il 17 agosto, dicendo che “la violenza politica in Venezuela potrebbe

sconvolgere i risultati delle elezioni del prossimo anno dove verrà

deciso se il Presidente Hugo Chavez vedrà rinnovarsi l’incarico di

sei anni”. Gli scoppi delle proteste in Venezuela saranno appoggiati

dalle campagne dei media lanciate da BBC, Euronews, CNN, Fox,

Al Jazeera, eccetera, e saranno probabilmente parallele ad atti di vandalismo

e omicidi di strada perpetrati da gruppi terroristici che filtreranno

in Venezuela da altre nazioni. Alla fine, il Venezuela vede davanti

a sé una rivoluzione colorata aggiornata che avrà una componente di

violenza armata più forte che mai. Il Pentagono, la comunità dell’intelligence

statunitense, il Dipartimento di Stato e le analoghe agenzie di Gran

Bretagna, Spagna, Israele, Canada e di altri Paesi hanno certamente

sulle proprie agende il compito di prevenire la rielezione di Chavez

nel 2012.

Preoccupato del prossimo crush test,

Chavez, un duro veterano della politica, non solo dimostra una piena

fiducia per i sondaggi che si profilano all’orizzonte ma ha addirittura

in mente di proporre un’altra rielezione per il 2018. il suo programma

è a caratteri cubitali e viene pronunciato con estrema chiarezza. L’affidamento

al sostegno popolare e a un esercito leale potrebbe aiutare a neutralizzare

qualsiasi cospirazione, e il dominio dell’Impero non durerà all’infinito.

L’ottimismo di Chavez si basa sul fatto che gli Stati Uniti hanno

un futuro imperialista ormai prossimo alla fine, quando nella metà

del XXI secolo le ricorrenti crisi economiche e i dissensi interni tra

fazioni politiche, gruppi etnici e aziende gigantesche eroderanno irreversibilmente

le loro potenzialità. A poco a poco, al costo di un bagno di sangue

e di sofferenze umane, gli Stati Uniti dovranno sbarazzarsi del ruolo

di gendarme planetario e di parassita globale. Le avventure di politica

estera e i tentativi di sfondare i regimi antagonisti che continueranno

a proliferare non faranno altro che avvicinare la loro agonia. Chavez

è convinto che la sconfitta dell’Impero metterà la parola fine alla

lunga ricerca di soluzioni per il sistema imperialista storicamente

al declino.

Il dirigente venezuelano parla frequentemente

dell’escalation delle tensioni socioeconomiche negli Stati

Uniti e in altri paesi occidentali. Anche se in Occidente i mali tendono

a non essere riconosciuti e le proteste dei ceti sociali svantaggiati,

compresa gran parte della classe media, sono state soppresse, e tenere

il controllo della situazione è una sfida sempre più dura che i governi

non possono gestire con i tradizionali metodi repressivi. Di conseguenza,

ci sono progetti per usare le forze armate del paese contro la propria

popolazione e gli eserciti sono già stati addestrati a questo scopo.

Le “guerre al terrore”, in cui le forze armate USA si sono continuamente

schierate contro i civili, hanno deformato la mentalità del corpo ufficiali

degli Stati Uniti al punto da aver perso tutte le inibizioni per quelle

missioni utilizzate per cospirazioni interne, presumibilmente alimentate

dagli estremisti musulmani, dai leader populisti, dai rossi,

dal sottobosco anti-sistema, eccetera.

La militarizzazione degli USA ha raggiunto

proporzioni tali che lo spostare l’economia della nazione verso ambiti

non militari promette grandi sofferenze. Ad oggi, persino i minimi tagli

ai fondi per la difesa farebbe deragliare l’intera economia statunitense,

mentre tenere a galla il rigonfio complesso militar-industriale comporta

ostilità crescenti in varie parti del mondo. Con l’elettorato preoccupato

dai nuovi conflitti in Siria, Iran, nel Caucaso e anche altrove, solo

un dramma paragonabile all’11 settembre può ravvivare la militanza

della popolazione. Chavez crede fermamente che l’attacco terroristico

dell’11 settembre sia stato architettato dall’intelligence

degli Stati Uniti e di Israele. Sapendo che le élite della CIA,

della Defense Intelligence Agency, di altri servizi d’intelligence

occidentali e del Mossad stanno lavorando contro il Venezuela, ha frequentemente

rivisitato il tema e ha sollecitato i canali della televisione venezuelana

a trasmettere programmi per avvertire che simili provocazioni potranno

mettere a repentaglio il regime Bolivariano.

Le convulsioni aggressive dell’Impero,

il suo disprezzo per le leggi internazionali, le fluttuazioni delle

politiche e delle decisioni di Washington e la tendenza statunitense

a entrare in contatto con gruppi di rinnegati provoca reazioni difensive

in tutto il pianeta e porta le nazioni a rimanere fuori dall’orbita

USA per rafforzare la propria sovranità. L’ascesa dei centri regionali

di potere avrà ulteriore spinta, e persino le nazioni che per varie

ragioni ruotano attorno alla NATO vedranno gradualmente prevalere le

forze anti-americane nel contesto interno. Nel mondo odierno, ogni aggressione

incontra invariabilmente una resistenza.

Dai tentativi falliti del 2002-2003

da parte degli USA per provocare il cambio di regime in Venezuela, la

strategia di Chavez è stata quella di isolare l’esercito e l’economia

della nazione, particolarmente il settore energetico, dall’influenza

degli Stati Uniti. Un confronto alla pari non può essere l’intenzione

di Chavez, considerando l’ovvia disparità tra gli USA e il Venezuela,

ma quest’ultima deve diversificare le sue relazioni internazionali

e deve cercare alternative fattibili allo status precedente l’epoca

di Chavez quando il paese era una nazione associata all’Impero a cui

veniva “liberamente” consentito di esistere come un altro Porto

Rico. All’epoca, le classi elevate del Venezuela erano state americanizzate

per contemplare la piena integrazione con gli USA. Convogliare il petrolio

nel mercato globale a prezzi ridicoli e godere di una vasta gamma di

agi a disposizione dei ricconi era il sogno dei liberali che sono stati

sloggiati dalla rivoluzione venezuelana per diventare i peggiori antagonisti

di Chavez. Queste sono le persone che si accaniscono contro Chavez a

ogni passo fatto per rafforzare l’indipendenza del Venezuela. Per

loro, la nazionalizzazione del settore petrolifero, le maggiori relazioni

con Russia e Cina, la creazione del blocco ALBA e la coltivazione dei

legami con il Brasile, che è diventata la forza economica dell’America

Latina, sono inaccettabili perché sono visti come mezzi per uccidere

le possibilità dell’opposizione di tornare al governo.

Washington si è visibilmente

adirata della recente decisione presa da Chavez per spostare parte dei

propri valori nei paesi BRICS, Russia compresa, e di riportare le riserve

d’oro in Venezuela. Chavez ha detto che, visto come le economie degli

Stati Uniti e dell’Europa stanno affondando, è venuto il tempo per

rivolgersi alle potenzialità di Paesi come Cina, Russia e Brasile,

descrivendo il ritiro delle proprietà dagli USA e dall’Europa come

“una misura salutare” per il Venezuela “alle soglie della crisi

del capitalismo”. Non c’è dubbio, che la strategia dietro il

trasferimento degli asset dalle banche occidentali non si limita agli

aspetti prima citati; anche la confisca

de facto delle riserve della Libia note come

“l’oro di Gheddafi” deve essere tenuta nel dovuto conto. Il

governo venezuelano ha ragioni per credere che, in determinate circostanze,

le partecipazioni azionarie in Occidente potrebbero essere congelate,

ad esempio, con il pretesto che le compagnie occidentali pretendano

un risarcimento in relazione alle nazionalizzazioni del Venezuela. Il

rimpatrio delle riserve di oro potrebbe aiutare il Venezuela a tenere

a galla l’economia se il dollaro e l’Euro dovessero soffrire una

rapida svalutazione.

Chavez ha consigliato altre nazioni

dell’America Latina, che hanno circa 570 miliardi di dollari nelle

banche del Nord investiti nel suo sviluppo, di fare altrettanto. La

Banca d’Inghilterra che dal 1980 ha immagazzinato 99 tonnellate di

oro del Venezuela è stata la prima a ricevere la richiesta di prelievo.

L’oro delle banche statunitensi, canadesi, svizzere e francesi verrà

allo stesso modo trasferito in Venezuela. Al momento, poco meno del

58% delle riserve in oro del Venezuela per un totale di 365 tonnellate

sono detenute fuori dal paese. Le nazioni ALBA sembrano essere ricettive

verso l’appello di Chavez per il rimpatrio delle quote azionarie.

Dovrebbe essere anche notato che, nel far visita a Caracas nell’agosto

del 2011, il capo della diplomazia russa, S. Lavrov, ha suggerito che

Mosca prenderà seriamente in considerazione la richiesta del Venezuela

per tenere le sue azioni, esprimendo in pratica il sostegno alla causa

di Chavez. La reazione di Pechino è stato essenzialmente la stessa

di Mosca.

Gli analisti considerano la spinta

di Chavez verso un’architettura finanziaria dell’America Latina

indipendente dall’Occidente come un obbiettivo rischioso. Il progetto

di Gheddafi per spostare le notevolissime quote azionari della Libia

dalle banche occidentali a quelle cinesi è stato tra le ragioni per

cui è diventato l’obbiettivo di una caccia all’uomo. È chiaro

che l’Occidente non dimenticherà come Chavez ha smentito il mito

della ripresa economica negli Stati Uniti e in Europa. Il messaggio

radicale del dirigente venezuelano secondo cui le economie degli USA

e dell’Europa stanno affondando sicuramente riecheggia nelle teste

di coloro che sono capaci di ascoltare.

********************************************

Fonte: Revolt

In Libya a Message to Chavez

03.09.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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