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La Redazione

 

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LA PROSSIMA GUERRA

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A cura di Das schloss
Il 29 Ottobre 2006
53 Views

blankDI DANIEL ELLSBERG
Harper’s Magazine

Una crisi nascosta è in corso. Molte persone che lavorano nel governo sono consapevoli dei seri piani in corso per una guerra contro l’Iran, ma il Congresso e l’opinione pubblica ne sono per lo più all’oscuro. La situazione attuale è paragonabile a quella del 1964, l’anno che precedette il nostro inizio, la nostra discutibile escalation nella guerra del Vietnam, ed al 2002, l’anno che ha portato gli USA all’invasione dell’Iraq.

In entrambi i casi, se uno o più “insider” [persone che lavorano nel governo, ndt] avessero colmato il gap di informazioni con rivelazioni non autorizzate all’opinione pubblica, una disastrosa guerra potrebbe essere interamente evitata.

La mia incapacità ad agire, in tempo, a quella rivelazione nel 1964 fu portata alla mia attenzione da Wayne Morse trentacinque anni fa. Morse fu uno degli unici due senatori statunitensi a votare contro la risoluzione sul “Tonkin Gulf” [Golfo di Tonchino, ndt] del 7 agosto 1964. Lui ritenne, correttamente, che il Presidente Lyndon Johnson avrebbe usato la risoluzione come una dichiarazione di guerra da parte del Congresso. I suoi colleghi, tuttavia, accettarono le assicurazioni della Casa Bianca che il Presidente non avrebbe tentato una guerra più estesa, e che non aveva intenzione di espandere le ostilità senza una ulteriore consultazione con loro. Loro credettero di star semplicemente esprimendo un supporto “bipartisan” per gli attacchi aerei americani che erano avvenuti tre giorni prima sul Vietnam del Nord, i quali, il Presidente ed il Segretario della Difesa Robert McNamara dissero loro, erano avvenuti come “vendetta” per “l’inequivocabile” ed “immotivato” attacco da parte dei torpedinieri del Vietnam del Nord alle navi da guerra americane in un “pattugliamento di routine” in “acque internazionali”.
Ognuna delle assicurazioni che furono date risultò falsa, una consapevole bugia. Che quelle fossero bugie fu rivelato all’opinione pubblica solo sette anni più tardi con la pubblicazione delle “Carte del Pentagono”, molte migliaia di pagine di documenti top-secret riguardanti le decisioni in Vietnam, cose che io ho rilasciato alla stampa. La prima parte, pubblicata dal New York Times il 13 giugno del 1971, provò che i resoconti ufficiali dell’espisodio del “Golfo di Tonchino” erano un deliberato inganno.

Quando ci incontrammo in settembre, Morse mi ha ascoltato dire di fronte ad un pubblico che tutte quelle prove di frode sono state in mia custodia per la sicurezza del Pentagono al momento del voto sul “Golfo di Tonchino”. (Per coincidenza, io ho iniziato a lavorare come assistente speciale ad un assistente segretario della difesa il giorno del presunto attacco – che non è, per nulla, accaduto). Dopo il mio discorso, Morse, che è stato un membro “senior” [anziano, ndt] della Commissione al Senato per le Relazioni Estere nel 1964, mi ha detto, “Se tu mi avessi dato questi documenti all’epoca dei fatti, la risoluzione su Golfo di Tonchino non sarebbe mai uscita dalla commissione. E se questa fosse stata in qualche modo lanciata sul pavimento del Senato per un voto, non sarebbe mai stata approvata.”

Mi sembrò che mi stesse dicendo che era stato in mio potere, sette anni prima, evitare la morte fino a quel punto di 50.000 americani e di milioni di vietnamiti, con molti morti che ancora dovevano venire. Non era qualcosa che fui entusiasta di ascoltare. Dopotutto, io ero stato appena indiziato di quelle che alla fine sarebbero state dodici accuse federali, con una possibile sentenza di 115 anni di prigione, per aver divulgato “Carte del Pentagono” al pubblico. Io coscientemente accettai con qualche piccola speranza di abbreviare la guerra. Morse mi stava dicendo che io avevo mancato un’opportunità reale di prevenire tutta la guerra.

La mia prima reazione fu quella di pensare che Morse aveva sovrastimato il significato della risoluzione sul Golfo di Tonchino e, perciò, le presunte conseguenze del non averla bloccata in agosto. Del resto, arrivai a capire che Johnson avrebbe trovato un’altra occasione per far passare una tale risoluzione, o sarebbe andato avanti da solo, anche se qualcuno avesse rivelato la frode ai primi di agosto.

Anni più tardi, un pensiero mi fece riflettere: Cosa sarebbe accaduto se io avessi divulgato al Congresso ed all’opinione pubblica, nel tardo autunno del 1964, tutta la verità riguardo ciò che stava per accadere, con tutti i documenti che io avevo acquisito tramite il mio lavoro in settembre, ottobre e novembre? Non solo, come Morse mi suggerì, i contenuti di pochi fascicoli sugli eventi riguardanti l’incidente del Golfo di Tonchino – cose di cui entrai in possesso agli inizi di agosto – ma tutti i piani presenti sulle carte riguardanti le decisioni critiche, le memorie, le stime, e le alternative dettagliate dell’escalation che rivelavano l’evoluzione dei piani dell’Amministrazione Johnson per una guerra segreta, che prevedeva l’inizio subito dopo le elezioni. In breve, cosa sarebbe successo se io avessi rivelato prima della fine dell’anno, o prima o dopo le elezioni di novembre, tutte le carte classificate da quel periodo che io invece ho, alla fine, reso pubbliche nel 1971?

Se io avessi fatto così, l’opinione pubblica ed il Congresso avrebbero capito che il tema della campagna elettorale di Johnson, “noi non cerchiamo un’altra guerra più grande”, era una bufala. Infatti, loro avrebbero capito che l’Amministrazione Johnson si stava dirigendo essenzialmente ed in segreto, sulle stesse linee guida di allargamento della guerra che il suo presidente rivale, il Senatore Barry Goldwater, apertamente sosteneva – una politica che gli elettori ripudiarono sopraffacendolo nelle votazioni.

Sarei stato accusato a quel tempo, come lo fui sette anni più tardi, e probabilmente arrestato. Ma l’America avrebbe vissuto in pace durante questi anni. È stato solo per quella riflessione, che avvenne una decina di anni dopo che quella carneficina finì, che i riconobbi che Morse aveva ragione a riguardo della mia fetta di responsabilità per tutta la guerra.

Non solo mia responsabilità. Ognuno delle centinaia di ufficiali – alcuni dei quali previdero la catastrofe completa – avrebbe potuto esporre la verità nascosta al Congresso, con i documenti. Invece, il nostro silenzio ci ha reso tutti dei complici della carneficina che è accaduta.

Il cammino verso la risoluzione del Golfo di Tonchino del 1964 è stato esattamente parallelo al cammino verso la risoluzione sull’Iraq del 2002.

In entrambi i casi, il Presidente e i vertici più alti del suo gabinetto hanno consciamente ingannato il Congresso e l’opinione pubblica circa una presupposta minaccia a breve termine in maniera tale da giustificare e avere il supporto per effettuare un preesistente piano offensivo contro un paese che non era una minaccia a breve termine per gli Stati Uniti d’America. In entrambi i casi, l’inganno è stato essenziale per la fattibilità politica del programma esattamente perché l’opinione degli esperti all’interno del governo immaginava costi, pericoli, e basse possibilità di vittoria che avrebbero politicamente condannato il progetto se solo ci fosse stata un’anticipata ed informata discussione pubblica. Ed in entrambi i casi, che il necessario inganno non avrebbe avuto esito positivo senza l’obbediente silenzio di centinaia di “insider” che erano perfettamente a conoscenza sia dell’inganno che della follia dell’azione suddetta.

blankUn “insider” conscio dei piani per l’Iraq, e bene informato riguardo all’inevitabile risultato disastroso sull’esecuzione di questi piani, è stato Richard Clarke, capo della strategia antiterroristica per Geroge W. Bush e consigliere di tre presidenti prima di lui. Lui, l’11 settembre del 2001, è stato alla Casa Bianca, a coordinare la risposta della nazione all’attacco terroristico. Lui riporta nelle sue memorie, “Against All Enemies” [Contro Tutti i Nemici n.d.t], che scoprì la mattina seguente, con suo stupore, che la maggior parte delle discussioni trattavano di un attacco all’Iraq.

Clarke disse a Bush e Rumsfeld che l’Iraq non aveva nulla a che fare con l’11 settembre, o con i suoi responsabili, quelli di Al Qaeda. Alla stessa maniera Clarke lo disse al Segretario di Stato Colin Powell quel pomeriggio, “Siamo stati attaccati da Al Qaeda, e se noi ora andiamo a bombardare l’Iraq come risposta” – cosa che Rumsfeld aveva già incoraggiato – “avrebbe lo stesso significato di una nostra invasione del Messico dopo che i giapponesi ci attaccarono a Pearl Harbor.”

Veramente, Clarke immaginò che sarebbe stato molto peggio di quello. Attaccare l’Iraq non solo sarebbe stata una disabilitante distrazione dal compito di perseguire il vero nemico, ma, di fatto, avrebbe aiutato quel nemico: “l’America non avrebbe potuto fare niente di più, per offrire ad Al Qaeda ed alla sua nuova generazione di gruppi nascenti una migliore strategia di reclutamento, che fare una immotivata invasione di un paese arabo ricco di petrolio.”

Io ho scelto quella di Clarke – da tutte le descrizioni tra il meglio del meglio della pubblica amministrazione – solo per il suo speciale ruolo nell’anti-terrorismo e perché, grazie alle sue illuminate memorie del 2004, noi siamo a conoscenza dei suoi pensieri durante quel periodo, e, in maniera particolare, l’intensità della sua angoscia e frustrazione. Un tale memoria ci consente, ogni volta che noi leggiamo una nuova rivelazione, di fare una semplice domanda: Quale differenza sarebbe potuta accadere agli eventi succedutisi se lui ci avesse detto tutto ciò a quel tempo?

Clarke è certamente non l’unico che avrebbe potuto dircelo, o dirlo al Congresso. Noi sappiamo da altri resoconti che entrambi i suoi giudizi chiave – l’assenza di un collegamento tra Al Qaeda e Saddam e la sua corretta previsione che “attaccare l’Iraq avrebbe reso l’America meno sicura ed avrebbe acuito il più vasto movimento terrorista islamico” – erano condivisi da molto professionisti all’interno della CIA, del Dipartimento di Stato, ed i militari.

Tuttavia nessuna di queste cruciali ed esperte conclusioni è stata resa disponibile per il Congresso o per l’opinione pubblica, da Clarke o da qualcun altro, nei diciotto mesi che hanno portato alla guerra. Anche se qualcuno di loro ha sentito il presidente condurre la nazione verso opposte e false impressioni, cose che portavano questi ufficiali a vedere la guerra come ingiustificata ed un disastro per la nazione, loro si sentirono obbligati a mantenere il silenzio.

Costoso come è stato per la loro nazione e le sue vittime il loro silenzio, io credo di capire il loro atteggiamento mentale. Io ho rispettato la mia identità di portatore di segreti del Presidente. Nel 1964 non mi è mai accaduto di rompere i molti accordi segreti che ho firmato, nei Marines, alla Rand Corporation, nel Pentagono. Anche se io già sapevo all’epoca dei fatti che la Guerra del Vietnam era un errore ed era basata su menzogne, la mia fedeltà era per il segretario della difesa e per il presidente (e sulle mia promesse di segretezza, sulle quali la mia carriera come uomo del presidente è dipesa). Io non sono orgoglioso del fatto che ciò costò anni di guerra prima che aprissi gli occhi dalla lealtà dovuta da ogni governo ufficiale, alle regole della legge, ai nostri soldati in pericolo di essere feriti, ai nostri concittadini, e, esplicitamente, alla Costituzione, la quale ognuno di noi ha giurato “di supportare e difendere.”

Mi è servito un lungo periodo per capire che gli accordi segreti che noi abbiamo frequentemente firmato sono in conflitto con il nostro giuramento di difendere la Costituzione. Quel conflitto aumentò quasi giornalmente, inosservato da me o dagli altri ufficiali, quando noi eravamo segretamente consci che il Presidente o gli altri membri dell’esecutivo stavano mentendo o ingannando il Congresso. Nel dare priorità, in effetti, alla mia promessa di segretezza – ignorando i miei obblighi costituzionali – io non ero né migliore né peggiore di un qualsiasi mio collega nel periodo del Vietnam, o di quelli che più tardi videro l’approccio alla guerra in Iraq e non avvisarono nessuno al di fuori del ramo esecutivo.

In maniera ironica, Clarke disse a Vanity Fair nel 2004 che durante il periodo adolescenziale lui criticò alacremente “la completa imbecillità” della Guerra del Vietnam e che lui “ebbe desiderio di fare carriera nella sicurezza nazionale nel 1973 cosicché non accadesse un altro Vietnam.” Lui se ne è andato con una sensazione di fallimento:

“E’ una cosa arrogante da pensare, ‘Avrei mai potuto evitare un altro Vietnam?’ Ma veramente mi riempie di frustrazione il fatto che mentre vedevo che la guerra in Iraq si stava avvicinando, non sono stato capace di fare nulla. Dopo aver speso 30 anni nella sicurezza nazionale ed essere stato in molte posizioni ad un livello di maggiore anzianità di servizio tu potresti pensare che io avrei avuto la possibilità di avere una qualche influenza, anche la più piccola. Ma non ne ho avuta alcuna. ”

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[Richard Clarke e Daniel Ellsberg]

Ma non è stato arrogante, io credo, per Clarke aspirare a fermare personalmente questo secondo Vietnam. Lui veramente aveva una grossa possibilità di farlo, in tutto il 2002, la stessa cosa su cui il Senatore Morse mi ha fatto riflettere.

Al posto dello scrivere una memoria che fosse pronta per la pubblicazione nel 2004, un anno dopo che l’Iraq era stato invaso, Clarke avrebbe potuto rendere pubblica la sua conoscenza sulla guerra che era in procinto di scoppiare, e il pericolo che avrebbe arrecato alla nostra sicurezza, prima dello scoppio della stessa. Lui avrebbe potuto supportare la sua testimonianza con centinaia di fascicoli di documenti provenienti dal suo affidabile ufficio e dal suo computer, sulle cose su cui ancora aveva accesso. Lui avrebbe potuto fornire queste prove sia ai media che al Senato disciplinato da regole democratiche.

“Se io avessi criticato il Presidente alla stampa nella mia carica di assistente speciale”, nell’estate del 2002, disse Clark a Larry King nel marzo del 2004, “sarei stato licenziato nel giro di un’ora.” Questo è senza dubbio vero. Ma dovrebbe essere l’ultima parola riguardante quel percorso? Per essere sicuri, virtualmente tutti i burocrati sarebbero d’accordo con lui, come ha detto King, che le sue sole responsabili opzioni a quel punto erano o licenziarsi senza suscitare rumore o di essere dalla parte della Casa Bianca nelle dichiarazioni alla stampa, cosa che lui fece. Ma questa è semplicemente la norma lavorativa che io voglio mettere in dubbio qui nel mio articolo.

La sua inavvertita alternativa, è una mia supposizione, era precisamente quella di rivolgersi ad un tribunale per essere stato licenziato per aver detto la verità all’opinione pubblica, con prove documentate, nell’estate del 2002. Facendo ciò, Clarke non avrebbe solo perso il suo lavoro, la sua autorizzazione, e la sua carriera dall’esecutivo ufficiale; lui sarebbe stato perseguito, e sarebbe potuto andare in prigione. Ma la controversia che sarebbe seguita non sarebbe stata con il senno di poi e con l’incriminazione. Sarebbe stata sia se la guerra in Iraq avrebbe reso gli USA più sicuri, sia se fosse in qualche modo giustificata.

Questo dibattito non c’è stato nel 2002 – così come un vero dibattito riguardante la guerra in Vietnam non ci fu nel 1964 – a causa della disciplinata reticenza di Clarke e di molti altri. Qualunque fosse stata la sua sorte, che sarebbe potuta essere molto grave, la sua rivelazione sarebbe dovuta venire prima della guerra. Possibilmente, al posto di ciò che ha fatto.

Noi oggi siamo di fronte ad una crisi simile a quella del 1964 e del 2002, una crisi ancora una volta nascosta all’opinione pubblica ed al Congresso. Gli articoli di Seymour Hersh e di altri hanno rivelato che, come in entrambi i casi precedenti, il Presidente ha segretamente diretto il completamento, sebbene non ancora l’esecuzione, di piani militari operativi – non semplicemente ipotetici “piani contingenti” ma piani costantemente aggiornati, con movimenti di forze e con alti livelli di prontezza all’azione, per un’immediata attuazione ad ordine avvenuto – per l’attacco ad una nazione che, a meno che non attacchi lei stessa, non reca una minaccia agli Stati Uniti d’America: in questo caso, l’Iran.

In accordo con questi rapporti, molti impiegati di alto livello e ufficiali governativi sono convinti che il nostro Presidente farà un tentativo per portare un cambio di regime in Iran tramite un attacco aereo; che lui ed il suo vicepresidente sono stati a lungo non meno impegnati, segretamente, per organizzarlo mentre stavano attaccando l’Iraq; e che il suo segretario della difesa è così follemente ottimista circa le prospettive per un rapido e poco dispendioso successo militare come è stato in Iraq.

Anche più profetico, Philip Girali, un ex ufficiale della CIA, ha riportato nel “The American Conservative” di un anno fa che l’ufficio del Vicepresidente Cheney ha diretto un piano contingente per “un assalto aereo su larga scala sull’Iran, con l’utilizzo sia di armi convenzionali che di armi nucleari tattiche” e che “molti ufficiali della Forza Aerea”, coinvolti nel piano, “rimasero allibiti per le implicazioni di ciò che avrebbero fatto – che sta per essere disposto un piano per un immotivato attacco nucleare sull’Iran – ma nessuno è pronto a rovinare la propria carriera facendo qualche obiezione.”

Molte fonti di Hersh hanno confermato sia il piano d’azione dettagliato per l’uso di armi nucleari contro le installazioni iraniane sotto terra, sia le resistenze dei militari a questo progetto, che ha portato molti ufficiali anziani a considerare di dimettersi. Hersh nota che l’opposizione da parte dello Stato Maggiore in Aprile ha portato la Casa Bianca al ritiro dell’ “opzione nucleare” – per ora, io direi. Il piano d’operazione rimane in vigore, per essere usato per un colpo “decisivo” se il Presidente lo considerasse necessario.

Molte di queste fonti riguardano un imponente e pianificato attacco aereo – con o senza armi nucleari – che sicuramente sarà catastrofico per il Medio Oriente, per la posizione degli USA nel mondo, per le nostre truppe in Iraq, l’economia mondiale e la sicurezza interna degli USA. Pertanto loro sono così profondamente preoccupati da questi piani come molti altri “insider” lo erano nell’anno prima dell’invasione dell’Iraq. Questo è il motivo per cui, non come ciò che ha portato al Vietnam o all’Iraq, molte persone che lavorano nel governo stanno facendo fuoriuscire notizie ai reporter. Ma finora queste rivelazioni – per ora senza documenti e senza attribuzione – non hanno ricevuto abbastanza credibilità per aumentare l’allarme nell’opinione pubblica, la domanda è se tali ufficiali non hanno ancora raggiunto il limite delle loro responsabilità per il nostro paese.

Assumendo che le fonti (per ora) anonime di Hersh sapessero ciò che hanno detto – che questo è, come si dice, “un demone che deve essere fermato” – io credo che sia giunto il momento per uno e per più di uno di loro di andare oltre le frammentarie fughe di notizie che non sono accompagnate da documenti ufficiali. Ciò significa fare ciò che nessun altro ufficiale in carica o consigliere ha mai fatto in tempo utile: una cosa che né Richard Clarke né io, né nessun’altro ha pensato di fare fino al momento in cui non avevamo più una carica ufficiale, non avevamo più accesso al flusso di documenti, dopo che le bombe sono cadute e in migliaia sono morti, dopo anni in una guerra. Significa andare fuori dai canali esecutivi, come persone con una carica ufficiale che hanno nello stesso momento l’accesso alle informazioni, ad esporre le bugie del Presidente ed opporsi pubblicamente alla sua politica di guerra prima della guerra, con inequivocabili prove che provengono da dentro il governo.

Il dimettersi semplicemente in silenzio non incontra responsabilità morali o politiche di persone con carica ufficiale, giustamente impaurite dalla motivazione data dal segreto politico. Io spero che una o più di tali persone compiano la seria decisione – accettando il sacrificio di allontanamento e di carriera, ed il rischio della prigione – di rendere pubblici i fascicoli che portano alla luce, irrefutabilmente, le ufficiali e segrete stime di costi e previsioni e pericoli dei piani militari che sono stati programmati. Ciò che deve essere pienamente svelato è la controversia interna, le segrete critiche così come gli argomenti e le richieste dei sostenitori della guerra e dell’opzione “nucleare” – le Carte del Pentagono sul Medio Oriente. Ma non come nel 1971, il dibattito segreto in corso dovrebbe essere reso disponibile prima che la nostra guerra nella regione si espanda anche all’Iran, prima che la moratoria sulla guerra nucleare che è in vigore da sessantuno anni sia violentemente portata alla conclusione, per dare una possibilità alla nostra democrazia di evitare ognuna di queste catastrofi.

I rischi personali del fare ciò sono davvero alti. Eppure non sono grandi come i rischi di corpi e vite che stiamo domandando ad oltre 130.000 giovani americani – con molti ancora che devono aggiungersi – in una guerra ingiusta. La nostra nazione ha urgentemente bisogno di un tale coraggio, civile e morale, da parte di qualcuno della pubblica amministrazione. Loro ci devono la verità prima che inizi la prossima guerra.

Daniel Ellsberg
Fonte: http://www.harpers.org/
Link: http://www.harpers.org/TheNextWar.html
19.10.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di EHMILIANO

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