MEGALOPOLI, CITTÀ, PAESI, FATTORIE, ISOLE…
DI FERRAN FONTELLES
The Oil Crash
Date le prove sempre più frequenti del Picco del Petrolio, si tenta talvolta di visualizzare il futuro, prevedere, quasi profetizzare quali potranno essere le conseguenze di questo fenomeno a livello mondiale. In questo post si cerca di approfondire come ciò andrà a colpire le nostre vite. Quali potranno essere le possibili differenze a seconda che si viva in un agglomerato più o meno rurale.
Il capitalismo globalizzato, il sistema odierno di consumo senza limiti ha
propiziato forti concentrazioni di persone nelle grandi città, spesso mal pianificate rispetto alle necessità primarie del cittadino. Un esodo rurale ben documentato, parallelo allo sviluppo della Rivoluzione Industriale, avvenuto a partire dalla seconda metà del XX secolo.
Questa migrazione particolare ha favorito la crescita delle città in tutto il mondo: la comparsa di conurbazioni, megalopoli, le cosiddette città dormitorio e perfino la presenza di quartieri
marginali periferici, dove sopravvivono i “paria” del sistema.
Di fatto, lo stereotipo delle grandi città, con le strade congestionate
dalle auto, dai negozi e dai grandi grattacieli, è stato un prototipo
che l’industria cinematografica e i mezzi di comunicazione ci hanno
propinato come simbolo del progresso. È uno degli standard della globalizzazione:
una definizione urbanistica di come si deve essere per diventare ricchi,
civilizzati, occidentali. E dopo che per decenni è stato l’orgoglio
e lo specchio del nostro sistema, d’un tratto può vedersi destinato,
in un lasso di tempo indefinito, al collasso, a meno che non ci pratichiamo
tutti un cambiamento radicale di rotta, una modifica degli atteggiamenti
di tutta la cittadinanza, uno spostamento delle direttrici della politica
realizzate per uscire dalla crisi e, sicuramente la cosa più importante,
una decrescita graduale con la ridefinizione del sistema capitalista
attuale. Ma facciamo un passo per volta.
Di fronte al bombardamento mediatico giornaliero sulla crisi, si può scorgere, dietro ogni decisione politica e dietro ogni notizia, che l’attuale stato sociale è in pericolo, un sistema in cui lo Stato cerca di assicurare alcune garanzie e alcuni servizi alla totalità della cittadinanza. Ma, fermandoci alla distribuzione di questi servizi e garanzie, si può osservare che sono tanto più consolidati quanto maggiore è la popolazione. I migliori ospedali e i servizi sociali più diffusi sono nelle grandi città. Invece, il
piccolo paese agricolo può essere già contento di avere una scuola
rurale fino all’educazione primaria, e un ospedale a cinque o dieci
chilometri, una distanza attualmente percorribile. Il paradosso è il
seguente: in un contesto di crisi energetica, lo stile di vita può
cambiare radicalmente a seconda di dove si viva. Improvvisamente quello
che prima offriva comodità, opportunità e possibilità di scelta,
può diventare un problema, un vicolo cieco. Lo stato del benessere
è a rischio, e forse andrà ridefinito.
Pensiamo alle piccolezze
del mondo urbano attuale. Perché ci sono le sedi internazionali
delle grandi aziende nelle nostre città? Perché disponiamo di fibra
ottica? Perché si può comprare frutta dall’America latina o perché
esce acqua dal rubinetto? Siamo tutti urbanizzati, adeguati a quello
che la città ci offre, senza stare tropo a pensare al perché e, soprattutto,
al com’è che le cose sono così. Perché, lettori, questo mondo urbano
è un capannone insostenibile che si è costruito grazie all’energia
abbondante ed economica. È un modello dissipatore. La gente prende
l’automobile per andare a lavorare. Gli alimenti vengono da chissà
dove. Così come tanti altri prodotti, che arrivano a bordo di grandi
navi che ce li trasportano via mare (con ampio spreco di petrolio accluso).
Tutta questa crescita è possibile grazie a questo, a uno strano periodo
della storia umana dove sembra che tutto sia possibile, che con la tecnologia
e il capitale che la feconda si possa arrivare a tutto, per quanto sia
rocambolesco e morboso questo nostro sogno.
Ma la realtà, per
nostra disgrazia, sembra essere ben diversa. Con il nostro tecno-ottimismo e il nostro pensiero magico non riusciamo a vedere che
le grandi megalopoli potranno diventare insostenibili per non riuscire
a fornire le enormi quantità di cibo, acqua, vestiti e di altri beni
e servizi di base, o per non poter trattare simili quantità di rifiuti
o di acque fecali (come già
comincia a essere evidente in alcuni luoghi della Spagna).
Inoltre, di solito
sono nuclei dove si accumulano attività che, se le cose dovessero
passare a una scala più logica – e sembra che proprio questo stia accadendo,
meno vasta e meno globalizzata – tenderanno a essere sostituite o a
sparire, con l’unico contrappasso di portare molta gente alla disoccupazione,
ossia il futuro di una certa parte della popolazione che è impiegata
in lavori che sono possibili solo grazie allo spreco attuale, leggasi
modelli, pubblicitari, designer di stupidità e tante e tante
altre occupazioni non proprio imprescindibili.
Se anche una grande
città può subire un duro colpo dalla crisi energetica che si avvicina,
cosa potrebbe succedere nelle comunità che vivono nelle isole? L’insularità
è una difficoltà aggiuntiva. Un’isola è un ecosistema particolarmente
fragile e dinamico. Tanto che, una volta colonizzato dall’uomo, diventa
dipendente dagli apporti esterni che giungono solamente via mare o via
aria. Questo è il caso del Regno Unito, per esempio, dove una gran parte degli alimenti
arriva per nave e per aereo.
Un paese ammirato dove già comincia a palesarsi il problema: un’isola
con risorse energetiche molto sfruttate e che deve importare, densamente
popolata, dove a livello governativo fin da ora si sta cercando di trovare un sistema di ripartizione
dell’energia più equo.
Ancora più problemi avranno, prevedibilmente, quelle isole che si “sono
vendute” al turismo di massa, dato che gran parte del loro territorio
è stato edificato, a volte con “allegria”, e dove l’attività
agricola è oramai scomparsa o in via di estinzione, fatto che aggiunge
ancora più difficoltà alla ricerca di una soluzione sostenibile. Perché,
come avviene in alcune enclavi turistiche insulari di oggigiorno, sull’isola
vive una quantità tale di persone che, se non fossimo in questo strano
periodo della storia, difficilmente potrebbero riuscire a sopravvivere.
Sembra quindi facile pronosticare che le comunità residenti nelle isole
possano essere le prime a vedersi colpite dal picco del petrolio o da
una sua scarsità generalizzata, data la sua ampia necessità di “prelevare
dall’esterno” tutte quelle risorse che “scarseggiano”
o mancano al suo interno, specialmente se si sono specializzate in un
determinato settore economico.
Discutere quale possa
essere il volume ottimale di popolazione in cui vivere sembra essere
un’attività inutile. La natura umana e quella del nostro mondo,
con la sua esagerata eterogeneità, riserveranno soluzioni differenti
per ogni nostro problema. In ogni regione, a seconda dello stile di
vita dei cittadini, sarà possibile ospitare degnamente più o meno
persone. Si comprende che la cosa importante dell’ultima frase non è
tanto l’accoglienza, quanto il degnamente. Le grandi città tenderanno
a suddividersi in quartieri o distretti che si convertiranno sempre
di più in entità capaci di autogestirsi e, in modo cooperativo, cercare
di assicurarsi il cibo, il lavoro, i la casa, l’acqua o i servizi,
una situazione già presente. Sembra che la situazione in essere ci
porterà a ridurre la dimensione delle nostre città, sia per numero
di abitanti che per densità e/o volume, a dividere le grandi aree omogenee
in distretti o quartieri, che si organizzeranno per assicurare la sopravvivenza
all’interno dei propri confini, così come si coopererà e si commercerà
con i quartieri vicini. Alcuni luoghi, per le sue dimensioni e la composizione
strutturale, potranno diventare deserti: qui non sarà possibile mantenere
tante migliaia di persone, sarà difficile il rifornimento di acqua
(potabile?) e il trattamento delle fosse biologiche, così come non
sarà possibile realizzare orti urbani che possano assicurare parte
di quello che finisce nelle proprie bocche.
Arrivati a questo punto, chiedo al lettore che finisca di leggere fino al paragrafo finale. Tutto questo può sembrare troppo futurista, troppo pessimistico o poco probabile. Né i mezzi di comunicazione né i politici si prendono sul serio il tema. Le cose sembrano sempre le stesse, nella crisi, ma le stesse. E poi, che valore può avere l’opinione di uno studente? Quello che succede è che, in molti casi concreti, basta solo
applicare il buonsenso e la logica per vedere che gran parte delle nostre
città possono diventare insostenibili in un futuro prossimo.
Una volta accettato
che lo scenario della Grande
Scarsità
non è proprio strampalato, la soluzione sembra venire da un cambiamento
di vita verso un modello sostenibile. E questa soluzione sembra essere
inversamente fattibile rispetto alle dimensioni di una popolazione.
Una megalopoli potrà avere infinitamente più problemi rispetto a una
piccola popolazione di, mettiamo, alcune decine di migliaia di abitanti,
sempre che imparino a vivere con meno e vogliano cooperare per la sopravvivenza
della cosiddetta comunità (che sia un quartiere, una città, un paese
o una fattoria). Quindi, le opportunità per intraprendere un modello
sostenibile saranno superiori in una comunità piccola e unita rispetto
a una massa disinformata retta dal politici di turno ancora anestetizzata
dal sistema attuale. Allo stesso modo, si può capire che è più facile
gestire le richieste basilari di una popolazione media rispetto a una
conurbazione di vari milioni di persone. Nei prossimi decenni assisteremo
a una ristrutturazione delle città? Si estinguerà il cittadino attuale
interessato ed egoista e comparirà gente del quartiere, disposta a
tirarsi su le maniche, a sacrificarsi e a cooperare? Sarà il ritorno
alla campagna l’unica soluzione, come
ha descritto Gabriel nell’ultimo post?
Solo il tempo ci dirà se i piani alti dei grattacieli continueranno
a essere occupati o se i parchi urbani si convertiranno in orti comunitari.
Fonte: La viabilidad de los asentamientos actuales
07.12.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE