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La Redazione

 

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La patologizzazione del dissenso

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A cura di Redazione CDC
Il 24 Novembre 2020
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Di Enrica Perucchietti per Comedonchisciotte.org

Aldous Huxley: un metodo farmacologico per “piegare” le menti dei cittadini

“Credo che le oligarchie troveranno forme più efficienti di governare e soddisfare la loro sete di potere e saranno simili a quelle descritte in Il mondo nuovo“.

In una lettera del 21 ottobre 1949, lo scrittore Aldous Huxley scriveva a George Orwell che nel prossimo futuro il potere avrebbe presto attuato the ultimate revolution: “inducendo le persone ad amare il loro stato di schiavitù”.

Huxley si mostrava convinto che i governanti avrebbero assunto la forma della dittatura “dolce”, in quanto avrebbero trovato nell’ipnotismo, nel condizionamento infantile e nei metodi farmacologici della psichiatria un’arma decisiva per piegare le menti e il volere delle masse. Un’ipotesi che il romanziere inglese avrebbe confermato nel 1958 nel suo saggio Ritorno al mondo nuovo.

Nel 1932 lo stesso Huxley aveva ambientato il suo capolavoro distopico, Il mondo nuovo, in un mondo globale pacificato, in cui una droga di Stato, il soma, controlla lo stato d’animo dei cittadini.

Nella distopia huxleyana non c’è posto per le emozioni forti, per l’amore, per l’odio o per il dissenso. Non c’è spazio per l’intuizione, l’arte, la poesia, la famiglia.

Le persone sono arrivate ad amare le proprie catene perché  sono state manipolate prima ancora della nascita tramite l’eugenetica e da adulte sono totalmente spersonalizzate e manipolate nel profondo.

In questo modo non è possibile alcuna forma di ribellione. E il potere ha raggiunto il proprio scopo: fare in modo che i cittadini non diano fastidio.

Di fatto, per creare una società apparentemente perfetta e pacificata si devono controllare se non addirittura annientare, cancellare le emozioni, rendendo i cittadini degli zombie.

 

La patologizzazione del dissenso

La creazione di una sorta di “terrore sanitario” sta diventando il grimaldello per scardinare le libertà individuali e stringere le maglie del controllo sociale.

Come mostro nell’edizione ampliata e aggiornata di Fake news (Arianna Editrice), i casi di censura, boicottaggio e attacchi sempre più spietati contro l’informazione indipendente si fanno ormai quotidiani.

Ci dobbiamo chiedere se la biosicurezza non ci stia portando verso una dittatura sanitaria  e se non si stia tentando di patologizzare il dissenso per poter intervenire in maniera coatta e creare un pericoloso precedente: trattare e ospedalizzare i dissidenti.

Nella società del politicamente corretto coloro che non si allineano al pensiero unico vengono da tempo denigrati, perseguitati e marchiati con etichette diverse e tuttavia sempre denigratorie, per incasellare appunto il dissenso; ora, però, a quest’opera capillare di discredito si affianca il tentativo di curare i dissidenti per riportare costoro nel giusto binario e poterli riaccogliere nella società.

Nell’ultimo anno abbiamo assistito a inquietanti precedenti, dalla creazione della nuova espressione “sovranismo psichico” (1) alla proposta di una ricercatrice dell’Istituto italiano di tecnologia di utilizzare scariche elettriche  o magnetiche per influenzare il cervello e curare gli stereotipi e i pregiudizi sociali. (2)

 

Per Galimberti i negazionisti sono “pazzi”

Ultimo esempio in ordine di tempo di patologizzazione del dissenso sono state le dichiarazioni del filosofo Umberto Galimberti che, ospite della trasmissione Atlantide su La7, (3) ha equiparato i negazionisti del Covid ai pazzi:

“I negazionisti hanno paura della paura. Più che paura provano angoscia. Perdono i punti di riferimento. E arrivano a essere dei deliranti. Il negazionismo è una forma di contenimento dell’angoscia […]. Coi pazzi non è facile ragionare. Si può persuadere chi nega la realtà che la realtà è differente? Molto difficilmente”.

La sua esternazione non è isolata: negli ultimi mesi si sta cercando di indurre l’opinione pubblica a sostenere l’equiparazione tra negazionisti (ma anche complottisti e NO vax) ai pazzi, che andrebbero quindi sottoposti a cure psichiatriche per poter essere riaccettati in seno alla società.

Alla luce dei casi di Tso a Dario Musso (4) e all’avvocatessa di Heidelberg, Beate Bahner, molto critica con le misure prese dal governo per la quarantena da Coronavirus, (5) il tentativo di psichiatrizzare i dissidenti dovrebbe sollevare l’indignazione non solo degli addetti ai lavori, ma della popolazione.

Il problema di fondo è che sotto l’etichetta denigratoria di “negazionista” ma anche “complottista” rientra chiunque critichi la versione ufficiale della narrativa mainstream o si permetta di dissentire dai provvedimenti governativi basati sul biopotere.

 

Curare il dissenso

Ci troviamo di fronte a un atteggiamento paternalistico, autoritario e scientista del potere che mira a ottenere cieca obbedienza da parte dei cittadini e nel caso che questi si rifiutino di sottomettersi in modo acritico, di poter correggere il comportamento e il pensiero di costoro attraverso la psichiatria o la tecnologia.

Il totalitarismo dei buoni sentimenti (“buoni” solo in apparenza) ha i suoi cani da guardia pronti a riportare all’ovile chiunque dissenta od osi manifestare pubblicamente dei dubbi. Oggi la psicopolizia sembra pronta a elaborare nuovi strumenti degni di una psicodittatura.

Si vuole neutralizzare la coscienza critica e censurare qualunque forma di dissidenza. Chi dissente va censurato, deve arrivare a vergognarsi non solo di quello che ha detto, ma di quello che ha “osato” pensare.

Potrà pertanto essere riaccettato nella comunità solo a patto di umiliarsi, di chiedere pubblicamente perdono, di sottoporsi a cure psichiatriche per guarire da una malattia che il totalitarismo progressista spera di curare: pensare in modo libero e critico.

Pubblicato da Moravagine per ComeDonChisciotte.org

 

 

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