La generazione silente: Antigone è invisibile

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LA GENERAZIONE SILENTE: ANTIGONE E’ INVISIBILE
di Elsa Forner per Comedonchisciotte.org

Antigone è, tra i classici, il mito che, fino ai giorni nostri, ha avuto grande risonanza nelle coscienze e nella morale pubblica e privata, continuando ad interrogare sul suo enigma, sulla sua corposa resistenza e, ancor più, sul fascino ed il vigore che suscita.
Antigone è la minore dei quattro figli di Edipo. La sua tragedia narra la disobbedienza della giovane all’editto di Stato che Creonte, sovrano di Tebe, promulga. In esso si fa divieto di dare degna sepoltura al corpo di Polinice, fratello di Antigone, sconfitto nella battaglia per la ripresa del trono di Tebe.
L’editto è impietoso: la pena ai trasgressori è la lapidazione pubblica.
Antigone segnerà il punto di svolta, lo scontro tra la legge dello Stato e la legge divina, ma dice anche di un moto d’amore a cui non intende sottrarsi. Fa appello all’inviolabilità dell’ordine femminile che custodisce e preserva e lo fa con l’unica moneta con cui può dialogare: il coraggio dell’uno, solo.
Antigone morirà per ordine di Creonte.
Ma il potere dello scritto parte proprio da qui, il dramma di Antigone percorrerà tutti i secoli a seguire, con una forza al di là della morte. Creonte manda a morte l’unico crimine per lui inaccettabile: la giovinezza e la sua spietata forza ma anche la violenza spudorata con cui lo irride. Il mito di Antigone ne è diventato il simbolo.
La legge dello Stato dunque, con il suo ordine scritto ed inappuntabile, contro le leggi non scritte che la giovinezza inventa ad ogni generazione, create da energie non misurabili e dall’amore per ciò che scritto non può essere. L’ordine, qualsiasi ordine, qui non entra in campo.
Antigone è e resta il simbolo magico della giovinezza: il suo corpo non ha corazza e per questo osa il crimine abitando l’unico ordine per lei possibile: quello del femminile, la cui virtù non è iscritta, non obbedisce ad alcunché, orientata da un ordine simbolico costruito su certezze antiche. La sua libertà non trova posto nel moderno femminismo occupato ad affermarsi nel mondo che conta e corre veloce, in un movimento che finisce per rimuovere l’essenza stessa del femminile nell’inutile tentativo di cancellarne ogni traccia. Antigone è la traccia antica di un femminile che disordina i piani del potere sovrano e declinato al maschile. Il suo effetto è contaminante: seduce come un sogno e, al contempo, atterrisce come un incubo.

Ma dov’è Antigone oggi?
Dove sono le giovani generazioni? Perché non parlano?
Dov’è lo spirito antagonista di Antigone e il suo coraggio?
Cosa è successo ai giovani in questo periodo in cui un virus coronato ha imprigionato Tebe dentro le sue mura?
I nuovi Creonte emanano proclami.
I territori pensati come i luoghi del piacere per i giovani sono vietati. Le palestre, gli sport amatoriali, siano essi calcio o danza così come le scuole di musica e arte NON sono ritenuti fonti di vita essenziali.
La scuola, mai riaperta completamente ha chiuso, per prima, definitivamente: i nuovi Creonte ne impediscono l’accesso. Forse anch’essa ritenuta ormai NON essenziale. E non essenziale lo è davvero poiché è da tempo finita, come un’insegnante piuttosto arguta di recente ha scritto.
È finita nel buco che riforma dopo riforma ha costruito. È finita nella dissoluzione, progetto dopo progetto, del suo interprete primario: lo studente.
Abitata da genitori, associazioni, psicoesperti e progetti, la scuola ha fatto fuori lo studente, trattato sempre come elemento di disagio o disturbo. Le tematiche sul giovane o adolescente sono sempre spostate sul fronte della sofferenza, della devianza, del malessere, per gran parte proiezione e produzione di un’eredità generazionale che teme l’energia libidica giovanile tanto da attuarne l’esilio.
E a questo i Creonte della storia hanno sempre ambito: esiliarla fino a dimenticarla. Medicalizzazione e inquadramento educativo e giuridico sono le armi adottate. Ogni disobbedienza è crimine. La scuola ne è stato il laboratorio sperimentale.
In questo panorama, la scuola è finita. I suoi giovani partecipanti mostrano effetti di corpo e linguaggi incomprensibili ai loro referenti adulti educatori o genitori che siano. Un modo per diventare invisibili.
Gli adulti non li hanno amati, li hanno violati nei loro meandri più intimi e sacri, dalla fanciullezza, totalmente negata alla nascita adolescente, sacrificati alla mostruosità degli adulti eternamente godenti. I nostri canali televisivi ne presentano il paradosso dell’immaginario felliniano, diventato una realtà onnipresente.
È interessante ascoltare le riflessioni giovanili sui progetti per l’educazione sessuale o contro il bullismo ma, ancor meglio, è illuminante sentirne parlare tra loro. Il distacco, il disprezzo per gli adulti viaggia in modo diametralmente opposto al pieno di sapere che gli adulti hanno imposto, nessuna democrazia, nessun dialogo. Consenso assoluto anche dai genitori, impegnati nella rivalsa sociale fatta di consumismo compulsivo, simbolo di una povertà atavica mai dissolta, dal cellulare alla villa di Arcore con il suo anfitrione diventato ormai un sarcofago di cera.
Risultato: un silenzio che risuona violento e che mette a nudo ciò che resta del mondo adulto che ha depredato luoghi come la scuola diventati un avanspettacolo dove gli educatori, ora costretti alla totale assenza delle loro prede, ricche di energia libidica vitale, si muovono in modo inconsulto, spaventati dal silenzio schermato dalla didattica a distanza. Un silenzio che rivela il vuoto della loro mestieranza, priva di elementi dialettici e umani ma ricchissima di paure soprattutto di chi sta loro di fronte. E fanno bene a temerli. Hanno usurpato il loro bene, il loro luogo e violato la loro vita con relazioni senza amore e senza tutela, solo s-valutanti ed espulsive.
L’abuso imposto genera rabbia, la rabbia genera violenza. Tutte articolazioni mute, senza discorso. Le nuove generazioni hanno costruito un discorso altro, inaccessibile a coloro che cercano di entrarvi.
I “maestri” pure tacciono, pochi missionari di un amore per il sapere e per i loro allievi, gli unici a cui consegnarlo ed ai quali parlano, li ascoltano e non vietano. Pochi, troppo pochi. Non fanno la scuola. Il popolo giovanile ha imparato a non fidarsi, e tace.
Ma dove sono se non più a scuola? Essi parlano, e costruiscono altrove. Saperi sconosciuti agli adulti. Anche nelle dimensioni più ingannevoli. Ma essi godono altrove.
Non amano gli adulti, tutti gli adulti, non più di quanto amerebbero il loro cellulare, oggetti di cui ci si stanca.
I recenti fenomeni violenti dicono molto di tutto questo. Hanno altri luoghi in cui il fare e il dire può essere comune, collettivo. I loro suoni, le parole dei pezzi musicali, quasi criptate, incomprensibili così come i loro corpi su cui sono condensati mondi altri.
Ancora una volta Antigone è sull’asse della disobbedienza, questa volta spietata, violenta, senza discorso. Creonte è disarmato, nel suo ron ron mediatico non arriva neppure a nominarla la dimensione giovanile, non la vede, passa all’atto: chiude le scuole.
Dove sono stati i loro adulti in tutto questo processo? Forti di un ego smisurato e cieco, obbedienti e ordinati e ostinati nell’esecuzione dei proclami dei loro re, hanno consegnato la giovinezza alle fauci bovine di un Minotauro stolto e instupidito che ancora vaga nel labirinto, famelico della giovane carne da ingerire e rigurgitare rimodellata, rieducata.
Il nuovo Minotauro ora ha un nome: COVID e pare ora accontentarsi di carni meno fresche.
I giovani tacciono.
I giovani non parlano. Sono lontani. È un silenzio di attesa, non di resa.
Hanno imparato l’arte di rendersi invisibili. Hanno il coraggio di farlo con ogni mezzo non leggibile. Criptato. Non fanno sapere né dove né chi sono e tanto meno cosa vogliono. È una grammatica non scritta la loro, indica codici e luoghi simbolici di appartenenza. Formule apparentemente banali come “ci sta”, giocano sul malinteso della lingua e mettono alla prova l’interlocutore: l’appello al suo sapere lo esilia definitivamente.
Antigone, sta fissando la sofferenza autoinflitta di Creonte come di Edipo e del loro mondo falso e cieco, in rovina.
Antigone è lo spirito di una giovinezza immortale. Per vederlo basta guardare un ragazzo, qualsiasi ragazzo, Antigone dimora lì, eterea e invisibile dove i Creonte non potranno accedere né imprigionarla, è presente nei nuovi linguaggi, anche violenti, e nelle steppe sconfinate della loro voglia di vivere e di andare lontano. Antigone immortala ogni giovinezza, Creonte ha come unico destino la morte. È paralizzato nella sua armatura.
Antigone è una giovane donna, custodisce un germoglio d’amore. Abita il coraggio per la disobbedienza ad ogni ordine e grado e non è visibile altrove.
Il silenzio giovanile ha il sapore della violenza e del disprezzo per un mondo fasullo, sporco, putrefatto, venduto in ogni dove con figure incipriate ed incartapecorite nel vano tentativo di imitare un tempo ormai perduto per sempre. Un insulto per le giovani generazioni. La loro risposta è il silenzio, un inno alla morte ed al nuovo re, anch’esso invisibile, silente ma spietato.
La voce mancante dei giovani è un codice, un’invenzione di libertà dall’alienazione della presa adulta. Antigone è la loro tenacia, la resistenza, il coraggio di avere ancora rabbia.
Antigone è il mantello della loro invisibilità, magico come la giovinezza. Non è la vista a cogliere Antigone ma lo sguardo attento di coloro che leggono, ascoltano e comprendono. Agli altri non resta che la paura.

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