LA FINE DELLA VISIONE DI OBAMA DI UN MONDO SENZA NUCLEARE

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DI SCOTT RITTER
TruthDig.com

Come ogni studente di politica per la sicurezza estera e nazionale ben sa, il Male è nei dettagli. Nell’aprile 2009, durante un discorso tenutosi a Praga, Repubblica Ceca, il presidente Obama espresse la sua visione di un mondo privo di armi nucleari. Da quella volta, però, il governo statunitense ha proposto molte poche iniziative concrete per portare avanti questa visione. Se si guarda al passato, alle importanti dichiarazioni del presidente riguardo l’attuazione di una politica che appoggi la retorica, si rimane piuttosto delusi. Nessuna manovra, infatti, per l’approvazione del CTBT (Trattato per la completa sospensione degli esperimenti nucleari). Nessuna proroga dell’ accordo START (per la riduzione delle armi di distruzione di massa) con la Russia. Nessun blocco allo sviluppo di una nuova generazione di armi nucleari americane.
Senza un progresso in questi ambiti, le prospettive di un nuovo approccio alla non-proliferazione nucleare globale che verrà discussa alla conferenza di riesame del trattato di non proliferazione nucleare (TNP) a maggio di quest’anno sono praticamente nulle.
Probabilmente il segnale più significativo di una mancata politica di non-proliferazione da parte del governo Obama sta nel fatto che non c’è stato nessun miglioramento riguardo la questione del programma nucleare iraniano e, in particolare, la continua controversia intorno alla proposta di scambio di uranio. L’accordo vorrebbe che l’Iran scambiasse un’ingente quantità delle sue scorte attuali di uranio arricchito al 3.5% (livello necessario per alimentare i reattori nucleari, al contrario dell’uranio arricchito al 90% necessario per le armi nucleari) con barre di materiale fissile contenenti uranio arricchito al 19.5% (livello necessario per azionare un reattore di ricerca di Teheran, di costruzione statunitense, che produce isotopi nucleari utili per fini medici). L’Iran sta esaurendo il combustibile per questo reattore e ha bisogno di nuove risorse di materiali che possano essere utilizzati a tale scopo. Come membro firmatario del TNP, l’Iran avrebbe il diritto di acquisire questo combustibile sul libero mercato, naturalmente sempre sotto la protezione dell’ AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) ma gli Stati Uniti e l’Europa hanno tenuto “in ostaggio” tali vendite con lo scopo di trovare un accordo con l’Iran e sospendere così il suo programma di arricchimento dell’uranio, fonte dell’ uranio arricchito del 3.5% attualmente presente nel Paese.

Il fulcro delle preoccupazioni di Europa e U.S.A. risiede, non nel possesso da parte dell’Iran di uranio arricchito al 3.5%, quanto piuttosto nel fatto che queste tecniche di arricchimento impiegate dall’Iran per produrre questo tipo di uranio impoverito possano essere effettivamente usate, con alcune modifiche, per creare uranio altamente arricchito (90%) da utilizzare nelle armi nucleari. Questa realtà, insieme alla paura di un armamento nucleare iraniano che ne deriva, oscura il fatto che l’ AIEA, oggi, si trova nella posizione di dichiarare che può rendere conto della totalità dell’inventario iraniano di materiale nucleare e che ogni deviazione dal questo materiale nucleare verrebbe immediatamente individuato. Per di più, oltre la capacità di poter arricchire l’uranio non ci sono prove concrete che l’Iran sia coinvolto in un programma di armamento nucleare.

Ma la paura e il sensazionalismo suscitati dalle istituzioni americane ed europee, fortemente influenzate dalla politica di tolleranza zero di Israele quando si parla di Iran e di nucleare, pacifico o no, hanno creato un ambiente dove il buon senso esce dalla finestra e tutto diventa possibile. Prendiamo, per esempio, l’attuale scorta di uranio arricchito al 3.5 % dell’Iran. L’AIEA ha assicurato che il Paese è in possesso di 1800 kg circa di questo materiale. I politologi e gli addetti dell’intelligence dediti alle congetture hanno ipotizzato uno scenario che vede l’Iran usare questa scorta di uranio arricchito al 3.5% come materia prima per un ulteriore miglioramento del lavoro di arricchimento che, se lasciato senza controllo, potrebbe produrre abbastanza uranio altamente arricchito (90%) per una bomba atomica. Per raggiungere il livello di breakout capability, capacità potenziale di creare un ordigno nucleare, l’Iran dovrebbe riconfigurare migliaia di centrifughe al momento usate per l’arricchimento di basso livello ed impiegarle nel processo di aumento dell’arricchimento stesso. Ironicamente, uno dei procedimenti previsti in tale scenario sarebbe, per l’Iran, quello di riconfigurare le proprie centrifughe per arricchire l’uranio al 20% (pressappoco il livello necessario al combustibile nucleare per poter azionare il reattore di ricerca di Teheran).

I timori riguardo questa presunta “breakout capability” di arricchimento da parte dell’Iran hanno raggiunto proporzioni epiche quando, nel settembre 2009, l’Iran aveva rivelato l’esistenza (e l’intelligence degli Stati Uniti aveva dichiarato di aver scoperto) di un impianto di arricchimento sotterraneo vicino alla città di Qom. Il fatto che questo impianto fosse ancora in costruzione e che a partire dallo scorso settembre fosse poco più di un buco rinforzato nel terreno senza alcuna attrezzatura ancora installata non placarono le paure di quelli che vedevano una bomba nucleare iraniana dietro ogni cespuglio e sotto ogni pietra. Improvvisamente l’Iran si trovava sul punto di avere un ordigno atomico e quindi bisognava assolutamente intervenire per prevenire qualsiasi pericolo.

Il centro dell’attenzione si è, però, spostato dal potenziale continuo arricchimento dell’Iran, che Europa e U.S.A. hanno preteso fosse sospeso in modo permanente, verso i 1800 kg di uranio arricchito al 3.5% dell’Iran, indicativo della presenza di una ipotetica bomba atomica. Se questo materiale potesse essere posto sotto il controllo internazionale le ambizioni dell’Iran riguardo le armi nucleari, almeno per l’immediato futuro, potrebbero essere ostacolate. Ma l’Iran non aveva intenzione di cedere a cuor leggero questo materiale. Comunque, un patto tra Stati Uniti e Iran c’è stato e prevedeva che quest’ultimo avrebbe consegnato 1600 kg del suo uranio arricchito del 3.5 % alla Russia, la quale l’avrebbe in seguito arricchito del 19.5 % prima di inviarlo alla Francia che avrebbe trattato l’uranio in barre di combustibile di modo da renderlo inutilizzabile per armi nucleari. Questo scambio sembrava fornire un’elegante soluzione a questo fastidioso problema. Difatti, il presidente Obama lo accolse come una propria iniziativa quando venne annunciato lo scorso ottobre.

Per l’Iran, lo scambio era sempre per acquisire le barre di materiale fissile di cui aveva bisogno, composte dall’uranio arricchito al 19.5 %, per continuare il lavoro del suo reattore di ricerca di Teheran, che produce abbastanza isotopi per i fini medici. La principale attrazione per gli Iraniani riguardo questo patto, oltre all’acquisire le barre di combustibile, era che non avrebbero avuto bisogno di produrre da sé l’uranio arricchito al 19.5% e di conseguenza non avrebbero dovuto riconfiguare le loro attuali infrastrutture di arricchimento con le centrifughe per operare oltre la soglia del 3.5 % . L’Iran ha sempre sostenuto di non necessitare né desiderare alcuna potenzialità per arricchire l’uranio oltre il livello del 3.5% necessario per fabbricare barre di materiale fissile per i propri reattori nucleari. Avendo gli impianti di arricchimento bloccati al 3.5% si sono semplificati non solo i lavori dell’Iran ma anche il monitoraggio di protezione e la necessità di ispezione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, incaricata di verificare l’osservanza da parte dell’Iran dei termini del TNP. L’Iran vedeva lo scambio di combustibile come un mezzo per facilitare l’accettazione internazionale del suo programma di arricchimento dell’uranio, un punto di vista totalmente opposto a quello di Stati Uniti e Europa.

Nessun tipo di diplomazia e accordo sui dettagli dello scambio, se da fare per gradi, se da gestire da una terza parte neutrale o se da svolgere nel corso di alcuni mesi o anni, ha potuto conciliare la posizione iraniana con quella di Stati Uniti e Europa. Al centro del problema c’è il programma iraniano di arricchimento dell’uranio stesso. Qualsiasi accordo di scambio di materiale nucleare è solo una facciata per nascondere la ben più grande questione del SE all’Iran sarà concesso, dalla comunità internazionale, di arricchire uranio. Per Stati Uniti ed Europa queste sottigliezze quali la possibilità di mettere un tetto massimo del 3.5% nell’arricchimento o diversificare per includere il livello del 19.5% sono irrilevanti dal momento che la loro strategia politica è quella di sospendere qualsiasi attività di arricchimento dell’uranio all’interno dell’Iran.

Il punto debole nello scambio di nucleare proposto da Obama lo scorso ottobre è stato quello di non aver dichiarato esplicitamente che qualsiasi tipo di scambio doveva essere unito alla sospensione totale del programma iraniano di arricchimento uranio. Mentre i cervelloni della politica dentro e fuori il governo Obama sostengono che tale posizione fosse più che implicita, data l’esistenza delle delibere del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedono esplicitamente la sospensione, ogni accordo che presenta le scorte iraniane di uranio a basso arricchimento come merce legale fornisce di fatto una legittimazione dei processi che hanno prodotto tale merce. Dal momento che l’Iran ha ripetutamente rifiutato di interrompere le attività di arricchimento ha avuto tutte le ragioni di prendere la proposta di scambio di materiale nucleare come un accordo indipendente che si è concentrato sul problema a breve termine e non come parte di una richiesta più ampia di interruzione di arricchimento.

L’obiettivo della politica statunitense non è mai stata quella di fornire barre di uranio arricchito al 19.5%, o di bloccare il livello di arricchimento consentito al 3.5%, ma piuttosto di portare la maggior parte delle scorte iraniane di uranio arricchito al 3.5% fuori dal paese così da eliminare ogni scenario, non importa quanto improbabile fosse, che vedeva l’Iran usare questo uranio a basso arricchimento come materia prima per il raggiungimento della “nuclear breakout capability”, capacità di produrre armi nucleari. Ecco spiegato perché il governo Obama non abbia mai prestato molta attenzione ai dettagli di tale scambio, dal momento che questi dettagli semplicemente non contavano. Quindi l’approccio statunitense non è mai stato di facilitare tale scambio, almeno non tanto quanto si voleva facilitare un rapimento. L’obiettivo della strategia era di portare la maggior parte delle scorte di uranio arricchito iraniano sotto il controllo internazionale. Una volta che l’Iran non avesse più avuto accesso a 1600kg dei suoi 1800kg di scorta di uranio a basso arricchimento, il governo Obama avrebbe potuto affievolire i timori dovuti alla paura dell’immediatezza di un potenziamento nucleare iraniano. L’Iran avrebbe così impiegato almeno alcuni mesi per ricostituire le riserve di uranio a basso arricchimento al livello necessario per produrre la sua presunta bomba atomica. Durante questo periodo gli Stati Uniti avrebbero raddoppiato le pretese di interruzione di arricchimento uranio e sviluppato un pacchetto completo di sanzioni economiche che sarebbero state imposte all’Iran nel caso avesse rifiutato di cooperare.

Il punto debole nella strategia statunitense fu di non essersi resa conto che tali termini avrebbero potuto funzionare sulla carta non prevedendo che nella realtà le cose erano di gran lunga più complicate. Il governo Obama aveva sperato in un immediato accordo iraniano nello scambio di nucleare. Una volta che l’uranio arricchito dell’Iran era sicuro fuori dal Paese, gli Stati Uniti avrebbero rafforzato la pressione diplomatica per interrompere le attività di arricchimento e in contemporanea premere con sanzioni sul consenso internazionale. Gli esperti di politica statunitense si erano raffigurati una transizione liscia, senza problemi nelle varie fasi di attuazione della strategia. L’Iran però, aderendo in linea di principio allo scambio ma chiedendo comunque un esame più approfondito dei dettagli inerenti a tale accordo, complicarono l’attuazione del piano statunitense.

Fino al dicembre 2009 data termine in cui gli Stati Uniti avevano sperato di avere l’uranio iraniano sotto il loro controllo e una campagna di sanzioni in corso, l’Iran doveva ancora accettare i dettagli dello scambio anche se allo stesso tempo pubblicamente era già impegnato nel progetto. Questo approccio paralizzò l’impegno statunitense di radunare alleanze sulle le sanzioni dal momento che la maggior parte dei Paesi non voleva fare niente che avrebbe minacciato le negoziazioni dello scambio. Giunti al 2010 le tattiche iraniane del rimando hanno costretto gli Stati Uniti a rinunciare a tutte le pretese riguardo lo scambio. Mentre gli intermediari iraniani avevano parlato di una probabile formula che avrebbe potuto estendersi per alcuni mesi, quelli statunitensi parlarono di una tempistica dello scambio dilatata ad alcuni anni, rendendo tale trattativa inutile per il proposito per il quale era stata apparentemente creata, il reattore di ricerca iraniano e la produzione di isotopi medici.

Con il reale obiettivo della strategia statunitense così esposto, la scorsa settimana l’Iran ha annunciato che avrebbe effettuato per conto suo l’arricchimento di uranio al 19.5% necessario per alimentare il reattore di ricerca. Se l’Iran abbia le capacità tecniche o pratiche necessarie per portare al successo tale piano è discutibile. Mentre riconfigurare le sue attuali centrifughe a cascata per produrre uranio arricchito del 19.5% non è impossibile, l’Iran non ha mai provato a trattare l’uranio arricchito nelle barre di materiale fissile. Ugualmente, c’è il dubbio riguardo alla probabilità di sopravvivenza delle scorte iraniane di esafluoruro di uranio (UF6), un gas che viene alimentato all’interno di centrifughe per il processo di arricchimento.

I depositi dell’Iran di UF6 importato sono quasi esauriti. Così anche le scorte di UF6 che l’Iran ha prodotto usando forniture estere di uranio naturale. Ciò che è rimasto al Paese è UF6 prodotto dalle risorse locali di uranio naturale. Tuttavia, si crede che queste riserve siano contaminate da molibdeno, una sostanza metallica la cui presenza provoca problemi di diffusione di massa distruttivi nel caso le centrifughe vengano fatte girare a più di 60000 giri al minuto per estrarre uranio arricchito dall’UF6. Se l’Iran non riesce a inventarsi un modo per estrarre il molibdeno dal suo UF6, senza un fornitore esterno di uranio naturale o senza una pulizia dell’esafluoruro di uranio (attività che dovrebbe essere comunicata all’AIEA) il programma di arricchimento iraniano sarà bloccato.

Questo non impedirebbe all’Iran di utilizzare le sue scorte di uranio arricchito del 3.5% come materia prima per la produzione di uranio arricchito del 19.5%. La riconfigurazione delle sue centrifughe per portare l’arricchimento a un livello superiore è comunque tra le capacità tecniche dell’Iran. La dimostrazione finale del fallimento della politica statunitense di non proliferazione per quanto riguarda il programma nucleare iraniano sta nel fatto che, nel tentativo di rallentare ogni scenario che vedeva il Paese raggiungere la breakout capability e convertire rapidamente le sue scorte a basso arricchimento in materiale fissile ad alto arricchimento, gli Stati Uniti in realtà hanno agevolato tale progetto. Avendo cercato di bloccare gli impianti di arricchimento dell’Iran al livello di 3.5%, qualsiasi deviazione da quel livello sarebbe stata visto con sospetto. Comunque, creando le condizioni che vedono l’Iran ora cercare di costruire impianti di arricchimento adatti all’arricchimento del 20%, il governo Obama ha drasticamente ridotto la soglia di rilevamento e prevenzione che era in atto quando tutto ciò che l’Iran produceva era uranio arricchito del 3.5%.

Il numero di centrifughe richieste per superare l’arricchimento dell’uranio al 20% a livelli ancora più alti è inferiore al numero necessario per passare dal 3.5% al 20%. Inoltre, qualsiasi scenario di potenziamento iraniano che inizia dalle scorte arricchite del 20% raggiungerà il suo obiettivo finale di arricchimento del 90% molto più velocemente rispetto al programma che parte invece dal 3.5%. Il governo di Obama non solo ha reso più semplice all’Iran nascondere la capacità di arricchimento delle armi nucleari, ma l’ha anche reso molto più efficiente. Che non ci siano prove dell’esistenza di un tale programma non importa alle menti di quelli che avevano dato all’Iran una tale capacità sin dall’inizio. Quando si ha a che fare con un universo basato sulla teorica, gli Stati Uniti alla ricerca affannata di uno scambio di materiale fissile con l’Iran hanno semplicemente reso la teoria della “breakout capability” più possibile. E dal momento che la politica di non proliferazione statunitense è guidata più da analisi basate sulla fede che da quelle basate sui fatti si può tutto tranne che garantire che la reazione a questa nuova fiction sarà vera, misurabile e che non avrà altro se non risultati negativi per il Medio Oriente e il Mondo.

L’inspiegabile crisi riguardante il programma nucleare iraniano rappresenta anche uno dei vari fallimenti della non proliferazione spinta dagli Stati Uniti che, insieme, promettono male per la Conferenza di riesame del TNP in arrivo a maggio. Nel maggio dello scorso anno, alla conclusione del Comitato Preparatorio per la conferenza di riesame del TNP, ci furono grandi speranze per la possibilità di un progresso nel raggiungimento del consenso internazionale sulle questioni di non proliferazione e nel ridisegnare il TNP per catturare questo consenso. Molte di queste speranze erano derivate dalle dichiarazione e dalla retorica del governo Obama riguardo il disarmo nucleare e il controllo degli armamenti. Sfortunatamente la retorica non ha mai riflesso la realtà.

Non solo la politica statunitense verso l’Iran è stata esposta come operante senza alcuna considerazione delle condizioni del TNP (all’Iran in fin dei conti secondo l’articolo 4 del trattato è permesso arricchire uranio per scopi pacifici), ma gli impegni fondamentali resi dal governo Obama un requisito necessario per il successo della conferenza di riesame del TNP a maggio 2010 (movimento per la ratifica del CTBT, accordo con i Russi per estendere il meccanismo di verifica inerente lo START e ottenere maggiori tagli ai propri rispettivi arsenali nucleari) non si sono mai concretizzati. Non c’è quasi nessuna possibilità che il CTBT venga sottoposto all’attenzione del Senato degli Stati Uniti per la ratifica, figuriamoci che venga veramente ratificato. Il fallimento del governo a estendere lo START oltre la data termine del dicembre 2009 non solo ha lasciato Stati Uniti e Russia senza alcun mezzo di verifica del controllo degli armamenti ma ha anche risvegliato in entrambi i Paesi quelle latenti tendenze a un’era di Guerra Fredda, con i Russi che schierano una nuova generazione di missili balistici intercontinentali e gli Stati Uniti che parlano di una modernizzazione della testata nucleare.

Il presidente Obama spera che la conferenza di riesame del TNP del 2010 possa aprire la strada a un’ approvazione globale delle strategie multilaterali verso il disarmo nucleare e la non proliferazione. Invece, l’imminente pericolo accelera solo l’attuale tendenza degli Stati Uniti a rifiutare accordi internazionali e accetta, invece, un unilateralismo sostenuto dalle false premesse che la sicurezza possa essere ottenuta attraverso la supremazia nucleare. Basti solo esaminare gli eventi dell’11 settembre e il continuo fallimento della guerra globale al terrorismo degli Stati Uniti per capire la fallacia del ragionamento.

La politica degli Stati Uniti riguardo il programma nucleare iraniano è da imputare come responsabile di molti, se non di tutti questi fallimenti. Se si fosse usato questo accordo di scambio come un’opportunità per riportare l’Iran all’”ovile”, nella comunità internazionale (non escludendo gli sforzi per l’arricchimento dell’uranio, ma piuttosto cercando una legittimazione attraverso ispezioni più numerose dell’AIEA e un accordo dell’Iran a partecipare al programma delle banche di carburante regionali strettamente controllate che terrebbero le sue scorte di uranio arricchito sotto una rigida sorveglianza internazionale) non ci sarebbe una politica agitata come è capitato nell’autunno 2009.

I timori riguardo il fantasma dell’arma nucleare iraniana verrebbero dissipati e con essi l’illogica insistenza degli Stati Uniti riguardo le iniziative di difesa del missile balistico cha ha fatalmente messo a repentaglio l’attuale round in corso tra Stati Uniti e Russia nelle negoziazioni per il controllo degli armamenti. Se il governo Obama fosse rimasto coerente con la decisione del settembre scorso di terminare il piano controverso della difesa missilistica dell’era di Bush che coinvolge la dislocazione di missili intercettatori e sistemi radar in Polonia e Repubblica Ceca, oggi ci sarebbe un trattato START. Ma la strategia da gioco di prestigio, in cui un programma è stato interrotto solo per essere sostituito con un altro, ha scatenato preoccupazioni tra i leader militari russi riguardo i reali obiettivi politici del governo di Obama.

Il governo ha dimostrato che, per tutti gli obiettivi e i nobili intenti esibiti all’inizio nell’arena del controllo degli armamenti e della non proliferazione, è anch’esso sensibile alla dipendenza alle armi nucleari che ha tormentato l’America fin dal 1945. Questa dipendenza che alimenta l’idea degli Stati Uniti autoproclamatisi salvatori globali e poliziotti, impedisce ogni politica percepita come un modo per indebolire e minare la supremazia nucleare americana. Al tempo in cui il mondo aveva bisogno della leadership americana nel campo del disarmo e della non proliferazione, non si è avuto niente se non una ripetizione delle politiche passate, avvolte da illusioni paranoiche di una nazione che è incapace o riluttante ad affrontare la realtà. Una sicurezza internazionale autentica non deriva da quelle nazioni, compresi gli Stati Uniti, che cercano di imporre, attraverso la supremazia nucleare, politiche basate su deterrenti. La vera sicurezza viene da un mondo privo di armi nucleari.

Per proteggere l’America, un presidente deve avere il coraggio di smontare ciò che in passato è stato proclamato come base per la nostra sopravvivenza ma che in realtà ci consegna i semi della nostra distruzione: le armi nucleari. Il presidente Obama ha presentato tale visione nel suo innovativo discorso a Praga lo scorso aprile. Da quella volta gli Stati Uniti hanno intrapreso politiche di controllo degli armamenti e di non proliferazione che non solo hanno impedito all’America di avanzare lungo il sentiero della pace e della sicurezza ma hanno addirittura peggiorato le questioni.

Le politiche devono essere giudicate non dalle loro intenzioni ma dai loro risultati. In questo, le politiche del governo Obama rappresentano un fallimento abissale. Il governo sta cercando di spostare le colpe altrove, in Iran, in Cina, in Russia e in Corea del nord. Ma la causa principale di tale fallimento risiede proprio nella totale mancanza di coraggio e convinzione di Barack Obama. Ha dichiarato di avere una visione di un mondo senza armi nucleari solo per cadere poi nella presunzione e nell’avidità che hanno colpito i precedenti presidenti degli Stati Uniti tentati dalla supremazia sul mondo che le armi nucleari promettono.

Titolo originale: “The End of Obama’s Vision of a Nuke-Free World

Fonte: http://www.truthdig.com
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16.02.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARICA ROBIBARO

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