Espansione dei deserti, abbassamento delle falde acquifere e tossine costringono le persone a lasciare le proprie case
DI LESTER BROWN
Earth Policy Institute
WASHINGTON – Le persone non abbandonano
le proprie case, le proprie famiglie e le loro comunità a meno
che non abbiano altre alternative. Ma via via che gli stress ambientali
crescono, possiamo aspettarci un crescente numero di profughi ambientali.
L’innalzamento dei mari e l’incremento di tempeste devastanti colpiscono
le coste, ma anche l’espansione dei deserti, l’abbassamento delle falde
acquifere, nonché i rifiuti tossici e le radiazioni allontanano la
gente dalle proprie case.
In questo momento la desertificazione
è in avanzamento praticamente ovunque. Il deserto del Sahara,
per esempio, si sta espandendo in ogni direzione. Avanzando verso nord,
schiaccia le popolazioni di Marocco, Tunisia e Algeria contro la costa
del Mediterraneo.
La regione africana del Sahel – la
vasta fascia di savana che separa il Sahara meridionale dalle foreste
pluviali dell’Africa centrale – si sta ritirando, man mano che il
deserto avanza verso sud. Man mano che il deserto invade la Nigeria,
la nazione più popolosa dell’Africa, dal nord contadini e pastori vengono
spinti verso sud, schiacciati in un area sempre più ridotta di terra
produttiva.
Una conferenza ONU sulla desertificazione
del 2006 tenutasi in Tunisia ha stimato che, entro il 2020, più
di 60 milioni di persone potrebbero migrare dall’Africa sub-sahariana
verso il nord Africa e l’Europa.
In Iran i villaggi abbandonati per
via dell’avanzamento dei deserti o per la mancanza di acqua si contano
a migliaia. In Brasile, qualcosa come 250.000 miglia quadrate di territorio
sono colpite dalla desertificazione, la maggior parte concentrate nella
parte nord-est del paese.
In Messico, molti dei migranti che
ogni anno lasciano le comunità rurali nelle regioni aride e semi-aride
del paese lo fanno a causa della desertificazione. Alcuni di questi
profughi ambientali vanno a finire nelle città messicane, altri attraversano
la frontiera nord per andare negli Stati Uniti.
Analisti statunitensi stimano che il
Messico sia costretto ad abbandonare 400 miglia quadrate di terreno
agricolo ogni anno a causa della desertificazione.
In Cina l’espansione dei deserti ha
accelerato il passo in ogni decennio a partire dal 1950. Lo studioso
di deserti Wang Tao riporta che nell’ultimo mezzo secolo circa, qualcosa
come 24.000 villaggi nel nord e nell’ovest della Cina sono stati parzialmente
o interamente abbandonati a causa dell’espansione dei deserti.
La Cina si sta dirigendo verso una
“Dust Bowl” ( lett. “conca di sabbia”, si intende una
serie di tempeste di sabbia che colpirono Canada e Stati Uniti centrali
tra il 1931 e il 1939; ndt) che costrinse più di due milioni di “Okies”
(nomignolo dato agli abitanti dell’Oklahoma, che passò ad indicare
i “migranti” della Grande Depressione che si recavano in California;
ndt) ad abbandonare le proprie terre negli Stati Uniti degli anni ’30
del secolo scorso. Ma la dust bowl che si sta formando in Cina
è molto più grande, così come lo è sua popolazione. In Cina i migranti
si potrebbero misurare nell’ordine delle decine di milioni. E, come
ha osservato un rapporto dell’ambasciata americana intitolato “Furore
nella Mongolia interna” (dal titolo del libro di J. Steinbeck, che
narra appunto di una famiglia in viaggio verso la California durante
la Depressione; ndt): “Sfortunatamente gli ‘Okies‘ cinesi del
ventunesimo secolo non hanno una California verso cui scappare, per
lo meno non in Cina.”
Dato che la vasta maggioranza dei 2,3
miliardi di persone che si stima popoleranno il mondo entro il 2050
nascerà in nazioni dove le falde acquifere si stanno abbassando, i
profughi dell’acqua si avviano a diventare una ovvietà. Essi saranno
maggiormente comuni nelle regioni aride e semi-aride dove le popolazioni
stanno esaurendo le riserve d’acqua, affondando nella povertà idrica.
Molti villaggi nel nord-est dell’India
sono stati abbandonati quando le falde acquifere si sono esaurite e
le persone non hanno più potuto trovare acqua. Milioni di abitanti
di villaggi nel nord e nell’ovest della Cina nonché nel nord del Messico
dovranno migrare a causa della mancanza d’acqua.
Fino ad ora gli sfollamenti dovuti
alla scarsità d’acqua si sono limitati ai villaggi, ma probabilmente
intere città dovranno essere trasferite, come Sana’a, capitale dello
Yemen, e Quetta, capitale della provincia pakistana del Belucistan.
Sana’a, una città, in rapida espansione,
di due milioni di persone, sta letteralmente finendo l’acqua.
Quetta, originariamente progettata
per 50.000 abitanti, ha ora una popolazione che supera il milione, che
dipendono tutte da 2000 pozzi che pompano acqua da quella che si crede
sia una falda fossile. Nelle parole di uno studio che stima la sua “prospettiva
idrica”, Quetta sarà presto ‘una città morta’.
Altre due nazioni semi-aride del Medio
Oriente che soffrono per la carenza d’acqua sono la Siria e l’Iraq.
Entrambe stanno iniziando a pagare le conseguenze dell’eccessivo sfruttamento
delle loro falde, vale a dire che i pozzi di irrigazione si stanno esaurendo.
In Siria questa tendenza ha costretto all’abbandono di 160 villaggi.
E un rapporto delle Nazioni Unite calcola che più di 100,000 persone
nel nord dell’Iraq saranno sradicate a causa della carenza d’acqua.
Un’ultima categoria di profughi ambientali
è apparsa solo negli ultimi cinquanta anni circa: persone che cercano
di fuggire da scarichi/rifiuti tossici o livelli pericolosi di radiazioni.
Alla fine degli anni ’70 del ‘900 Love
Canal – una cittadina nell’alto stato di New York, parte della quale
fu costruita sopra un sito per lo stoccaggio di rifiuti tossici –
guadagnò i titoli dei giornali nazionali e internazionali. A partire
dall’agosto del 1978 le famiglie furono trasferite a spese del governo
e rimborsate per le loro case a prezzo di mercato. Entro l’ottobre del
1980 un totale di 950 famiglie furono trasferite definitivamente. Pochi
anni dopo il governo federale organizzò l’evacuazione permanente e
il trasferimento di tutti i 2000 residenti di Times Beach, in Missouri,
dopo che l’agenzia per la protezione dell’ambiente rilevò livelli di
diossina ben al di sopra degli standard di salute pubblica.
Mentre gli Stati Uniti hanno trasferito
due comunità a causa di inquinanti dannosi per la salute, l’identificazione
di più di 450 “villaggi del cancro” in Cina suggerirebbe la
necessità di evacuare centinaia di comunità. Le statistiche del Ministero
della Salute cinese mostrano come il cancro sia la principale causa
di morte nel paese e, a causa degli scarsi controlli sull’inquinamento,
intere comunità site nelle vicinanze di industrie chimiche stiano soffrendo
incidenze di cancro senza precedenti. I giovani si spostano in massa
nelle città alla ricerca di lavoro e della possibilità di una salute
migliore. Ma molti altri sono troppo malati o troppo poveri per andarsene.
Un’altra fonte tristemente famosa di
profughi ambientali è la centrale nucleare Chernobyl vicino Kiev
, che esplose nell’Aprile 1986. L’incidente innescò un potente
incendio che arse per dieci giorni.
Enormi quantità di materiali radioattivi
furono emessi nell’atmosfera inondando le comunità della regione con
forti dosi di radiazioni. Come risultato i residenti dell’adiacente
cittadine di Pripyat e molte altre comunità in Ucraina, Bielorussia
e Russia furono evacuate, richiedendo la risistemazione di 350.400 persone.
Nel 1992, sei anni dopo l’incidente,
la Bielorussia stanziava ancora il 20% del suo budget nazionale
per le risistemazioni e i numerosi altri costi dovuti all’incidente.
Quando un devastante terremoto e il
conseguente tsunami hanno colpito il Giappone nel marzo 2011, la successiva
crisi nucleare dovuta al grave danneggiamento della centrale elettrica
di Fukushima Daiichi ha costretto decine di migliaia di persone ad abbandonare
le proprie case. Se potranno ritornare o quando potranno essere sistemate
in maniera permanente è ancora una domanda senza risposta.
Distinguere i motivi originari dei
singoli moderni profughi non è sempre semplice. Spesso gli stress
ambientali ed economici che spingono le migrazioni sono strettamente
intrecciati. Ma qualunque sia la ragione per abbandonare le proprie
case, le persone sono sempre più costrette ad azioni disperate. Alcune
delle loro storie sono strazianti oltre ogni immaginazione.
Visti come un fenomeno generale i profughi
migrano dai paesi poveri verso quelli ricchi, dall’Africa, Asia e America
latina, verso il Nord America e l’Europa. Alcuni dei flussi più ingenti
attraversano confini tra stati, e sono quindi considerati illegali.
Il potenziale spostamento di massa di persone attraverso le frontiere
nazionali sta già interessando alcuni paesi. Gli Stati Uniti hanno
eretto un muro lungo la frontiera con il Messico. Il Mar Mediterraneo
è costantemente pattugliato da forze navali che cercano di intercettare
le piccole imbarcazioni di emigranti africani diretti in Europa. L’India,
interessata da un flusso costante di immigrati dal Bangladesh e con
la prospettiva che altri milioni ne arrivino, sta costruendo un muro
altro tre metri lungo la loro frontiera comune.
Forse è tempo per i governi di
valutare se non sia più economico, e molto meno doloroso in termini
umani, cercare di risolvere le cause delle migrazioni piuttosto che
semplicemente fronteggiarle. Ciò significa lavorare con i paesi in
via di sviluppo per ripristinare il sistema naturale di supporto delle
loro economie – il suolo, le falde acquifere, le praterie , le foreste
– e significa accelerare il passaggio verso nuclei familiari più piccoli
per aiutare le persone a uscire dalla povertà. Curare i sintomi invece
delle cause non è una buona medicina. E men che meno una buona politica
sociale.
Lester R. Brown è presidente
dell’Earth Policy Institute
e autore di “Plan B 4.0: Mobilizing to Save Civilization”.
Fonte: Expanding
Deserts, Falling Water Tables, and Toxic Pollutants Driving People from
Their Homes
23.08.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RODOLFO MASI