DI THIERRY MEYSSAN
Reseau Voltaire
Un clan saudita dei Sudairi
è al centro dell’ondata controrivoluzionaria lanciata nel Vicino
Oriente per conto degli Stati Uniti. In una lunga analisi, suddivisa
in episodi pubblicati sul più importante quotidiano di lingua russa,
Thierry Meyssan inizia partendo da Damasco nel descrivere il quadro
generale delle contraddizioni che agitano questa regione.
In pochi mesi, tre governi filo-occidentali
sono caduti nel mondo arabo: il parlamento ha rovesciato il governo
di Saad Hariri in Libano, dopo di che i movimenti popolari avevano deposto
Zine el-Abbidine di Ben Ali in Tunisia e arrestato Hosni Mubarak in
Egitto.
Questi cambiamenti di regime
sono stati accompagnati da manifestazioni contro il dominio statunitense
e il sionismo. Hanno favorito politicamente l’Asse della Resistenza,
costituito da Iran e Siria e da Hezbollah e Hamas.Per guidare la contro-rivoluzione in
questa regione, Washington e Tel Aviv hanno fatto appello al loro sostegno
più fidato: il clan dei Sudairi che interpreta più di ogni altro il
dispotismo al servizio dell’imperialismo.
I Sudairi
Probabilmente non ne avete
mai sentito parlare, ma i Sudairi sono l’organizzazione politica più
ricca al mondo da decenni. I Sudairi sono formati dai cinquantatré
figli del re Ibn Saud, fondatore dell’Arabia Saudita, sette dei quali
sono stati generati dalla principessa Sudairi. Il loro capo era il re
Fahd, che governò dal 1982-2005. Non sono passati ancora sei anni dalla
sua morte. Il più anziano è il principe Sultan, ministro della Difesa
dal 1962, di 85 anni. Il più giovane è il Principe Ahmed, vice ministro
degli interni dal 1975, anni 71. Dagli anni ’60, il loro clan ha organIizzato,
strutturato e finanziato i regimi fantoccio filo-occidentali del “Grande
Medio Oriente”. Ora è necessario dare uno sguardo al passato.
L’Arabia Saudita è una figura giuridica
creata dagli inglesi durante la Prima Guerra Mondiale per indebolire
l’Impero Ottomano. Anche se Lawrence d’Arabia aveva ideato il concetto
di “nazione araba”, in realtà non era mai riuscito a fare
di questi paesi delle nazioni, tanto meno un’unica Nazione. È stata
ed è tuttora una proprietà privata dei Saud. Come è stato mostrato
dall’inchiesta britannica sullo scandalo Al-Yamamah, all’inizio
del XXI secolo non esistono conti bancari o bilanci del regno; ci sono
solo i conti della famiglia reale che sono utilizzati per amministrare
quello che è il loro dominio privato.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale,
dato che il Regno Unito non aveva più mezzi per sostenere il proprio
imperialismo, questo territorio è passato sotto la sovranità degli
Stati Uniti. Il presidente Franklin D. Roosevelt fece un accordo con
re Ibn Saud: la sua famiglia avrebbe garantito la fornitura di petrolio
agli Stati Uniti che, in cambio, avrebbero assicurato il sostegno militare
necessario per mantenere i Saud al potere.
Questa alleanza è conosciuta con il
nome di Accordo di Quincy, per essere stata negoziata sulla nave che
aveva lo stesso nome. Si tratta di un accordo, non un trattato, perché
non si lega due stati, ma uno stato e una famiglia.
L’Accordo di Quincy che lega gli Stati Uniti alla famiglia dei Saud
Ma visto che il re fondatore, Ibn Saud,
aveva 32 mogli e 53 figli, non tardano ad emergere le rivalità tra
i potenziali successori gravi. E allora è stato così deciso che la
corona non si sarebbe trasmessa di padre in figlio, ma di fratellastro
in fratellastro.
Cinque figli di Ibn Saud sono già
saliti al trono. L’attuale re, Abdullah I, 87 anni, è un uomo di larghe
vedute, anche se del tutto scollegato dalla realtà contemporanea. Consapevole
del fatto che l’attuale sistema dinastico andrà a perdersi, egli vuole
riformare le regole di successione. Il sovrano sarà quindi nominato
dal Consiglio del Regno, ossia dai rappresentanti dei vari rami della
famiglia reale, e potrebbe anche essere una generazione più giovane.
Questa idea saggia non ha soddisfatto
i Sudairi. Infatti, tenuto conto delle diverse rinunce al trono per
motivi di salute o di sibaritismo, i tre prossimi candidati appartengono
al clan: il principe Sultan già nominato ministro degli Interni di
85 anni, il principe Naif, ministro degli Interni di anni 78 e il principe
Salman, governatore di Riyadh, anni 75. Se si dovesse applicare la nuova
regola dinastica, tutto ciò andrebbe a loro svantaggio.
Resta quindi inteso che i Sudairi,
a cui non è mai andato troppo a genio il loro fratellastro, sono ora
giunti a odiare proprio il re Abdullah. Capiamo quindi il motivo che
li ha spinti a mettere tutte le loro forze nella battaglia che si sta
combattendo.
Il Principe Bandar e suo «fratello» George W. Bush
Il ritorno di Bandar Bush
Alla fine degli anni ’70, il clan Sudairi
era guidato dal principe Fahd. Lui aveva notato le notevoli qualità
di un bambino di suo fratello Sultan: il Principe Bandar. Lo inviò
a negoziare le forniture di armi a Washington e ne aveva apprezzato
il modo in cui giunse all’accordo col presidente Carter.
Quando Fahd salì al trono nel 1982, designò il principe Bandar come
suo uomo di fiducia. Lo ha poi nominato capo militare, in seguito ambasciatore
a Washington, un incarico che ha mantenuto durante tutto il regno fino
a che il re Abdullah lo ha licenziato improvvisamente nel 2005.
Figlio del principe Sultan e di una
schiava libica, il principe Bandar è una personalità brillante e spietata
che si è insediato all’interno della famiglia reale, nonostante lo
stigma legato alla sua origine materna. Ora è il braccio destro del
clan gerontocratico dei Sudairi.
Durante la sua lunga permanenza a Washington,
il principe Bandar ha fatto amicizia con la famiglia Bush, in particolare
con George H. Bush, con cui era inseparabile. A quest’ultimo piace ritrarlo
come il figlio che avrebbe tanto desiderato, tanto da essere soprannominato
nella capitale col nome di “Mr.
Bandar Bush“. Quello che George H. – ex direttore della CIA
e ex presidente degli Stati Uniti – apprezzava di più era il suo
talento per l’azione illegale.
“Mr.
Bandar Bush” ha trovato posto nell’alta società degli Stati
Uniti. È sia governatore a vita dell’Aspen Insitute
che membro del Bohemian Grove. Il pubblico britannico ha scoperto
la sua esistenza nello scandalo Al-Yamamah, il più grande contratto
di vendita di armi della storia e il caso di corruzione più notevole.
Nel corso di due decenni (1985-2006), British
Aerospace, presto ribattezzata BAE
Systems, ha venduto armi per un valore di 80 miliardi dollari all’Arabia
Saudita che, con discrezione, restituiva parte di questa manna sui conti
bancari dei politici sauditi e, probabilmente, britannici, di cui 2
miliardi di dollari per il solo principe Bandar.
Il problema è che Sua Altezza aveva
un sacco di spese. Il principe Bandar ha assunto a servizio un certo
numero di combattenti arabi licenziati dai servizi segreti pakistani
e sauditi durante la Guerra Fredda per combattere l’Armata Rossa in
Afghanistan su richiesta della CIA e dell’MI6. Naturalmente la figura
più conosciuta di questo gruppo altri non era che il miliardario diventato
guru della jihad anti-comunista, Osama bin Laden.
È impossibile dire con precisione
quanti uomini aveva il principe Bandar. Nel corso del tempo, si può
vedere la sua mano in molti conflitti e negli atti terroristici commessi
in tutto il mondo musulmano, dal Marocco allo Xinkiang cinese. Ad esempio,
si può menzionare il piccolo esercito che aveva piantato un campo palestinese
in Libano a Nahr el-Bared col nome di Fatah al-Islam. La missione
di questi combattenti era quella di aiutare i rifugiati palestinesi,
per gran parte sunniti, nel proclamare un emirato indipendente e per
combattere Hezbollah. L’affare è andato male, gli stipendi di mercenari
non sono stati pagati in tempo. Alla fine del 2007, gli uomini del principe
Bandar si sono trincerati nel campo e 30.000 palestinesi sono stati
costretti a fuggire, mentre l’esercito libanese ha combattuto per due
mesi una battaglia per tornare in possesso del campo. Quest’operazione
è costata la vita a 50 mercenari, 32 civili palestinesi e 68 soldati
libanesi.
Nei primi mesi del 2010, Bandar ha messo in scena un colpo di stato
per rovesciare il re Abdullah e mettere suo padre, Sultan, sul trono.
Il complotto è stato scoperto e Bandar è finito in disgrazia, senza
però perdere i suoi titoli ufficiali. Ma alla fine del 2010, il peggioramento
della salute dei re e l’infittirsi deii suoi interventi chirurgici
hanno dato modo ai Sudairi di riprendere fiato per imporre un loro ritorno
con il supporto dell’amministrazione Obama.
Saad Hariri, dalla doppia nazionalità saudita e libanese, si è unito ai Sudairi.
Primo ministro libanese dimissionario, da tre mesi sta bloccando
la formazione di un nuovo governo e nell’attesa sta sbrigando gli affari correnti.
È stato dopo aver fatto visita al
re, ricoverato a Washington, e aver concluso troppo in fretta che stava
morendo, il Primo Ministro libanese Hariri si è unito ai Sudairi. Saad
Hariri è un saudita, nato a Riyadh, ma con una doppia nazionalità.
Ha rilevato la fortuna di suo padre, che doveva tutto a Saud. È dunque
un obbligato del re e è diventato Primo Ministro del Libano sotto la
sua spinta, anche se il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti era
preoccupato per la sua capacità di ricoprire questa posizione.
Durante il periodo in cui ha obbedito al re Abdullah, Saad Hariri ha
cominciato a riconciliarsi con il presidente Bashar al-Assad. Ha ritirato
le accuse che aveva rivolto a lui sull’assassinio di suo padre, el-Rafik
Hariri, e si è rammaricato di essere stato manipolato per creare tensione
tra Libano e Siria. Avallando i Sudairi, Saad ha fatto un voltafaccia
politico. Durante la notte, ha rinunciato alla politica di accondiscendenza
di re Abdullah nei confronti di Siria e di Hezbollah e ha lanciato un’offensiva
contro il regime di Bashar el-Assad per ottenere il disarmo di Hezbollah
e un compromesso con Israele.
Tuttavia il re Abdullah si è svegliato dal suo stato semi-comatoso
e ha tardato a chiedere conto di tutto questo.
Privato di questo sostegno essenziale,
Saad Hariri e il suo governo sono stati rovesciati dal Parlamento libanese
a favore di un altro miliardario dalla doppia nazionalità, Najib Mikati,
un po’ meno avventuroso. Per punizione, il re Abdullah ha avviato
un’indagine sulla principali società saudita degli Hariri e ha arrestato
alcuni dei loro collaboratori per truffa.
Le legioni dei Sudairi
I Sudairi hanno deciso di lanciare una controrivoluzione in tutte le
direzioni.
In Egitto, dove hanno finanziato con una mano Mubarak e con l’altra
i Fratelli Musulmani, hanno poi imposto un’alleanza tra la confraternita
e gli ufficiali filo-americani.
Nel complesso, questa nuova coalizione ha condiviso il potere, escludendone
i dirigenti della rivoluzione di piazza Tahrir. Ha rifiutato la convocazione
di un’Assemblea Costituente, limitandosi a modificare marginalmente
la costituzione.
In primo luogo, ha dichiarato l’Islam religione di Stato, a danno della
minoranza cristiana copta (circa il 10%) che era stata oppressa da Hosni
Mubarak e che si era mobilitata in massa contro di lui. Inoltre, il
dottor Mahmoud Izzat, numero due dei Fratelli Musulmani, si è appellato
per una rapida introduzione della sharia
e per il ripristino delle punizioni islamiche.
Portavoce dei Fratelli Musulmani in Egitto, Essam Elarian non ha focalizzato la sua campagna sull’abrogazione degli accordi di Camp David, ma sulla criminalizzazione dell’omosessualità. Secondo lui, anche se la maggioranza della popolazione concorda sul fatto che sia un ‘vizio’, uno stato musulmano ha l’obbligo di punirla in base alla Sharia
Il giovane Wael Ghoneim, che aveva svolto un ruolo di primo piano nel rovesciamento del tiranno, è stato escluso il 18 febbraio dal podio dei festeggiamenti per la vittoria davanti a quasi 2 milioni di persone.
Al contrario, il predicatore più in vista dei Fratelli Musulmani, Youssef
al-Qardawi, di ritorno dopo 30 anni di esilio in Qatar, ha potuto parlare
a lungo. Lui, che era stato privato della cittadinanza da Gamal Abdel
Nasser, si è elevato a essere l’incarnazione della nuova era: quella
della sharia e della coesistenza pacifica con il regime sionista
di Tel Aviv.
Il Nobel per la Pace, Muhammad el-Baradei, che i Fratelli Musulmani
hanno scelto come portavoce durante la rivoluzione per dare un’immagine più aperta, è stato aggredito fisicamente dai Fratelli stessi in vista del referendum costituzionale e è stato spinto al di fuori dalla scena politica.
I Fratelli Musulmani hanno annunciato l’ingresso in politica, formalizzando
la creazione di un nuovo partito, Libertà e Giustizia, sostenuto dal
National Endowment for Democracy (NED) imitandone l’immagine dal turco AKP (hanno scelto la stessa strategia in Tunisia con il Partito del Rinascimento).
In questo contesto, la violenza è stata perpetrata contro le minoranze
religiose. Così due chiese copte sono stati incendiate. Invece di punire
gli aggressori, il Primo Ministro ha adempiuto a una promessa: ha licenziato il governatore che aveva nominato nella provincia di Qenna, lo stimato generale Imad Mikhael, solo perché non era sunnita, ma cristiano copto.
Il Consiglio di Cooperazione nel Golfo (GCC) ha richiesto a alta voce l’intervento
della NATO in Libia e ha inviato l’esercito saudita e la polizia dell’emirato
per schiacciare le proteste in Bahrein.
In Libia, i Sudairi hanno trasferito i combattenti armati in Cirenaica fino a quando i franco-britannici non hanno dato il segnale per l’insurrezione contro il governo di Tripoli. Sono stati loro a distribuire le armi e le bandiere rosso-nero-verde con la stella e la mezzaluna, simboli della monarchia Senoussi, storica protettrice dei Fratelli Musulmani.
Il loro obiettivo è quello di deporre il sobillatore Gheddafi e di ripristinare il principe Mohammed sul trono di quello che fu il Regno Unito di Libia.
Il Consiglio di Cooperazione del Golfo è stato il primo che ha richiesto
un intervento armato contro il governo di Tripoli. E, in sede di Consiglio,
la delegazione saudita ha guidato le manovre diplomatiche della Lega
Araba per sostenere l’attacco da parte degli eserciti occidentali.
Da parte sua, il colonnello Gheddafi ha assicurato in numerosi discorsi
che non era in atto alcuna rivoluzione in Cirenaica, ma che la sua nazione era vittima di un’operazione di destabilizzazione di Al Qaeda; queste cose hanno fatto sorridere, a torto dato che sono state confermate dal comandante USA di Africa Command
in persona: ricordiamo il malessere del generale Carter F. Ham, comandante delle prime operazioni militari degli Stati Uniti prima di essere assunto dalla NATO.
Rimase sorpreso dal dover scegliere i propri obiettivi sulla base delle rivelazione di spie conosciute per aver combattuto contro le forze alleate in Afghanistan: erano gli uomini di bin Laden.
Il Bahrein è invece un regno indipendente dal 1971. In realtà, è ancora un territorio governato dai britannici che avevano designato a tempo debito come primo ministro il principe Khalifa, che ha mantenuto
quest’incarico ininterrottamente per 40 anni, dalla finta dichiarazione
d’indipendenza fino a oggi. Una continuità che non è affatto dispiaciuta
ai Sudairi.
Il re Hamad ha rilasciato una concessione agli Stati Uniti che hanno così installato nel porto di Juffair il quartier generale del Comando Centrale della Marina e della Quinta Flotta. In queste circostanze, la richiesta popolare di una monarchia costituzionale ha il significato di una richiesta di una vera indipendenza, della fine del dominio britannico e della partenza delle truppe americane. Una rivendicazione del genere
sarebbe in grado di spandersi a macchia d’olio in Arabia Saudita e
di minacciare le fondamenta del sistema.
I Sudairi hanno così convinto il re del Bahrein a reprimere nel sangue
qualsiasi speranza popolare.
Garante dell’ordine costituito, il principe Nayef è l’irremovibile
ministro saudita degli Interni e dell’Informazione da 41 anni.
Il 13 marzo, il Segretario della Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, è arrivato per installare il coordinamento delle operazioni a Manama, iniziate il giorno seguente con l’ingresso delle forze speciali saudite sotto il comando del principe Nayef, conosciute come le “Aquile di Nayef”.
In pochi giorni, tutti i simboli della protesta sono stati distrutti,
tra cui il monumento pubblico eretto nella piazza una volta chiamata
la Perla. Centinaia di persone sono state uccise o fatte sparire. La
tortura, che era stato abbandonata da quasi un decennio, è di nuovo
diffusa. I medici e infermieri che hanno curato le feriti dei manifestanti
sono stati arrestati all’interno degli ospedali, tenuti in isolamento
e portati di fronte ai tribunali militari.
Tuttavia, l’aspetto più importante in questa terribile repressione
è la volontà di trasformare una classica lotta di classe tra un intero
popolo e una classe di privilegiati venduti all’imperialismo straniero,
in un conflitto settario. La maggior parte dei cittadini del Bahrein
sono sciiti, mentre la famiglia regnante è sunnita; lo sciismo è il
veicolo dell’ideale rivoluzionario di Ruhollah Khomeini, che è stato
designato come bersaglio. In un mese le ‘Aquile di Nayef’ hanno
raso al suolo 25 moschee e ne hanno danneggiate altre 253.
Ventuno tra i principali capi della protesta politica saranno presto
processati da un tribunale speciale. Rischiano la pena di morte. Più
che contro gli sciiti, la monarchia si è incattivita con Ibrahim Sharif,
il presidente del partito Waed (della sinistra laica), che accusa di
non stare al gioco, visto che è un sunnita.
Non potendo destabilizzare l’Iran, i Sudairi hanno concentrato
i loro attacchi contro la Siria.
La destabilizzazione della Siria
Ai primi di febbraio, quando nel paese non c’era ancora alcun movimento di protesta, è stata creata su Facebook una pagina intitolata “La rivoluzione siriana 2011” col proposito di convocare una ‘Giornata della Collera’ per venerdì 4. L’appello è stato rilanciato da Al-Jazeera, ma visto lo scarso seguito non ha portato a niente. Il network qatariano ha deplorato la mancanza di reazione e ha stigmatizzato la Siria come il “regno del silenzio”.
Le rivoluzioni messe in scena per i media hanno ora un logo.
Ecco quello della “Rivoluzione Siriana 2011” presente su Facebook.
Il nome “La Rivoluzione Siriana 2011” è inquietante: in inglese,
sulla falsa riga di uno slogan pubblicitario. Ma quel rivoluzionario che non riuscirà a realizzare il suo ideale nel 2011, potrà tornare a dormire a casa?
Cosa ancora più strana, questa pagina di Facebook ha registrato oltre
80.000 amici nel giorno della sua creazione. Tanto entusiasmo in poche
ore, seguito poi dal nulla più assoluto, evoca una manipolazione effettuata con dei software per creare gli account. Soprattutto perché i siriani usano poco Internet e scarsa possibilità di accesso alle reti ADSL dal 1° gennaio.
I guai sono cominciati un mese dopo a Deraa, una cittadina rurale situata
al confine giordano a pochi chilometri da Israele. Degli sconosciuti
hanno pagato alcuni ragazzi per disegnare dei graffiti antigovernativi
sui muri della città. La polizia locale ha arrestato gli studenti e
li trattati come dei criminali con sommo dispiacere delle loro famiglie.
Alcune persone di spicco del posto che avevano l’intenzione di risolvere
la controversia sono stati allontanati in malo modo. I giovani sono
stati picchiati. Le famiglie hanno furiosamente attaccato la stazione
di polizia per liberarli. La polizia ha risposto con ancora maggiore
brutalità, uccidendo i manifestanti.
Il presidente Bashar al-Assad è poi intervenuto per punire la polizia
e il governatore – che non è altro che uno dei suoi cugini a cui ha
dato un incarico a Deraa, lontano dalla capitale, per lasciarlo nell’oblio.
Un’inchiesta è stata aperta per far luce sull’uccisione da parte delle
forze di polizia, i funzionari responsabili della violenza sono stati
incriminati e posti in stato di fermo. I ministri sono andati a
portare le loro scuse e le condoglianze per conto del governo alle famiglie
delle vittime, scuse e condoglianze che sono state pubblicamente accettate.
Tutto sembrava essere tornato alla normalità. Ma improvvisamente alcuni
cecchini mascherati hanno sparato dai tetti di un edificio sulla folla
e sulla polizia, gettando la città nel caos.
Approfittando della confusione, gli uomini armati sono usciti dalla
città per attaccare un edificio governativo che ospita l’intelligence
responsabile del controllo del territorio delle alture siriane del Golan, occupate da Israele. I servizi di sicurezza hanno aperto il fuoco per difendere l’edificio e il loro archivio. Ci sono stati morti da entrambe
le parti.
Questo tipo di scontro si è poi moltiplicato. I notabili hanno chiesto la protezione dell’esercito da coloro che avevano preso d’assalto la città. Tremila uomini e carri armati sono stati dispiegati per proteggere
gli abitanti. In ultima analisi, una battaglia ha opposto i combattenti infiltrati dell’esercito siriano in una sorta di remake dell’assedio di Nahr el-Bared da parte dell’esercito libanese. Solo che
questa volta i media internazionali hanno distorto i fatti e hanno accusato l’esercito siriano di attaccare il popolo di Deraa.
Nel frattempo, gli scontri sono scoppiati anche a Laodicea. Questo porto è da tempo la patria delle mafie specializzate nel contrabbando marittimo. Questi individui hanno ricevuto armi e denaro dal Libano. Hanno distrutto il centro della città. La polizia è intervenuta. Su ordine del presidente la polizia era armata solo dai manganelli. I malviventi sono invece arrivati con le loro armi da guerra e hanno ucciso decine di poliziotti disarmati.
Lo stesso scenario si è ripetuto nella vicina città di Banias, meno importante, ma molto più strategica, ospitando la principale raffineria di petrolio del paese. Questa volta la polizia ha usato le armi e il confronto si è trasformato in una battaglia campale.
Infine, a Homs, una città importante del centro del paese, alcune persone si erano riunite per una preghiera in una moschea e hanno invitato i seguaci fondamentalisti a manifestare contro “il regime che sta uccidendo i nostri fratelli a Laodicea”.
Reagendo ai disordini, la popolazione siriana è accorsa in massa per testimoniare il proprio sostegno alla Repubblica. Enormi manifestazioni, che il paese non aveva mai conosciuto la sua storia, hanno radunato centinaia di migliaia di persone a Damasco, Aleppo e Laodicea al grido di “Dio, Siria, Bashar!”
Mentre gli scontri si stavano intensificando nelle località interessate, la polizia è riuscita a fermare i combattenti. Come hanno riferito alla televisione, sono stati reclutati, armati e pagati da un deputato
libanese Hariri, Jamal Jarrah, che ha poi negato tutto.
Jamal Jarrah è un amico del principe Bandar. Il suo nome era stato citato in caso di Fatah al-Islam a Nahr el-Bared. È cugino di Ziad Jarrah, un jihadista accusato dall’FBI di essere responsabile del dirottamento del volo 93 che si schiantò in Pennsylvania l’11 settembre 2001. È anche cugino dei fratelli Ali e Yousef Jarrah, arrestati dall’esercito libanese nel novembre 2008 con l’accusa di spionaggio nei confronti di Israele.
Da Londra e Parigi, Ali Saad al-Din Bayanouni (segretario generale della Fratellanza musulmana siriana) e Abdel-Halim Khaddam (ex vice-presidente della Siria) si sono appellati per rovesciare il presidente Bashar el-Assad.
Jamal Jarrah è un membro segreto dei Fratelli Musulmani, fatto anche questo negato. Nel 1982 i Fratelli hanno cercato di prendere il potere in Siria. Hanno fallito e sono stati vittima di una repressione terribile.
Si è creduto che questi ricordi dolorosi potessero essere dimenticati dall’amnistia proclamata dal presidente Bashar al-Assad. Ma così non è stato, questo ramo dei fratelli, prima finanziati dai Sudairi, è stato scomunicato. Il ruolo della Confraternita negli scontri di Banias oggi è riconosciuto da tutti.
Jamal Jarrah avrebbe anche usato i militanti libanesi di Hizb ut-Tahrir, un’organizzazione islamista con sede a Londra e particolarmente attiva in Asia centrale. Hizb ut-Tahrir, che si dichiarata non violenta, è accusata di aver architettato molti attacchi nella valle di Ferghana.
Ed è anche per combatterli che la Cina ha iniziato un percorso di riavvicinamento alla Russia con la Shanghai Cooperation Organization. Malgrado numerosi dibattiti alla Camera dei Comuni, i responsabili londinesi del gruppo non sono mai stati indagati occupano posizioni di alti livello nelle multinazionali anglo-americane.
Hizb ut-Tahrir ha aperto una succursale in Libano lo scorso anno. In quest’occasione ha organizzato una conferenza a cui sono state invitate diverse personalità straniere, tra cui un intellettuale russo di fama internazionale. Durante le discussioni, gli organizzatori hanno chiesto l’istituzione di uno stato islamico, affermando che per loro, sciiti e drusi libanesi e anche alcuni sunniti, non sono veri musulmani e dovrebbero essere quindi espulsi come i cristiani. Meravigliato da questi eccessi, l’ospite russo si è affrettato a concedere interviste televisive per differenziarsi da questi fanatici.
Le forze di sicurezza siriane sono state travolte dagli eventi. Formatosi in URSS, alcuni alti ufficiali hanno usato la forza senza preoccuparsi delle conseguenze sulla popolazione. Tuttavia, la situazione è progressivamente invertita. Il presidente Bashar al-Assad ha assunto il comando. Ha cambiato la compagine governativa. Ha abrogato lo stato di emergenza e ha sciolto la Corte di Sicurezza dello Stato, che aveva concesso la cittadinanza a migliaia di curdi siriani che era stata storicamente negata a causa di un censimento contestato. Inoltre, ha adottato varie misure restrittive quali l’abrogazione delle sanzioni per i ritardi nel pagamento alle imprese pubbliche (elettricità, ecc). In tal modo, ha soddisfatto le richieste principali popolari e l’opposizione si è affievolita.
Venerdì 6 maggio, il ‘Giorno della Sfida’, i manifestanti giunti da tutto il paese non hanno raggiunto le 50.000 persone su una popolazione di 22 milioni.
Fatto importante, il nuovo ministro degli Interni, Mohammad al-Sha’ar, si è rivolto alle persone che hanno partecipato ai disordini consigliando loro di recarsi volontariamente alla polizia per ricevere un’amnistia che sarebbe stata concessa in cambio di informazioni dettagliate. Più di 1100 persone hanno risposto all’appello. In pochi giorni, le nuclei principali sono state smembrati e molti armi nascoste sono state sequestrate. Dopo cinque settimane di violenze, la calma è lentamente rientrata in quasi tutte le città.
Tra i leader identificati e arrestati, molti erano ufficiali israeliani o libanesi, e uno un politico libanese vicino a Saad Hariri. Questo tentativo di destabilizzazione avrà un seguito.
In seno al governo saudita, i Sudairi hanno beneficiato della malattia
di re Abdullah per emarginarlo. Con l’aiuto degli Stati Uniti e d’Israele,
hanno posto fine al ravvicinamento con Abdallah al-Assad e hanno supervisionato
la controrivoluzione.
Un complotto scoperto
Ciò che era originariamente un complotto per rovesciare le autorità
siriane si è trasformato in un appello al pubblico per una destabilizzazione.
Avendo visto che la ribellione non era accaduta, il quotidiano siriano
anti-arabo ha evocato senza timore le macchinazioni in corso.
Ha descritto i viaggi dei negoziatori giunti a Damasco per presentare
le richieste dei Sudairi. Se dobbiamo credere ai giornali, la violenza
si fermerà solo quando Bashar el-Assad obbedirà a due ordini:
– rompere con l’Iran;
– interrompere il sostegno alla resistenza in Palestina, Libano e Iraq.
La propaganda internazionale
I Sudairi vogliono un intervento militare degli occidentale per porre fine alla resistenza siriana, di modo che l’aggressione avvenga contro la Libia. Per fare questo, hanno mobilitato gli specialisti di propaganda.
Con sorpresa di tutti, la stazione satellitare TV Al-Jazeera ha improvvisamente cambiato la sua linea editoriale. È un segreto di Pulcinella il fatto che la stazione è stata creata dalla volontà dei fratelli David e Jean Frydman, miliardari francesi che sono stati consiglieri di Ytzakh Rabin e Ehud Barak. Volevano creare un mezzo che consentisse un dibattito tra israeliani e arabi, quando questo dibattito era vietato per legge in entrambi i paesi.
Per aprire il network, hanno chiesto aiuto all’emiro del Qatar,
che inizialmente ha svolto un lavoro di copertura. La redazione è stata
reclutata dai servizi arabi della BBC, così che molto dei giornalisti
in arrivo erano agenti britannici dell’MI6.
Tuttavia l’Emiro ha preso il controllo politico della catena che è
diventata il braccio destro nel suo principato. Per anni, Al-Jazeera
ha infatti giocato un ruolo di pacificazione, promuovendo il dialogo
e la comprensione nella regione. Ma la catena ha anche contribuito a
banalizzare il sistema di apartheid
israeliano, come se le violenze di Tsahal fossero sbavature marginali
di un regime accettabile, quando sono invece l’essenza del sistema.
In fuga, l’ex presidente Ben Ali ha trovato rifugio in Arabia Saudita
dal principe Nayef
Al-Jazeera, che ha filmato in modo eccezionale le rivolte in Tunisia e in Egitto, ha improvvisamente cambiato la sua linea editoriale nel caso della Libia, diventando il portavoce dei Sudairi.
Questo voltafaccia merita una spiegazione. L’attacco alla Libia era
in origine un piano franco-britannico concepito nel novembre 2010, vale
a dire ben prima della “Primavera Araba” che ha coinvolto
anche gli Stati Uniti. Parigi e Londra volevano regolare i conti in
sospeso con Tripoli per difendere i loro interessi coloniali. Infatti,
nel 2005-06 la NOC, Libia National Oil Company, aveva lanciato
tre gare d’appalto internazionali per l’esplorazione e lo sfruttamento
delle sue riserve, le più grandi dell’Africa. Il colonnello Gheddafi
aveva imposto le proprie regole in vari accordi stipulati con le imprese
occidentali, sicuramente vantaggiosi, ma troppo poco dal loro punto
di vista. Sono stati rinegoziati contratti meno favorevoli con le multinazionali
di tutto il mondo. Ci sono state anche diverse liti relative alla cancellazione
di lucrosi contratti per l’acquisto di attrezzature e armamenti.
Fin dai primi giorni della presunte rivolte di Bengasi, Parigi e Londra
hanno istituito un Consiglio Nazionale di Transizione che la Francia
ha ufficialmente riconosciuto come il legittimo rappresentante del popolo
libico. Questo Consiglio ha creato una nuova società del petrolio,
la LOC, che è stata riconosciuta dalla comunità internazionale al
vertice di Londra come detentrice dei diritto sugli idrocarburi del
paese. Dopo quest’aggressione è stato deciso che la commercializzazione del petrolio sottratto dal LOC sarebbe stato fatto dal… Qatar e il gruppo di contatto delle nazioni alleati si sarebbe incontrato a Doha.
Youssef al-Qardawi ritiene che la liberazione della Palestina sia importante,
ma meno rispetto all’introduzione della sharia
Immediatamente, il consulente religioso del network, Youssef al-Qardawi, ha rotto ogni indugio per chiedere il rovesciamento del presidente Bashar el-Assad. Sheikh al-Qardawi è Presidente dell’Unione Internazionale degli Ulema e anche del Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca. È il volto dei Fratelli Musulmani, fautore di un Islam ‘originale’ che consiste in un mix di “democrazia di mercato” statunintense e di oscurantismo saudita: si riconosce nel principio che i funzionari debbano essere eletti a condizione che si impegnino nell’imporre la Sharia nelle sue interpretazioni più restrittive.
Youssef al-Qardawi è stato raggiunto da un ulema saudita, Saleh Al-Haidan, che ha evocato “l’uccisione di un terzo dei siriani per permettere
agli altri due terzi di poter vivere”. Uccidere un terzo dei siriani? Questo significa uccidere i cristiani, gli ebrei, gli sciiti, i drusi e gli alawiti. Per far vivere gli altri due terzi? Vale a dire stabilire uno Stato sunnita prima che questi non epuri la propria comunità.
Finora solo il ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, Hamas, sembra refrattario alla forza di seduzione dei petrodollari dei Sudairi. Il suo leader, Khaled Meshaal, non senza un attimo di esitazione,
ha confermato che sarebbe rimasto in esilio a Damasco e che avrebbe sostenuto il presidente al-Assad. Con l’aiuto di quest’ultimo, ha cercato di prendere di mira i programmi imperialisti e sionisti negoziando un accordo con Al Fatah di Mahmoud Abbas.
Dal mese di marzo, Al-Jazeera, la BBC e France24 di lingua araba si sono trasformate in organi di propaganda di massa. A colpi di menzogne e immagini manipolate, hanno descritto gli eventi per appiattire la Repubblica siriana sugli stereotipi del regime tunisino di Ben Ali.
Hanno cercato di far credere che l’esercito siriano sia una forza di repressione simile a quella della polizia tunisina e che non esiti a sparare contro i manifestanti inermi lottano per la loro libertà.
Questi media hanno anche annunciato la morte di un giovane soldato che si era rifiutato di sparare sui suoi concittadini, alla fine torturato a morte dai suoi
superiori. In effetti l’esercito siriano è un esercito di leva e il giovane soldato, secondo il suo stato civile, era era in congedo. Questo è stato spiegato dalla televisione siriana che ha dichiarato di voler
difendere il paese dai mercenari stranieri.
Questi canali satellitari hanno anche cercato di presentare diverse personalità siriane come dei profittatori, come a esempio la famiglia
di Ben Ali. Hanno concentrato le loro critiche su Rami Makhlouf, l’uomo
più ricco del paese, che è cugino del presidente al-Assad. Hanno preteso
che, tenendo a mente il modello tunisino, tutte le società che vogliano
stabilirsi nel paese. Tutto questo è assolutamente infondato e inimmaginabile
nel contesto della Siria. In realtà, Rami Makhlouf ha goduto della
fiducia del presidente al-Assad per le concessioni relative ai telefoni
cellulari. E come tutti coloro che nel mondo hanno ottenuto concessioni
simili è diventato miliardario. La vera questione è se ha usato la
sua posizione per arricchirsi a spese dei consumatori. La risposta è
no: Syriatel offre tariffe per telefono cellulare più economico del
mondo!
Comunque la palma della menzogna va di nuovo attribuita a Al-Jazeera,
che si è spinta fino al punto di presentare le immagini di una manifestazione
di 40.000 moscoviti che richiedevano la fine del sostegno russo alla
Siria. In realtà quel filmato era stato girato durante la festa del
1° maggio, durante la quale la catena aveva infiltrato degli attori
per simulare degli interventi dalla strada.
La riorganizzazione delle reti del principe Bandar e l’amministrazione
Obama
Il dispositivo controrivoluzionario dei Sudairi si è trovato in difficoltà,
visto che fino a quel momento i mercenari del principe Bandar avevano
combattuto sotto la bandiera di Osama bin Laden in Afghanistan, Bosnia,
in Cecenia o altrove. Inizialmente considerato un anticomunista, Bin
Laden era progressivamente diventato un antioccidentale. Il suo movimento
è stato segnato dall’ideologia dello scontro di civiltà, proposto
da Bernard Lewis e reso popolare dal suo allievo Samuel Huntington.
Ha avuto il suo periodo di gloria con gli attentati dell’11 settembre
e la guerra al terrorismo: gli uomini di Bandar erano presenti ovunque
gli Stati Uniti chiedessero di intervenire.
Ma, visto il momento attuale, è necessario cambiare l’immagine degli
jihadisti. Ora si chiede loro di combattere a fianco della NATO come
una volta hanno combattuto al fianco della CIA in Afghanistan contro
l’Armata Rossa. Conviene ritornare al discorso filo-occidentale di un
tempo e trovargli un’altra anima in sostituzione dell’anti-comunismo.
Questo sarà il lavoro ideologico dello sceicco Youssef al-Qardawi.
Per facilitare questa trasformazione, Washington ha annunciato la morte
ufficiale di Osama bin Laden. Una volta sparita la figura tutelare,
i mercenari del principe Bandar possono essere mobilitati sotto una
nuova bandiera.
Questa ridistribuzione dei ruoli è
stata accompagnata a Washington da un balletto di sedie.
Il generale David Petraeus, che da comandante di CENTCOM ha trattato
con gli uomini di Bandar in Medio Oriente, è diventato direttore della
CIA. Dobbiamo quindi aspettarci un ritiro accelerato delle truppe della
NATO in Afghanistan e un maggiore coinvolgimento degli uomini di Bandar
nelle operazioni segrete dell’Agenzia.
Leon Panetta, il direttore uscente della CIA, è diventato Segretario
della Difesa. Secondo l’accordo interno della classe dirigente degli
Stati Uniti, questo posto dovrebbe essere riservato a un membro della
Commissione Baker-Hamilton. Ma il democratico Panetta, come il repubblicano
Gates, ne ha fatto parte. Nel caso di nuove guerre, dovrebbe limitare
gli spiegamenti di forze sul terreno, limitandole alla Forze speciali.
A Riad e Washington è già stato redatto
il certificato di morte della “Primavera Araba”. I Sudairi
possono dire del Medio Oriente quello che il Gattopardo ha detto dell’Italia:
“. Tutto deve cambiare perché non cambi niente”.
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Thierry Meyssan, intellettuale francese,
fondatore e presidente di Réseau Voltaire
e della conferenza “L’Asso per la Pace”. Pubblica analisi di politica
estera nel mondo arabo, in America Latina e in Russia. L’ultimo
suo libro in francese è “La Grande Bugia: Parte 2, la disinformazione
e la manipolazione” (a cura di JP Bertrand, 2007).
Thierry Meyssan
Fonte: www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/article169815.html
11.05.2011
Fonte: Komsomolskaya Pravda (Russia)
[Scritto alla fine di aprile, il testo
è stato completato nella sua edizione francese per comprendere i più
recenti sviluppi]
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da SUPERVICE