LA CONGIURA DEL SILENZIO

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DI CARLO BERTANI

“La menzogna è il volto stesso del demonio”.
Victor Hugo – I Miserabili

E’
stupefacente notare come il titolo di questo articolo corrisponda in
pieno alla definizione che il Presidente Napolitano ha assegnato agli
eventi che fanno capo all’esodo dei profughi italiani dall’Istria ed
agli assassinati nelle foibe. Eppure, può significare esattamente il
contrario.

Durante le celebrazioni del “Giorno del Ricordo”, il presidente
dell’associazione degli esuli della Venezia Giulia, Lucio Toth,
dichiarava che dopo tanti anni si poteva sperare di raggiungere per
quegli eventi “una memoria almeno condivisa, se non comune[1]“.
Da condividere con chi? E’ un traguardo che ci si prefigge di
raggiungere all’interno della sola popolazione italiana, oppure con
gli altri popoli che vissero quelle tragedie? Una risposta
è giunta dal presidente croato Stipe Mesic, che si è detto
“costernato” per le dichiarazioni del presidente italiano
nell’occasione della ricorrenza, e che scorgeva in quelle parole
“elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo
politico”[2].

Come inizio non c’è male, verrebbe quasi da dire: alla faccia della
“memoria condivisa”!

Quali sono
state le esatte parole di Napolitano, riportate dall’ANSA nel giorno
stesso della commemorazione?

‘Non dobbiamo tacere. Dobbiamo assumerci la responsabilità di aver
negato o teso a ignorare la verità, per pregiudiziali ideologiche e
cecità politica, e di averla rimossa per calcoli diplomatici e
convenienze internazionali
“.

Limpido come l’acqua.

La
congiura del silenzio fu la fase meno drammatica ma ancor più amara e
demoralizzante dell’oblio. Per fortuna abbiamo posto fine a un non
giustificabile silenzio
“.

Parole sacrosante.

Infine,
Paolo Barbi, presidente storico dell’associazione dei giuliano-dalmati,
ha ringraziato Napolitano e in una breve ricostruzione storica ha voluto
ricordare che purtroppo la tragedia delle foibe, la persecuzione degli
italiani residenti in Istria, aveva anche radici storiche. “Allora,
esplosero vendette e odi covati nell’esasperazione nazionalistica durata
decenni, nel clima della guerra totale, impietosa dei regimi totalitari
“.

Come si potrà notare, le parole di Barbi sono meno improntate alla
retorica e si avvicinano alle dichiarazioni di Toth, ovvero richiamano
anch’esse la necessità di una memoria condivisa.

Sembra quasi che esistano due diversi punti di vista – ancora separati
dopo tanti anni – ovvero quello della classe politica italiana e
quello degli esuli. Paradossalmente – ma non troppo – sono proprio
gli esuli, ossia coloro che patirono sulla loro pelle le sofferenze,
quelli che cercano – e sembrano quasi chiedere – delle
“aperture” per piantare infine un ramo d’olivo su quei poveri
morti.

Cosa
impedisce la condivisione di una memoria? Essenzialmente, l’omissione.

Non si tratta di giudicare o giustificare le dichiarazioni di Napolitano
o di Mesic, ma di capire che sono entrambe inquinate da importanti
omissioni.

Se le colpe dei partigiani jugoslavi sono note – ossia che fu dato
inizio ad una caccia indiscriminata agli italiani – lo sono meno
quelle delle truppe italiane d’occupazione.

Nascondere le responsabilità jugoslave è puerile: lo stesso Tito si
rese conto che la situazione stava sfuggendo a qualsiasi controllo, ed
inviò il suo “braccio destro” – Kardelj – a Lubiana con
l’ordine di fermare i massacri, lanciando la parola d’ordine
“italiano non necessariamente significa fascista”. Quando Kardelj
giunse a Lubiana, la tragedia delle foibe era già compiuta e nessuno
era più in grado di controllare gli eventi, da Trieste a Zara. Ci sono
molte testimonianze di partigiani italiani che avevano combattuto con le
formazioni di Tito e che furono costretti a fuggire, pena la morte. Cosa
poteva aver scatenato un simile inferno? La precedente omissione.

Il “buco
nero” che appare evidente nelle ricostruzioni di parte italiana è
mostruoso, enorme: i periodi incriminati vanno dal 1943 al 1946,
dimenticando che – prima di quel periodo – c’erano stati il 1941
ed il 1942.

Dall’aprile del 1941, gli italiani controllavano quasi metà del
territorio jugoslavo: in pratica,
la Jugoslavia

fu divisa fra una parte continentale (sottoposta ai tedeschi) ed una
dalmata, assegnata agli italiani. Le truppe italiane si trovarono quindi
a controllare gran parte della Slovenia e della Croazia, parte della
Bosnia ed il Montenegro.

Come in Italia nel periodo 1943-1945, agivano in Jugoslavia delle
formazioni partigiane: non è possibile, in questa sede, ricostruire
fedelmente il complesso organigramma della resistenza jugoslava, poiché
ci vorrebbe una trattazione assai lunga e complessa. Essenzialmente,
possiamo affermare che la divisione dei campi fu ancor più accentuata
che nel resto d’Europa: le formazioni comuniste di Tito furono quelle
maggioritarie, ma anche i nazionalisti serbi combatterono i tedeschi (e
si scontrarono con quelle di Tito). In Croazia, invece, c’erano
formazioni partigiane e divisioni croate che affiancavano gli italiani
ed i tedeschi: la “resa dei conti” finale, quindi, fu una tragedia
che coinvolse sia gli italiani sia gli jugoslavi.

Ovviamente
– come i repubblichini di Salò – le truppe italiane combattevano le
formazioni partigiane, e sembra quasi che i tristi metodi della
rappresaglia e delle esecuzioni di massa, avvenute poi in Italia nel
periodo 1943-1945, abbiano avuto un prodromo in quelle terre ed in
quegli anni.

Ci sono numerose fonti che hanno indagato quegli eventi, scrittori che
hanno analizzato a fondo quegli anni: voglio ricordare soltanto il
Si ammazza troppo poco
di Gianni Oliva, perché sarebbe lungo soffermarsi sui molti contributi
di tanti autori e storici.

Per fare soltanto una breve carrellata sui misfatti italiani, bastano
pochi estratti da documenti ufficiali dell’epoca, ovvero dai diari
militari delle unità italiane in Jugoslavia. Ecco qualche esempio:

R I S E R
V A T O

COMANDO SUPERIORE FF.AA.
“SLOVENIA E DALMAZIA”

( 2^ ARMATA )

C I R C O L A R E N. 3 C

1° dicembre 1942-XXI°

(omissis)

CAPITOLO
II°

MISURE PRECAUZIONALI NEI
CONFRONTI DELLA POPOLAZIONE

15 – Quando necessario agli effetti del mantenimento dell’O.P. e delle
operazioni, i Comandi di G.U. possono provvedere:

a) – ad internare, a titolo protettivo, precauzionale o repressivo,
famiglie, categorie di individui della città o campagna, e, se occorre,
intere popolazioni
di villaggi e zone rurali;

b) – a “fermare” ostaggi tratti ordinariamente dalla parte
sospetta della popolazione, e, – se giudicato opportuno – anche dal suo
complesso
, compresi i ceti più elevati;

c) – a considerare corresponsabili dei sabotaggi, in genere, gli
abitanti di case prossime
al luogo in cui essi vengono compiuti.

16 – Gli ostaggi di cui in b) possono essere chiamati a rispondere,
colla loro vita
, di aggressioni proditorie a militari e funzionari
italiani, nella località da cui sono tratti, nel caso che non vengono
identificati – entro ragionevole lasso di tempo, volta a volta fissato –
i colpevoli.

– Gli abitanti di cui in c), qualora non siano identificati –
come detto sopra – i sabotatori, possono essere internati a titolo
repressivo
; in questo caso il loro bestiame viene confiscato e le
loro case vengono distrutte.

(omissis)

CAPITOLO

40

(omissis)

– AL GRIDO: “SECONDA
ARMATA A ME!” LANCIATO DA UN MILITARE COMUNQUE IN PERICOLO, TUTTI I
COMPONENTI DELL’ARMATA CHE LO ODONO DEBBONO ACCORRERE A DARE AL
CAMERATA, A QUALUNQUE COSTO, MAN FORTE.

41 – Si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede,
non verranno mai perseguiti
.

(omissis)

IL GENERALE

COMANDANTE DESIGNATO D’ARMATA

F.to (Mario Roatta)

Il documento
è agghiacciante, e non si comprende (?) come sia passato indenne
all’esame delle commissioni alleate al termine delle ostilità. Si
noti come, al comma b dell’art. 15, si ordinasse di “fermare
ostaggi
” mentre al successivo art. 16 gli stessi ostaggi fossero
chiamati a rispondere con la vita nel caso non fossero identificati i
colpevoli degli atti ostili. A completare il quadro, quel sinistro “Si
sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non
verranno mai perseguiti
” che suona come una campana a morto.

Difatti, per anni le truppe italiane uccisero, bruciarono villaggi,
internarono le popolazioni in campi di prigionia, distrussero raccolti e
confiscarono bestiame: insomma, niente di diverso dal comportamento dei
nazifascisti in Italia.

Ecco a cosa condussero quei proclami:

Un militare italiano
malmena alcuni prigionieri che stanno per essere fucilati
blank Prima
dell’esecuzione.
Dopo l’esecuzione.

Un altro
criminale di guerra conclamato – il gen. Robotti – avvertiva però
la necessità di precisare meglio i termini della repressione. Sembra
quasi che i soldati italiani stentassero a comprendere cosa dovevano
fare.

Allegato
n. 10

al diario storico militare
del giorno 4 luglio 1942-XX

COMANDO XI° CORPO D’ARMATA

Uff. Operazioni

– – – – – – – – – – – – – – – – –

N.02/6246/Op.

OGGETTO: Proclama.

ALL’ECCELLENZA EMILIO GRAZIOLI

Alto Commissario per
la Provincia
di L
u b i a n a

E’ intendimento dell’Ecc. Generale Roatta che all’inizio del prossimo
ciclo di operazioni di grande rastrellamento, venga emanato il proclama
annesso.

(omissis)

2°) – A
partire da oggi nell’intera Provincia di Lubiana, saranno
immediatamente passati per le armi
:

– coloro che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe
italiane;

– coloro che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed
esplosivi;

– coloro che favoriranno comunque i rivoltosi;

– coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di
identità e lasciapassare falsificati;

– i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento – senza
giustificato motivo – nelle zone di combattimento.

(omissis)

1°)- che il
rastrellamento sia metodico e completo al massimo, per evitare che
attraverso le maglie del dispositivo sfuggano elementi ribelli;

2°)- fucilare senza pietà gli uomini validi che nelle retrovie
fossero sorpresi in atteggiamento sospetto
lungo le strade ed a
tergo delle nostre colonne.

(omissis)

b)- Chi compie comunque atti di
ostilità alle autorità o truppe italiane – chi venga trovato in
possesso di armi, munizioni ed esplosivi – chi favorisca comunque i
rivoltosi – chi venga trovato in possesso di passaporti, carte di
identità e lasciapassare falsificati. deve essere passato per le
armi
.

Non
ammetto che gente colpevole di quanto sopra venga deferita ai tribunali
od internata; dev’essere soppressa
.

(omissis)

e)- La misura ultima del n.II
dell’ordinanza (“”… saranno passati per le armi…i maschi
validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento – senza giustificato
motivo – nella zona di combattimento””) deve essere intesa ed
applicata nel modo seguente:

1°) I maschi validi trovati, in qualsiasi atteggiamento, in zona di
combattimento, in aperta campagna dall’avanti sino alla linea di
schieramento delle artiglierie, non possono essere considerati (per ovvi
motivi) che come ribelli o favoreggiatori dei ribelli. E pertanto
passati per le armi
.

2°) I maschi validi trovati in abitazioni isolate, gruppi di case e
centri abitati, sempre quando non siano rei degli atti contemplati nei
precedenti articoli del n.II dell’ordinanza, saranno tutti arrestati.
Quelli che fra essi non siano del luogo saranno passati per le armi
come quelli incontrati in aperta campagna
.

3°) Saranno pure arrestati i maschi validi che affluiscono in
abitazioni isolate, gruppi di case e centri abitati, dopo la nostra
occupazione
. Quelli che fra essi non risulteranno del posto, o che
non rientrino colle proprie famiglie (circostanza questa che
giustificherebbe la loro assenza al momento della nostra occupazione) saranno
passati per le armi
.

(omissis)

IL GENERALE
DI CORPO D’ARMATA

COMANDANTE

F/to Mario Robotti

La foto fu scattata
il 27 luglio
1942 a

Zavrh pri Cernici, e mostra una delle pratiche più
agghiaccianti che avvennero in quegli anni: far scavare la fossa
ai condannati prima di fucilarli. I
quattro, probabilmente, erano stati sorpresi “in aperta
campagna”.

L’immagine fu
scattata il 31 luglio
1942 a

Loska Dolina: non sappiamo nulla di chi erano i condannati.
Tanto, secondo gli ordini del gen. Roatta, “gli eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai
perseguiti”.

blank

Questa è invece una
fotografia scattata in Montenegro, dove due militari italiani
posano accanto alle vittime di una fucilazione avvenuta in un
villaggio. La classica “foto ricordo”.

Dalla
lettura di questi documenti e dalle foto appare evidente – quasi salta
agli occhi – come fosse difficile scansare la morte in quegli anni se
si aveva la “colpa” di non essere italiani. Gente trovata “in
aperta campagna” deve essere fucilata all’istante: tutto ciò nei
confronti di una popolazione in gran parte dedita all’agricoltura!

I vari omissis che ho inserito
non servono a coprire chissà quali incoerenze presenti nei testi –
che tutti potranno visionare su http://www.criminidiguerra.it
– ma a ridurre semplicemente le dimensioni dei documenti per
soffermarsi meglio sugli aspetti essenziali ed incontrovertibili.

Il numero
delle vittime causate dall’occupazione italiana varia molto, secondo
le fonti: le più basse, però, non scendono sotto le 100.000 unità.

Gli italiani, però, ribattono che la vendetta furono le foibe. Ora, due
tragedie non si sanano l’un l’altra, bensì si sommano: questo è il
terribile significato di quegli eventi, che dovrebbe condurre ad una
riflessione comune e non a delle liti da galletti in un pollaio. Ma le
foibe furono un’invenzione degli jugoslavi per vendetta nei confronti
degli italiani? Furono i primi ad usarle?

Ascoltiamo Predrag
Matvejević, scrittore croato e docente all’Università ”
La Sapienza

” di Roma:

Il ministro fascista dei lavori pubblici
Giuseppe Caboldi Gigli, che si attribuì l’appellativo vittorioso di
“Giulio Italico”, scrive nel 1927: “La musa istriana ha
chiamato con il nome di foibe quel luogo degno per la sepoltura di
quelli che nella provincia dell’Istria danneggiano le caratteristiche
nazionali (italiane) dell’Istria” (“Gerarchia”, IX, 1927).
Lo zelante ministro aggiungerà a ciò anche dei versi di minacciose
poesie, in dialetto: “A Pola xe arena, Foiba xe a Pazin”
(“A Pola c’è l’arena, a Pisino la foiba”).

Pazin si
trova a poche decine di chilometri da Pola, verso il centro
dell’Istria, e già in quegli anni i fascisti avevano scoperto quel
triste metodo per cancellare i loro crimini. Perché?

La ragione era stata spiegata chiaramente da Benito Mussolini stesso in
un suo discorso tenuto a Pola il 20 settembre 1920:

“Per la creazione del nostro sogno
mediterraneo, è necessario che l’Adriatico, che è il nostro golfo, sia
in mano nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale
è quella slava”

Queste
furono le premesse della tragedia: ciò che avvenne al termine delle
ostilità fu la vendetta. Ovviamente, nessun crimine ne può cancellare
un altro: in quelle terre, andò in scena lo stesso “copione” che
avvenne in Italia al termine delle ostilità. Nel solo Friuli, sempre
secondo Matvejević, ci furono circa 10.000 esecuzioni sommarie senza
processo ed in Francia 50.000. Non sappiamo se queste cifre sono esatte,
per difetto o per eccesso, ma sappiamo che in tutto il Nord Italia
avvennero moltissimi di questi episodi.

Voglio precisare che questo articolo non intende aggiungere nulla a
quanto è risaputo da chi ha condotto serie ricerche storiche: si tratta
proprio della classica “scoperta dell’acqua calda”.

Gli unici a
non sapere dell’esistenza dell’acqua calda sembrano i politici
italiani: nonostante il richiamo alla “memoria condivisa” che giunge
dagli esuli, il coro di condanna per le parole di Mesic è stato
unanime.

Ora, definire “razzista” il discorso di Napolitano è sbagliato, ma
carente e colmo d’omissioni sì.

Peggio ancora hanno fatto i corifei di regime: da Fini a Bertinotti, un
solo coro d’approvazione e di completa negazione delle ragioni altrui.
Saranno così poco informati, oppure c’è dell’altro?

Fin qui le
storie di ieri: purtroppo c’è dell’altro, e stupisce che in tutto
l’arco parlamentare non si sia levata una sola voce di protesta per
l’omissione delle responsabilità fasciste. A meno che – a fronte
dei tanti crimini di guerra commessi – basti la sbrigativa
affermazione di D’Alema “che l’Italia non nega le colpe del
fascismo”. Ci mancherebbe ancora.

Riflettiamo che Germania e Giappone subirono processi e condanne: noi,
nulla, eppure ci furono circa 1.200 criminali di guerra italiani
acclarati dalle commissioni alleate, nessuno dei quali pagò, perché
furono immediatamente “riciclati” in un fervente anticomunismo.

E i comunisti?

Anch’essi
ebbero la loro parte, perché Tito consumò presto lo “strappo” da
Stalin e

la Jugoslavia
fu l’unico paese comunista europeo a non far parte del “Patto di
Varsavia”. A Trieste fu inviato uno degli “uomini forti” del
partito – Vittorio Vidali – per riportare il PCI giuliano sotto
l’egida di Mosca: dalle nostre parti, evidentemente, si preferiva
sostare all’ombra della protettiva quercia del dittatore georgiano.

Se quelle lontane vicende sembrano non avere più senso oggi, dovremmo
chiederci perché nessun esponente della sinistra “tradizionale” –
Fassino, Diliberto, Bertinotti – ha avuto il coraggio di dire
“beh” e si sono appiattiti sulle posizioni di Fini.

Gianfranco
Fini ha dichiarato, con tono sibillino: “Certamente le parole di Mesic
creano più di un problema, perché un Paese entra nell’UE soprattutto
se rispetta la verità storica”. Che è, evidentemente, quella di
Fini.

In altre parole, si cerca di barattare l’ingresso della Croazia in
Europa con delle improbabili revisioni dei trattati stipulati a suo
tempo con
la Jugoslavia
: non è nemmeno chiaro quali siano le mire italiane, perché sollevare
altri “polveroni” nella polveriera balcanica può portare solo a
nuovi dolori.

Ora, ci sono
molte ragioni per frapporre dubbi all’ingresso della Croazia
nell’UE: una nazione che ha compiuto recentemente una delle più
feroci pulizie etniche avvenute in Europa, che ha tuttora in sospeso la
questione del riconoscimento delle proprietà dei serbi scacciati, un
luogo dove sono state “epurate” chiese ortodosse e moschee.

Mille e una ragione per discutere sull’ingresso della Croazia
nell’UE, ma non i trattati che condussero alla stabilizzazione
dell’area giuliana e del Quarnaro.

Queste ragioni – del tutto pretestuose – sono ancora una volta il
caleidoscopio dell’imperialismo italiano, straccione e voltagabbana,
che tratta fino all’ultimo con Vienna nel 1915 per avere qualche
territorio in più nel Friuli e poi gioca la carta dell’alleanza con
Francia e Gran Bretagna.

Oppure
quello di Mussolini, che tratta fino a settembre inoltrato del ‘39 con

la Gran
Bretagna
per fermare Hitler, mentre dall’altra fa ad Hitler richieste
inaccettabili – per quantità di materie prime – per entrare in
guerra al suo fianco. Entra poi in guerra soltanto quando

la Francia
è in ginocchio, sperando di raccogliere le briciole al tavolo della
pace.

E’ lo stesso imperialismo straccione che manda i nostri soldati in
Bosnia a bonificare le zone colpite dai missili all’Uranio impoverito
con la sola protezione dei guanti di lattice mentre – chissà perché
– i soldati americani, poco più in là, non si avvicinano ai tank
distrutti senza le tute anti-radiazioni.

Imperialismo
mascherato, che ci porta in Iraq a difendere i nostri interessi
petroliferi travestendo la nostra spedizione con l’eufemismo della
“missione di pace”, quando gli stanziamenti dell’operazione
“Antica Babilonia” erano divisi in un 6% per le infrastrutture
civili ed un 94% per la parte militare.

Di fatto, abbiamo pattugliato per quasi tre anni il sud dell’Iraq
sotto comando britannico.

Imperialismo voltagabbana: pronti a cedere la sovranità nazionale
autorizzando ai nostri velivoli di bombardare
la Serbia
– senza nessuno straccio di copertura dell’ONU – oppure ad inviare
migliaia di soldati in Libano (solo quando fu evidente che Israele era
nei guai) sotto comando francese. Una continuità storica agghiacciante.

Per queste
ragioni sarebbe importante che gli italiani prendessero coscienza dei
drammi causati fuori dei loro confini: dai Balcani all’Africa, dove
siamo stati fra i più feroci colonizzatori.

Perché – se la coscienza italiana è così limpida –
la RAI
non trasmette il documentario storico “Fascist Legacy” (L’eredità
del fascismo) prodotto dalla BBC e già trasmesso in Francia ed in Gran
Bretagna? Perché se ne è assicurata i diritti e poi lo custodisce
gelosamente nei suoi archivi? Perché è proibito proiettare nelle sale
cinematografiche italiane il film “Il Leone del deserto”, che narra
delle atrocità commesse in Libia? Perché non c’è un solo uomo
politico – fra i tanti che siedono in Parlamento – che chiede
finalmente di conoscere la verità su quegli eventi?

Altrimenti
– come affermò Sciascia – rimarremo sempre un paese “senza memoria e senza verità“: un paese di “Grandi Fratelli”
e telefonino-dipendenti, che muta sempre il pelo senza mai perdere il
vizio della menzogna e del misero tornaconto di bottega.

[1]
Fonte: Televideo: 10 febbraio 2007.
[2]

Fonte: ANSA – 12 febbraio 2007.

Carlo
Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
15.02.2007

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