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La Redazione

 

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LA “COMUNICAZIONE-GUERRILLA”, UN RINNOVO DELL’AZIONE POLITICA?

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A cura di supervice
Il 1 Febbraio 2012
52 Views
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DI RACHEL KNAEBEL
Bastamag.net

Militanti nel buonumore e nella lotta

contro la vulgata dominante attraverso il sarcasmo. È l’idea di

partenza del “Manuale di comunicazione-guerrilla”, di cui è appena

uscita la traduzione in francese. Stampata in Germania, questa guida

di attivismo ludico è arrivata velocemente alla quinta edizione al

di là del Reno. Descrivendo le iniziative dell’impegno in Europa

e in America dagli anni ‘60, il libro propone strategie di intervento

e di azione politica per interferire nei processi di comunicazione.

Intervista.

Guida dell’attivismo gioioso e scherzoso,

di una sovversione goliardica, il “Manuale di comunicazione-guerriglia”,

ristampato con regolarità, propone da quindici anni un pratica ludica

per “fare andare in frantumi la falsa appariscenza dell’ordine

dominante“: deviazioni, falsificazioni, difesa assurda delle

posizioni contrarie fino a spingerle verso ultime e insostenibili trincee,

teatro invisibile, attacchi di lanci di torte, partiti politici satirici,

Esempi? Alcuni attivisti si sono infiltrati in una riunione dei conservatori

per applaudire a ogni piè sospinto, oppure organizzando “manifestazioni

di destra” per fare la caricatura degli slogan securitari o delle

politiche fiscali. O si travestono da integralisti cristiani per fare

irruzione, completamente nudi, in un incontro di confraternite considerate

ultra-reazionarie. Questi interventi di comunicazione-guerriglia hanno

conosciuto alcuni momenti di gloria, particolarmente con gli “Yes

Men”. Un principio: lo pseudonimo collettivo. Questo manuale, del

gruppo autonomo tedesco a.f.r.i.k.a, è pubblicato sotto due pseudonimi:

Luther Blissett e Sonja Brünzels.

Basta!: Parlate di pratiche

che esistono dagli anni ‘60. Perché è necessario raggruppare

questi esempi di azioni militanti sotto il concetto di “comunicazione-guerriglia”?

Sonja Brünzels: Abbiamo notato

una crisi delle nostre pratiche politiche all’interno della sinistra

radicale. Pensavamo che questa crisi era dovuta in parte alla cesura

del 1989 (la caduta del muro di Berlino, in seguito al cedimento del

blocco sovietico, ndr). A partire da questa data, ci siamo chiesti in

modo ancora più forte: “Perché

nessuno ci ha ascoltato?” Oggi capiamo che è la transizione

verso un capitalismo cognitivo, teorizzato da Yann Moulier Boutang,

il fattore decisivo. Una cosa di cui non avevamo allora una chiara consapevolezza.

Abbiamo viaggiato un po’ dovunque, per i dibattiti politici sul libro,

dopo la sua uscita. Tornava sempre lo stesso attacco: “Proponete

le stesse cose della pubblicità e delle relazioni pubbliche!

All’epoca, ci difendevamo. Oggi direi giustamente, proprio perché questo

modo di intervento opera all’esterno del contesto politico, una cosa

assolutamente necessaria per sviluppare proprie iniziative sul territorio.

Insistete sul fatto che la sinistra

può essere anche gioiosa, invece di ondeggiare senza tregua tra

“costrizioni militanti, pragmatismo innocuo e ideologia pura”.

La sinistra radicale ha seguito questa via?

Per il movimento anticapitalista, le

pratiche di comunicazione-guerriglia sono diventate più evidenti,

principalmente con una sorta di “carnevalizzazione

dei movimenti di sinistra a livello internazionale. Questi movimenti

sono più inclini a condurre altri tipi di azioni, meno tradizionali

e che danno forza a quelli che partecipano. È questo il senso della

gioia. Non si tratta di avere dei fans, ma di decidersi di agire. Sapendo

di partire da una posizione minoritaria, dove le azioni spesso non hanno

effetto.

Alcuni dicono che oggi la situazione

è talmente grave che non ci sono più

di posto per la risata nell’azione militante…

È falso. Il pessimismo culturale,

questa affermazione per cui “va sempre peggio”, non è, per

noi, un pensiero di sinistra. Vediamo sempre la possibilità per un

cambiamento. La comunicazione-guerriglia è chiaramente legata, in gran

parte, alle classiche democrazie occidentali e rappresentative. In questo

senso, è limitata. Ma non esiste di situazione dove la comunicazione-guerriglia

sarebbe impossibile. Anche se è più complicata nelle situazioni totalitarie,

la cosa va comunque ponderata.

Spiegate in questo libro la pratica

dello pseudonimo collettivo. Perché

voi ne utilizzate due?

Nel gruppo autonomo a.f.r.i.k.a utilizziamo,

a scelta, Luther Blissett o Sonja Brünzels. Uno volta uno, una volta

l’altro. Non abbiamo definito chiaramente l’idea del nome multiplo sul

manuale. Con la discussione attuale intorno al copyright e al

plagio, la cosa prende un nuovo significato.

All’epoca della prima edizione

del libro, nel 1997, eravate piuttosto scettici sul ruolo di Internet.

La vostra posizione è cambiata per il ruolo che svolgono, ad esempio,

le reti sociali in certi movimenti?

Il libro non sarebbe stato possibile

senza Internet. Non criticavamo Internet, al contrario. Non avremmo

potuto avere conoscenza di numerose iniziative citate senza questo strumento.

Ma non facciamo media-guerriglia. Ci interessiamo ai processi di comunicazione,

ma possono avere luogo a livelli molto differenti: non solo attraverso

il web o il telefono, ma anche viso a viso, per strada. L’idea che Internet

sostituisca la piazza o che la rete sia oggi il punto centrale non ci

sembra pertinente. Non c’è una rivoluzione Facebook, ma una rivoluzione

nel mondo arabo che Facebook ha contribuito a diffondere. Non ne è

la causa. Le reti sociali danno una possibilità supplementare per partecipare

alle azioni, tutto qui.

Che considerazione avete del

movimento degli Indignati e di Occupy?

Il modo di cui i media hanno

criticato la mancanza di contenuti di questi movimenti è interessante.

Possono sembrare apolitici, del punto di vista della rappresentazione

classica di ciò che viene considerato politico, perché non hanno rivendicazioni

evidenti. Ma è un modo di rifiutare la comunicazione con i media.

Loro rispondono loro: “Non diremo quello che volete stare a

sentire“. Sono come un significante vuoto. Tutti si possono

proiettare dentro. Questo li rende imprevedibili come partner possibili

in un’alleanza, ma anche per il potere. Una legge fondamentale del capitalismo

è quella di integrare le critiche. Negare la possibilità che le sue

rivendicazioni vengano riprese dal capitalismo è di per sé un fatto

politico. Non si tratta più qui di stipendi o di progetti concreti.

La vita intera è sottoposta a un processo di sfruttamento. I movimenti

attuali sono un tentativo di risposta a questo. Ma la sinistra classica

non sembra comprendere che si tratti là di una nuova forma di azione

politica.

**********************************************

Fonte: La « communication-guérilla », un renouveau de l’action politique ?

08.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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