DI RACHEL KNAEBEL
Bastamag.net
Militanti nel buonumore e nella lotta
contro la vulgata dominante attraverso il sarcasmo. È l’idea di
partenza del “Manuale di comunicazione-guerrilla”, di cui è appena
uscita la traduzione in francese. Stampata in Germania, questa guida
di attivismo ludico è arrivata velocemente alla quinta edizione al
di là del Reno. Descrivendo le iniziative dell’impegno in Europa
e in America dagli anni ‘60, il libro propone strategie di intervento
e di azione politica per interferire nei processi di comunicazione.
Intervista.
Guida dell’attivismo gioioso e scherzoso,
di una sovversione goliardica, il “Manuale di comunicazione-guerriglia”,
ristampato con regolarità, propone da quindici anni un pratica ludica
per “fare andare in frantumi la falsa appariscenza dell’ordine
dominante“: deviazioni, falsificazioni, difesa assurda delle
posizioni contrarie fino a spingerle verso ultime e insostenibili trincee,
teatro invisibile, attacchi di lanci di torte, partiti politici satirici,
Esempi? Alcuni attivisti si sono infiltrati in una riunione dei conservatori
per applaudire a ogni piè sospinto, oppure organizzando “manifestazioni
di destra” per fare la caricatura degli slogan securitari o delle
politiche fiscali. O si travestono da integralisti cristiani per fare
irruzione, completamente nudi, in un incontro di confraternite considerate
ultra-reazionarie. Questi interventi di comunicazione-guerriglia hanno
conosciuto alcuni momenti di gloria, particolarmente con gli “Yes
Men”. Un principio: lo pseudonimo collettivo. Questo manuale, del
gruppo autonomo tedesco a.f.r.i.k.a, è pubblicato sotto due pseudonimi:
Luther Blissett e Sonja Brünzels.
Basta!: Parlate di pratiche
che esistono dagli anni ‘60. Perché è necessario raggruppare
questi esempi di azioni militanti sotto il concetto di “comunicazione-guerriglia”?
Sonja Brünzels: Abbiamo notato
una crisi delle nostre pratiche politiche all’interno della sinistra
radicale. Pensavamo che questa crisi era dovuta in parte alla cesura
del 1989 (la caduta del muro di Berlino, in seguito al cedimento del
blocco sovietico, ndr). A partire da questa data, ci siamo chiesti in
modo ancora più forte: “Perché
nessuno ci ha ascoltato?” Oggi capiamo che è la transizione
verso un capitalismo cognitivo, teorizzato da Yann Moulier Boutang,
il fattore decisivo. Una cosa di cui non avevamo allora una chiara consapevolezza.
Abbiamo viaggiato un po’ dovunque, per i dibattiti politici sul libro,
dopo la sua uscita. Tornava sempre lo stesso attacco: “Proponete
le stesse cose della pubblicità e delle relazioni pubbliche!”
All’epoca, ci difendevamo. Oggi direi giustamente, proprio perché questo
modo di intervento opera all’esterno del contesto politico, una cosa
assolutamente necessaria per sviluppare proprie iniziative sul territorio.
Insistete sul fatto che la sinistra
può essere anche gioiosa, invece di ondeggiare senza tregua tra
“costrizioni militanti, pragmatismo innocuo e ideologia pura”.
La sinistra radicale ha seguito questa via?
Per il movimento anticapitalista, le
pratiche di comunicazione-guerriglia sono diventate più evidenti,
principalmente con una sorta di “carnevalizzazione”
dei movimenti di sinistra a livello internazionale. Questi movimenti
sono più inclini a condurre altri tipi di azioni, meno tradizionali
e che danno forza a quelli che partecipano. È questo il senso della
gioia. Non si tratta di avere dei fans, ma di decidersi di agire. Sapendo
di partire da una posizione minoritaria, dove le azioni spesso non hanno
effetto.
Alcuni dicono che oggi la situazione
è talmente grave che non ci sono più
di posto per la risata nell’azione militante…
È falso. Il pessimismo culturale,
questa affermazione per cui “va sempre peggio”, non è, per
noi, un pensiero di sinistra. Vediamo sempre la possibilità per un
cambiamento. La comunicazione-guerriglia è chiaramente legata, in gran
parte, alle classiche democrazie occidentali e rappresentative. In questo
senso, è limitata. Ma non esiste di situazione dove la comunicazione-guerriglia
sarebbe impossibile. Anche se è più complicata nelle situazioni totalitarie,
la cosa va comunque ponderata.
Spiegate in questo libro la pratica
dello pseudonimo collettivo. Perché
voi ne utilizzate due?
Nel gruppo autonomo a.f.r.i.k.a utilizziamo,
a scelta, Luther Blissett o Sonja Brünzels. Uno volta uno, una volta
l’altro. Non abbiamo definito chiaramente l’idea del nome multiplo sul
manuale. Con la discussione attuale intorno al copyright e al
plagio, la cosa prende un nuovo significato.
All’epoca della prima edizione
del libro, nel 1997, eravate piuttosto scettici sul ruolo di Internet.
La vostra posizione è cambiata per il ruolo che svolgono, ad esempio,
le reti sociali in certi movimenti?
Il libro non sarebbe stato possibile
senza Internet. Non criticavamo Internet, al contrario. Non avremmo
potuto avere conoscenza di numerose iniziative citate senza questo strumento.
Ma non facciamo media-guerriglia. Ci interessiamo ai processi di comunicazione,
ma possono avere luogo a livelli molto differenti: non solo attraverso
il web o il telefono, ma anche viso a viso, per strada. L’idea che Internet
sostituisca la piazza o che la rete sia oggi il punto centrale non ci
sembra pertinente. Non c’è una rivoluzione Facebook, ma una rivoluzione
nel mondo arabo che Facebook ha contribuito a diffondere. Non ne è
la causa. Le reti sociali danno una possibilità supplementare per partecipare
alle azioni, tutto qui.
Che considerazione avete del
movimento degli Indignati e di Occupy?
Il modo di cui i media hanno
criticato la mancanza di contenuti di questi movimenti è interessante.
Possono sembrare apolitici, del punto di vista della rappresentazione
classica di ciò che viene considerato politico, perché non hanno rivendicazioni
evidenti. Ma è un modo di rifiutare la comunicazione con i media.
Loro rispondono loro: “Non diremo quello che volete stare a
sentire“. Sono come un significante vuoto. Tutti si possono
proiettare dentro. Questo li rende imprevedibili come partner possibili
in un’alleanza, ma anche per il potere. Una legge fondamentale del capitalismo
è quella di integrare le critiche. Negare la possibilità che le sue
rivendicazioni vengano riprese dal capitalismo è di per sé un fatto
politico. Non si tratta più qui di stipendi o di progetti concreti.
La vita intera è sottoposta a un processo di sfruttamento. I movimenti
attuali sono un tentativo di risposta a questo. Ma la sinistra classica
non sembra comprendere che si tratti là di una nuova forma di azione
politica.
Fonte: La « communication-guérilla », un renouveau de l’action politique ?
08.12.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE