LA COCA COLA E’ MORTE

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blankDI MICHAEL BLANDING
The Nation

L’incommensurabile fedina penale nella violazione dei diritti umani da parte del gigante dei softdrink sta finalmente venendo a galla in tutta la sua barbarie.

La sala da ballo dell’Hotel du Pont di Wilmington, Delaware, è il ritratto dell’opulenza. Dipinti di dèi greci appaiono sui muri, illuminati da due lampadari di cristallo della grandezza di Mini Coopers. E’ qui che nel mese di aprile la Coca Cola Company ha tenuto il rendezvous per i suoi azionisti, una pratica annuale progettata al fine di accrescere la fiducia dei suoi investitori. Se il meeting è stato simile a quello dello scorso anno allora forse potrebbe sortire l’effetto opposto.
Quando gli azionisti riempirono la sala nell’aprile del 2005 non c’erano buone notizie per la Coca Cola che aveva perso costantemente quote di mercato a favore dei rivali. Gli investitori erano desiderosi di rassicurazioni da parte dell’amministratore delegato Neville Isdell, un aristocratico irlandese che ha recentemente assunto la carica. Pochi nella sala, comunque, erano preparati a ciò che sarebbe successo in seguito. Mentre Isdell stava sul palco, due lunghe file si formarono ai microfoni e quando aprì il dibattito, il primo a parlare fu Ray Rogers un attivista veterano coordinatore della campagna Stop Killer Coke . “Voglio sapere che cosa sta facendo la Coca Cola per recuperare la fiducia e la credibilità al fine di arrestare il crescente movimento che boicotta i suoi prodotti in tutto il mondo” ha tuonato il sessantaduenne.

Questo era solo l’inizio di novanta minuti di rissa su cui il Financial Times in seguito ha dichiarato “sembrava più un collettivo studentesco di protesta che un meeting di azionisti”. Uno dopo l’altro sindacalisti, studenti, attivisti e ambientalisti hanno sottolineato la violazione sistematica dei diritti civili da parte della multinazionale in tutto il mondo. Molti hanno concentrato l’attenzione sulla Colombia dove la Coca Cola è accusata di collaborare con gli squadroni della morte del governo paramilitare al fine di torturare ed uccidere i sindacalisti. Altri hanno evidenziato la situazione dell’India dove la Coca Cola ha prosciugato le risorse idriche ed inquinato le fonti. Altri ancora hanno imputato alla compagnia di favorire l’obesità tramite un aggressiva campagna di marketing verso i bambini.

Negli ultimi due anni la campagna “Stop Killer Coke” è divenuta la più grande mobilitazione anti-corporation insieme a quella contro la Nike per lo sfruttamento della manodopera. In tutto il mondo dozzine di associazioni e più di venti università hanno bandito i prodotti della Coca Cola dalle loro forniture, mentre gli attivisti si sono accaniti contro la compagnia nelle gare di qualificazione per la Coppa del Mondo a Londra e durante le Olimpiadi invernali di Torino. Più che il riemergere di un boicottaggio anti-corporation, la battaglia contro la Coca Cola rappresenta un balzo in avanti nella cooperazione internazionale. La Coca Cola con la sua interfaccia bianca e rossa riconoscibile ovunque da Pechino a Baghdad, è forse il simbolo per eccellenza del dominio economico globale USA. La battaglia per rendere la compagnia socialmente responsabile è stata largamente collegata con questioni di ordine transcontinentale al fine di farla divenire realmente un movimento globale di protesta proveniente dal basso.

La Coca Cola fa spallucce nei confronti delle proteste circoscrivendole come provenienti da “un piccolo segmento della popolazione studentesca” dice Ed Potter, direttore della compagnia per le relazioni industriali. “Ciò a cui assisto sono strumentali tentativi di mettere sotto la luce dei riflettori
alcuni comportamenti riprovevoli che tuttavia non riguardano i nostri luoghi di lavoro”. Ciò nonostante la Coca Cola ha controbattuto tramite la pubblicità in Tv e sui giornali studenteschi, grazie all’immenso budget per la pubblicità che è cresciuto del 30% negli ultimi due anni arrivando all’incredibile cifra di 2,4 miliardi di dollari. Comunque tutto ciò costituisce una prova contro la compagnia come è emerso nell’ultimo meeting degli azionisti e nondimeno la crescente pressione che la multinazionale avverte nell’indirizzare la sua immagine di sfruttamento e brutalità .

La mattina del 5 Dicembre 1996, il leader dei sindacalisti Isidro Segundo Gil stava davanti al cancello della fabbrica di imbottigliamento della Coca Cola a Carepa, in Colombia, quando due militari gli si avvicinarono con una motocicletta e gli spararono a morte. Una settimana dopo, i sindacalisti hanno affermato che le forze paramilitari radunarono tutti i lavoratori all’interno dell’impianto e li costrinsero a firmare un accordo che rinunciava ai servigi del sindacato delle fabbriche di imbottigliamento, il SINALTRAINAL, sancendone la fine dell’attività all’interno dello stabilimento.

La violenza contro i membri dei sindacati è un fatto comune in Colombia dove circa 4000 persone sono state uccise dalle forze paramilitari negli ultimi venti anni. Ma l’assassinio di Gil era diverso, affermano i suoi compagni di sindacato; due mesi dopo essi videro il direttore dello stabilimento incontrarsi con un comandante dei paramilitari all’interno della caffetteria dell’impianto. E solo una settimana prima che Gil fosse ucciso, egli stava negoziando con la compagnia un nuovo tipo di contratto. I lavoratori considerano questi eventi come la prova della collusione che c’è fra i dirigenti delle fabbriche e le forze paramilitari. “Sin dall’inizio la Coca Cola ha preso posizione non solo per cancellare il sindacato ma anche per eliminare i suoi lavoratori affiliati” ha detto il presidente del SINALTRAINAL Javier Correa durante un discorso in una sua recente apparizione negli States.

Tanto meno l’assassinio di Gil si tratta di un evento isolato. In tutto otto membri del sindacato ed un dirigente amico sono stati uccisi fra il 1989 e il 2002. Ancora oggi i leader del sindacato ricevono periodicamente minacce di morte ed attentati alle loro vite. Nel 2003 l’esercito paramilitare ha rapito e torturato il figlio quindicenne di uno dei leader del sindacato ed ucciso il cognato del vicepresidente del SINALTRAINAL. Lo scorso gennaio, i dirigenti dell’impianto di Coca Cola di Bogotà, racconta Javier Correa, hanno tentato di far firmare ai lavoratori una dichiarazione in cui si sosteneva che la Coca Cola non viola i diritti umani; una settimana dopo il leader del sindacato ha ricevuto minacce di morte per sé e la sua famiglia.

“La Coca Cola ha una lunga storia alle spalle nel campo della violenza antisindacale” afferma Lesley Gill,, un professore di Antropologia all’ American University che è stato due volte in Colombia per documentare la violenza. “E’ stata calcolata e mirata, e avviene durante i periodi di negoziazione dei contratti.” Un’ indagine del 2004, diretta dal Consigliere Comunale di New York City Hiram Monserrate, ha documentato 179 “grosse violazioni dei diritti umani” contro i lavoratori della CocaCola, insieme a numerose accuse sul fatto che “la violenza dei paramilitari contro i lavoratori è stata fatta con la consapevolezza e sotto la probabile direzione dei manager dell’azienda.” La violenza ha fatto pagare un caro prezzo al sindacato. Negli scorsi 10 anni, gli iscritti al SINALTRAINAL tra gli impiegati della Coca Cola sono calati da 1400 a meno di 400.

I rappresentanti della Coca Cola negano il coinvolgimento dell’azienda o dei suoi partner nell’imbottigliamento, sostenendo che gli omicidi sono un sottoprodotto della guerra civile nel paese. In risposta, l’azienda propaganda le misure di sicurezza che offre ai leader sindacali, compresi prestiti per i sistemi di sicurezza domestici e il trasferimento per coloro che sono in pericolo. Inoltre, la Coca Cola indica che è stata assolta in diversi casi dai tribunali colombiani. Però, accusando che quei tribunali sono inefficaci –solo cinque paramilitari sono stati dichiarati colpevoli di omicidio, nonostante 4000 delitti — il SINALTRAINAL si è unito nel 2001 all’ International Labor Rights Fund [ILRF , fondo per i diritti del lavoro n.d.t.],un’ organizzazione di solidarietà basata a Washington. Servendosi di una legge Usa chiamata Alien Tort Claims Act, il ILRF e la United Steelworkers lo scorso anno a Miami hanno fatto causa alla Coca Cola e ai suoi imbottigliatori. Nel 2003 un giudice ha sentenziato che la Coca Cola non poteva essere ritenuta responsabile per le azioni dei suoi imbottigliatori e l’ha esclusa dal processo pur permettendo che la causa contro i suoi imbottigliatori andasse avanti. L’avvocato Terry Collingsworth dell’ ILRF ritiene questa decisione assurda, facendo notare che la Coca Cola ha partecipazioni nella proprietà dei suo imbottigliatori colombiani e ha accordi molto dettagliati sull’ imbottigliamento. “Sono sicuro al 100% che se la Coca Cola ad Atlanta ordinasse loro di cambiare il colore dell’uniforme dal rosso al blu, essi lo farebbero,” dice Collingsworth. “Potrebbero fermare queste attività in un minuto.”

Mentre l’ ILRF è ricorso in appello contro questa decisione, le regole procedurali richiedono che si aspetti sino alla fine del processo contro gli imbottigliatori prima di poter riprendere il processo contro la Coca Cola– una procedura che potrebbe durare anni. “Avevamo bisogno di trovare in modo per cui la Coca Cola vedesse il ritardo in maniera negativa,” dice Collingsworth. Nel 2003 il SINALTRAINAL fece un appello per un boicottaggio internazionale dei prodotti della Coca Cola. Allo stesso tempo l’ ILRF ha contattato Ray Rogers, direttore di Corporate Campaign, Inc., una organizzazione che collabora con i sindacati per ottenere contratti tramite metodi non ortodossi. Negli scorsi trent’anni, Rogers ha forzato concessioni da una dozzina di aziende—comprese American Airlines, Campbell’s Soup e New York’s Metropolitan Transportation Authority –non attraverso scioperi o negoziati ma tramite un’aggressiva strategia basata sul mettere in imbarazzo pubblicamente chiunque fosse associato con i suoi obiettivi.

Rogers ha visto immediatamente la debolezza della Coca Cola: il suo marchio. “Sono proprio al vertice della classifica delle peggiori aziende al mondo, eppure hanno creato un’immagine simile a quella della torta alle mele,” ha detto. “Quando la gente pensa alla Coca Cola, dovrebbero pensare alle grandi difficoltà e alla disperazione di gente e comunità in tutto il mondo”. Sin dall’inizio, si è appropriato della scritta rossa del marchio di fabbrica della Coca Cola per fare il logo “Killer Coke”, e ha modificato le loro campagne pubblicitarie usando slogan come “The Drink That Represses” [La bevanda che opprime n.d.t.]e “Murder–It’s the Real Thing.” [omicidio–è il massimo n.d.t.]. Egli ha fatto due anni fa una prima drammatica apparizione al meeting annuale della Coca Cola, quando la polizia ha trascinato Rogers via dal microfono e l’ha portato con la forza fuori dalla sala.

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Prima ancora, Rogers aveva rifiutato l’appello di SINALTRAINAL per un boicottaggio da parte dei consumatori di prodotti Coca Cola, temendo che potesse essere inefficace e potesse alienare i sindacati che lavoravano con la Coca Cola. Egli si è focalizzato sul “tagliare fuori dei mercati” occupandosi dei maggiori legami istituzionali. Ha convinto diversi sindacati, incluso American Postal Workers, diversi grandi locali della Service Employees International, e UNISON, il più grande sindacato britannico, a bandire la Coca Cola dai loro servizi e dai loro edifici, e ha indotto i gestori dei fondi pensione, compresa la città di New York, a far passare risoluzioni che minacciassero di ritirare centinaia di milioni in investimenti azionari sulla Coca Cola a meno che essa non avesse indagato sugli abusi in Colombia. Ha persuaso non solo il SEIU ma il più grande sindacato Usa degli stessi impiegati della Coca Cola, il Teamsters, a far passare una risoluzione in appoggio alla Campaign to Stop Killer Coke [campagna per fermare la Coca Cola killer n.d.t.] e a parlarne allo scorso meeting annuale (il Teamsters è arrivato quasi a bandire la Coca Cola dai suoi uffici). “Ciò che sentiamo è orrendo,” dice David Laughton, il segretario e tesoriere della divisione bevande del sindacato. “La mancanza di azioni da parte dell’azienda sta avendo un effetto a catena in tutto il paese nelle scuole e nei college, e ciò significa una riduzione di posti di lavoro per noi. È tempo che si sveglino e ammettano i loro errori.”

Il più grande successo della campagna c’è stato nei college e nelle università. Rogers ha approntato un sito Web con una guida passo passo per gli studenti che cercano di convincere le loro istituzioni a tagliare i contratti da molti milioni di dollari con la Coca Cola, e ha girato per le scuole per tenere manifestazioni e consigliare gli studenti. Una ad una, più di una dozzina di scuole negli Stati Uniti, insieme a un gruppo di altri in Irlanda, Italia e Canada, hanno deciso di tagliare lucrosi contratti per l’acquisto di bevande o in altro modo bandire la Coca Cola dai campus. Lo sforzo ha avuto un’ accelerazione dopo che vi si è unito United Students Against Sweatshops [Studenti Uniti contro le fabbriche-lager n.d.t.] — uno dei maggiori gruppi dietro il boicottaggio della Nike negli anni 90 –che ha aiutato nell’organizzazione dei suoi passi. Le campagne contro la Coca Cola sono ormai attive in qualcosa come 130 università in tutto il mondo. “Questa campagna contro la Coca Cola ha politicizzato una nuova generazione di studenti,” dice Camilo Romero, un organizzatore nazionale con l’ USAS. “E’ qualcosa con cui gli studenti si sentano personalmente collegati, perché è qualcosa che possono tenere nelle loro mani”, dice Aviva Chomsky, professore al Salem State College in Massachusett, che ha tagliato i suoi legami due anni fa. “E’ troppo facile dire ‘Ci sono tante cose cattive al mondo mi concentro solo sulla mia vita’. Ciò che attira è la concretezza di questa campagna.”

Mentre le campagne degli studenti si sono focalizzate soprattutto sugli abusi in Colombia, alcune hanno incluso richieste anche da altri paesi. Poche aziende hanno la portata globale che ha la Coca Cola, che ha realizzato una rete di collaborazioni nell’ imbottigliamento in tutto il mondo che le consente di massimizzare i profitti tenendo bassi costi di distribuzione e sfruttando all’estero inefficaci leggi sull’ambiente e sul lavoro. I primi tuoni sono venuti dall’India, dove coloro che abitano in villaggi vicini a diversi impianti di imbottigliamento della Coca Cola hanno riferito che i loro pozzi si stanno esaurendo, calando a volte di più di 18 metri; nel frattempo, l’acqua che potevano attingere era inquinata da prodotti chimici maleodoranti. Ad iniziare dal 2002 gli abitanti di un villaggio vicino a Plachimada, nello Stato meridionale del Kerala, hanno iniziato una veglia permanente fuori dell’impianto locale. Alla fine hanno ottenuto una chiusura a tempo indeterminato nel marzo 2004, sebbene il caso rimanga aperto presso l’Alta Corte del Kerala.

A Mehdiganj nell’India centrale, gli abitanti, lo scorso marzo, hanno iniziato un’altra veglia. Sempre maggiori proteste lì e in un terzo impianto, nello stato deserto del Rajasthan, sono finite in attacchi da parte della polizia, dei quali Amit Srivastava dell’ India Resource Center (IRC) dà la colpa alla Coca Cola, contro gli abitanti che adottavano tattiche Gandhiane di nonviolenza. “Sappiamo che l’azienda ha il potere di impedire alla polizia di ricorrere alla violenza”, ha detto, “ma ha lasciato che queste cose accadessero senza dire una parola.”

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[Immagini della proteste in India e delle aggressioni da parte della polizia]

L’ IRC è stata raggiunta in questa missione da Corporate Accountability International (CAI), che ha attaccato la Coca Cola per il suo tentativo aggressivo di vendere acqua minerale. “Se l’acqua diventasse un prodotto di marca si danneggerebbe chiaramente la domanda di appoggio per i sistemi idrici pubblici,” dice Kathryn Mulvey direttore esecutivo del CAI. “A perderci sarebbero quelli che non hanno i dollari sufficienti a comprare l’acqua.” Da vecchio organizzatore di campagne anti-aziendali, Mulvey vede la campagna contro la Coca Cola come un nuovo modello. “La gente prende questi abusi che avvengono in tutto il mondo e li porta ai quartieri generali della Coca Cola,” afferma. “Le aziende multinazionali stanno superando davvero lo stato-nazione come istituzione politica ed economica dominante. I movimenti per il cambiamento sociale hanno bisogno di trovare vie per unirsi attraverso i confini e adottare strategie comuni.”

L’ampio attacco contro l’azienda è stato un punto di forza per la campagna, permettendo a diversi gruppi di condividere informazioni e arruolare grandi quantità di gente per le proteste, riuscendo anche a diventare un difficile obiettivo per i contrattacchi. “L’azienda non riesce a controllarlo,” afferma Rogers. Hanno capito che non si possono sbarazzare di una persona o di un gruppo e sperare che la cosa finisca. Allo stesso tempo il grande numero di accuse contro la Coca Cola solleva la domanda di quando e come la campagna potrà dichiarare vittoria. Su questo argomento, i diversi gruppi hanno le idee chiare sui loro obiettivi specifici. La Campaign to Stop Killer Coke, per esempio, ha adottato sette richieste del SINALTRAINAL, che includono una politica di diritti umani per le aziende di imbottigliamento e risarcimenti per le famiglie dei lavoratori uccisi. La campagna in India chiede la chiusura di alcuni impianti, la bonifica di altri e risarcimenti per gli abitanti danneggiati.

Molte campagne studentesche hanno espresso come loro maggiore richiesta un’indagine indipendente sugli abusi commessi in Colombia. Al meeting annuale dello scorso anno, la Coca Cola ha cercato di ammorbidire le critiche pubblicando i risultati di uno studio finanziato dall’azienda che è stato rifiutato dagli studenti come pateticamente di parte. Fronteggiando ancora la prospettiva di boicottaggi in diverse università–tra le quali Rutgers, NYU e Michigan –la Coca Cola ha messo assieme una commissione di studenti, amministratori scolastici e leader sindacali per scrivere un protocollo per un’indagine indipendente. “Ero sinceramente speranzoso, forse in modo ingenuo,” dice Romero dell’USAS. “Sembrava che stessero facendo questo nuovo investimento per far funzionare le cose.” Eppure sin dall’inizio, l’azienda ha insistito che aveva il diritto di essere nella commissione; pure dopo che la Coca Cola fu cacciata dagli studenti, ha continuato a mettere condizioni sull’indagine, come una moratoria per l’indagine su abusi del passato. Il tocco finale fu l’insistenza della Coca Cola che qualunque cosa venisse scoperta non potesse essere ammessa al processo di Miami, cosa che Collingsworth afferma essere contro l’etica legale. “Non possiamo pregiudicare i nostri clienti accettando di seppellire prove che potrebbero appoggiare le loro richieste,” ha scritto in una lettera piena di rabbia a Ed Potter della Coca Cola.

All’ incirca nello stesso periodo, nuove prove delle tattiche anti-sindacali della Coca Cola emergevano in Indonesia, dove, secondo l’ USAS, i lavoratori venivano minacciati quando tentavano di formare un sindacato; e in Turchia, dove più di 100 membri del sindacato furono licenziati e poi, durante una protesta, manganellati e fatti oggetto del lancio di gas lacrimogeni da parte della polizia. Lo scorso novembre l’ ILRF ha depositato un’altra denuncia contro la Coca Cola, basandosi sulle affermazioni dei lavoratori turchi. A quel punto gli studenti ne avevano avuto abbastanza; tutti tranne uno lasciarono la commissione.

Col fallimento della commissione investigativa, gli amministratori in alcune scuole hanno esaurito le scuse per mantenere i contratti con la coca-cola. Sia la NYU e la Michigan hanno sospeso i contratti in dicembre. Lo status della NYU di più grande università privata del paese ha fatto guadagnare alla campagna spazio sulla stampa nazionale e internazionale. “Sapevamo che se avessimo bandito la coca-cola, la nostra decisione si sarebbe sentita in tutto il mondo,” dice Crystal Yakacki, una neo-laureata alla NYU che ha aiutato a guidare la campagna mentre era studentessa.


[Manifestazione alla McMaster University]

Con l’avvicinarsi del meeting annuale di quest’anno, la Coca Cola è andata sull’offensiva, annunciando un piano per redigere un nuovo elenco di standard per i luoghi di lavoro. Allo stesso tempo l’azienda ha chiesto all’ International Labor Organization [ILO, organizzazione internazionale del lavoro n.d.t.] dell’Onu di eseguire una valutazione dei luoghi di lavoro negli impianti di imbottigliamento della Colombia. Rogers e Collingsworth hanno già gridato alla frode, facendo notare che Potter è stato il rappresentante Usa all’ILO per gli scorsi 15 anni. “O loro sanno qualcosa che noi non sappiamo oppure pensano che l’ILO si muova così lentamente e burocraticamente che possono far ritardare il tutto”. In risposta Potter afferma che l’organizzazione è così ampia che una persona non la può influenzare. In ogni caso la mossa sta ottenendo qualche effetto: in aprile la Michigan, citando “la riputazione e la storia dell’ILO” ha ritirato la sua messa al bando.

Il 19 aprile all’hotel du Pont, gli organizzatori sperano di mettere in scena una ripetizione della mascherata dello scorso anno, pure con un maggiore contingente di attivisti ad assistere. Le scuole che questa primavera hanno messo in discussione i contratti con la Coca Cola includevano la Michigan State, la UCLA, la University of Illinois, la DePaul e diversi campus della City University of New York. In Gran Bretagna, in aprile, la campagna ha perso una votazione per convincere la National Union of Students –che rappresenta 750 campus– a tagliare un contratto da molti milioni di sterline. Molte università britanniche però stanno continuando boicottaggi individuali, così come campus in Italia, Irlanda, Germania e Canada. “Questo è un momento storico molto raro, in cui gli studenti hanno il potere di cambiare una delle più grandi aziende al mondo,” dice Romero. Dopo recenti vittorie nelle università la forza sembra stare dalla parte della campagna. “La Coca Cola ha un mercato in contrazione; noi abbiamo un mercato in espansione,” dice Rogers. “Io voglio che la Coca Cola capisca che hanno molto più da perdere nel continuare a fare ciò che fanno. Devono essere convinti a fare la cosa giusta per il motivo sbagliato.”

Fino a che non faranno ciò, affermano gli attivisti, la violenza contro i lavoratori della Coca Cola continuerà. “È molto difficile per me convincere la mia famiglia che devono vivere con la preoccupazione e che un giorno potrebbero ricevere cattive notizie, dice Correa del SINALTRAINAL. I miei bambini dicono che camminare con papà è come camminare con una bomba ad orologeria. Ma non posso abbandonare la lotta mentre vedo queste violazioni avvenire attorno a me. La realtà della situazione è che è meglio stare con un sindacato che senza.”

Michael Blanding è uno scrittore free-lance che vive a Boston. Potete leggere altri suoi articoli al sito MichaelBlanding.com.

Michael Blanding
Fonte: http://www.alternet.org/
Link: http://www.alternet.org/rights/34976/
14.04.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di ALCENERO e FRANCESCO SCURCI

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