LA CINA: GIGANTE ECONOMICO, NANO POLITICO?

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FONTE: Infoguerre.fr

La Cina è un gigante economico.

Seconda potenza economica mondiale, la Cina non è più un

paese emergente, prerogativa abusiva che continua a rivendicare in particolare

di fronte ai paesi in via di sviluppo ai quali si considera vicina.

Questa tecnica retorica che segna i discorsi ufficiali dell’Impero

del Mezzo le permette di non intraprendere il suo ruolo di grande potenza,

di legittimare il suo modello di sviluppo e quindi di aumentare la sua

sfera d’influenza presso i paesi che aspirano al suo stesso obiettivo:

lo sviluppo e la potenza economica. Così la Cina, grazie ad azioni

comuni in ambito economico e anzi politico, crede di poter federare

attorno alla sua bandiera i paesi che, nel corso della storia, sono

stati spogliati delle loro ricchezze dall’Occidente predatore.Questa posizione rivela senza dubbio

uno spirito di rivincita che tutti i discorsi ufficiali sulla cooperazione

internazionale tra l’Asia (da intendersi: la Cina in primis) e l’Occidente

– nella sua accezione geo-economica più larga – non possono eclissare.

La Cina è nuovamente “grande”,

“potente”; è “di ritorno” dopo le umiliazioni occidentali fatte

di guerre perse e di smantellamenti territoriali. Le due guerre dell’oppio,

la rivolta dei boxer che vide contro di lei l’alleanza di otto

potenze occidentali, alla quale conviene aggiungere una guerra perduta

contro un Giappone (1894-1895) considerato da sempre dalla Cina come

un paese subalterno: una Cina in ginocchio; peggio, sotto tutela straniera.

Questi episodi, da un punto di vista economico e politico, sono stati

devastanti per il paese; lo sono stati anche per la sua psiche. La potenza

economica ritrovata attenua il gusto amaro lasciato dalle umiliazioni

subite, ma non ne rimuove il ricordo. Gridare il ritorno della sua potenza

e della sua grandezza di un tempo è dunque fondamentale per Pechino;

un clamore che si rivolge senza dubbio al mondo esterno ma, indubbiamente,

anche allo stesso popolo cinese.

Un ruolo politico trascurabile

Il racconto che la Cina propone di

sé stessa confina con l’auto-suggestione. Certo, i fatti sono innegabili:

la Cina è una grande potenza economica, ma resta un nano politico.

L’obiettivo di raggiungere lo status di potenza mondiale è

molto lontano. Lo raggiungerà mai? La domanda deve essere posta in

termini più arditi: può raggiungerlo? Lo vuole? Pretendere al rango

di potenza mondiale non si limita a una visione e a una lettura meramente

economica del mondo. Essere un “grande”, come si qualificavano gli

Stati Uniti o l’URSS all’epoca della guerra fredda, e soprattutto

essere riconosciuto tale, significa assumere le responsabilità che

una parte del mondo pone nelle vostre mani. In un certo senso, i paesi

meno potenti riconoscono a un “grande” la capacità di gestire certe

situazioni globali complesse. In effetti, si aspettano che un grande

paese utilizzi tutta la sua influenza per partecipare alla costruzione

di un mondo più armonioso. Tema caro al Partito Comunista cinese; per

molto tempo, la Cina ha beneficiato di uno statuto di paese “a parte”.

Ora è tutta affaccendata a fare affari con il mondo. Qual è il valore

della sua responsabilità globale? Qual è il messaggio che può offrire

al mondo? Oggi ci si può domandare quale sia la capacità della Cina

per poter mantenere il rango di potenza mondiale. Di solito la potenza

economica va a braccetto con la potenza politica e conferisce a una

nazione un ruolo superiore di potenza responsabile. L’URSS, grazie

al suo prestigio, intratteneva una rete di alleanze con i paesi “amici”

o non-allineati poiché, oltre all’aiuto logistico e al sostegno diplomatico

che forniva in cambio del loro vassallaggio, offriva a questi paesi

un’alternativa al modello occidentale. Con tutte le precauzioni del

caso possiamo dire che l’URSS era aperta verso l’esterno anche se

lo era per una necessità imperialistica e strategica.

La Cina non ha raggiunto questa capacità.

Si vede come una fortezza che l’Occidente mantiene in stato d’assedio.

Le offensive su questo tema sono frequenti e mirano a unire la popolazione

attorno al potere contro un nemico comune. Fatte salve le sue attività

commerciali, la Cina non partecipa agli affari del mondo. Il seggio

che occupa al Consiglio di sicurezza (seggio ottenuto nel 1950 dietro

la minaccia di Stalin di boicottare l’ONU in caso di rifiuto degli

Stati Uniti e non in funzione della potenza all’epoca molto relativa

della Cina) la autorizza a porre il veto, ma si tratta della sua sola

esistenza politica legittima a livello internazionale. Paradossalmente

la Cina è entrata nel gioco delle relazioni internazionali, nel senso

che non occupa più il posto di paese “a parte”. La Cina ne è stata

obbligata e costretta dal fatto che la sua potenza economica ha attirato

su di lei i riflettori. E costantemente l’oggetto di critiche della

stampa internazionale e delle ONG, ad esempio sulla questione dei diritti

dell’uomo o sulle problematiche ecologiche. Il trattamento senza riguardo

che subisce la rimanda alla sua realtà interna.

Soffre di un difetto di credibilità

e di legittimità per interpretare i buoni uffici. A questo proposito

non può pretendere lo status di grande potenza mondiale: la Cina, in

effetti, si trova nell’incapacità di adattarsi al mondo esterno.

I movimenti di emancipazione nei paesi arabi, esplosi all’inizio del

2011, non sono stati oggetto di alcun commento da parte delle autorità

cinesi. In compenso il potere si è affrettato a far scomparire dai

motori di ricerca dei termini in mandarino come “gelsomino”, “Egitto”,

eccetera, senza pensare che queste stesse parole fossero disponibili

in… inglese. Questo esempio mostra la mancanza di competenza delle

autorità, prese dal panico all’idea di un possibile contagio, e la

mancanza di comprensione della capacità dei giovani a cogliere l’informazione.

Ciò dimostra anche l’autarchia nella quale il potere è rinchiuso.

Un atteggiamento autistico che invalida de facto

la pretesa della Cina di assumere il ruolo di grande potenza politica

mondiale.

La situazione attuale in Siria deve

inquietare non poco le autorità di Pechino. Se il regime di Bachir

El-Assad – dato per inaffondabile e il cui sistema corrotto presenta

forti similitudini con quello cinese – precipitasse nonostante la violenza

della repressione, le preoccupazioni del potere cinese sarebbero legittime.

Perché la Cina considera il mondo come un rischio permanente, deve

assalirlo in silenzio, non risvegliare il drago. Il potere cinese è

perfettamente cosciente che il drago semi-dormiente è sempre presente

in Cina. L’ossessione della sua perennità condiziona tutte le azioni

del PCC. È terrorizzato dall’ipotetico verificarsi di manifestazioni

interne e ciò neutralizza ipso facto qualsiasi velleità di

grandezza politica sulla scena internazionale. In effetti, come potrebbe

la Cina giocare un ruolo di mediazione o di regolazione a livello internazionale

se non ha altro da offrire al mondo a parte il totalitarismo e i propri

interessi economici?

Un drago di carta

I discorsi sulla ritrovata grandezza

della Cina celano tutta un’altra realtà. Le performance economiche

non le conferiscono il rango di potenza politica che conta sul piano

internazionale. Poiché la Cina è una dittatura, il suo discorso sui

progressi della democrazia, le sue condanne, le non condanne, le sue

relazioni con stati poco raccomandabili, la sua politica di circostanza

della non ingerenza, le sue false indignazioni sono ridicole e obliterano

la sua pretesa a essere una grande potenza mondiale legittima. La Cina

non può imporre nulla per il momento. E non può nemmeno opporsi frontalmente.

Si limita ad alzare i toni e si abbandona spesso a tattiche di tensione

psicologica. Ecco le ombre cinesi della potenza dell’Impero del Mezzo,

che le attribuiscono solo le apparenze di una potenza politica e che

solo la potenza militare, a lungo termine, potrebbe conferirle. All’hard

power, la Cina, per ora, preferisce ricorrere al fascino e alla

seduzione tramite il soft power che già utilizza al servizio

dell’autopromozione su scala internazionale.

Ricorrere al soft power permette

al potere cinese di addolcire l’immagine del paese nel mondo. Non

è affatto scontato che la seduzione operi così facilmente (1). La

Cina spaventa. Numerosi stati della regione, anche se traggono i benefici

della crescita cinese, restano diffidenti riguardo alle intenzioni espansionistiche

di Pechino. Le recenti dimostrazioni di forza che hanno opposto la Cina

a molti dei suoi vicini, a proposito di rivendicazioni territoriali,

non sono altro che un epifenomeno delle relazioni quantomeno ambigue

che Pechino intrattiene con loro. Questa macchia è opportunamente sfruttata

da Washington che ha chiaramente annunciato che l’“America è di

ritorno in Asia e conta pienamente restarci” (2). Un programma abbastanza

inquietante per Pechino, che non vede di buon occhio l’avvicinamento

agli Stati Uniti di paesi come il Vietnam o l’Indonesia. A difetto

di essere una potenza politica d’importanza e, dunque, di impressionare,

la Cina ha la capacità di “farsi amare” culturalmente? La questione

è molto meno anodina di quanto sembri. Offrire al mondo un modello

sociale che attira è uno degli elementi del prestigio.

La Cina possiede degli atout

che, sull’esempio degli Stati Uniti, potrebbero generare un’attrazione

naturale da parte delle popolazioni mondiali, in particolare dei giovani?

Dispone di un’influenza culturale che possa far pensare che la

Chinese way of life possa sostituirsi – o più realisticamente-

possa offrire un’alternativa all’American way of life? Allo

stato attuale delle cose ciò è inimmaginabile, poiché il principale

ostacolo per la sua realizzazione è lo stesso regime dittatoriale cinese.

Un sistema politico che offre come modello di vita la restrizione delle

libertà personali in cambio di beni di consumo non è auspicabile.

L’accesso della Cina al rango di potenza planetaria legittima dovrebbe

passare, quindi, per il sabotaggio del regime. Questa analisi potrebbe

essere tacciata di propaganda occidentale. Ammettiamolo. Tuttavia, sono

numerosi i popoli che aspirano allo sviluppo e al benessere economico;

ma mai troppo scapito dei diritti e delle libertà individuali.

L’ambizione di Pechino di un XXI secolo cinese si trova forse al suo

stadio onirico.

Note:

1. Sondaggio realizzato per The

Economist, pubblicato nel Courrier International dal 21 al

27 luglio 2011, p. 15.

2. “The US is back in Asia and

is here to stay”, dichiarazione di Hilary Clinton, ottobre 2010,

durante il suo viaggio in Asia.

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Fonte: La Chine: géant économique, nain politique?

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA B.

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