DI MATT VIDAL
Counterpunch
“La crisi è inerente all’economia di mercato capitalista”
Le cauzioni e il sistema bancario-ombra
[Il mese scorso] la Federal Reserve ha incrementato gli attuali sforzi per porre termine alla fiorente crisi finanziaria. La Fed ha prima escogitato una iniezione di denaro a beneficio della banca di investimenti Bear Stearns in fallimento, un gigante di 86 anni di Wall Street, e subito dopo ha facilitato l’acquisto della Bear da parte della JP Morgan Chase.
Il prestito di denaro da parte della Fed direttamente ad una banca di investimenti, una mossa senza precedenti, segue le orme dell’approvazione da parte del governo Usa lo scorso mese di un pacchetto di stimolo economico da $ 170 miliardi. Ancora una volta lo Stato si muove in soccorso del cosiddetto libero mercato.
L’economia di mercato viene celebrata tanto per la sua ipotetica capacità naturale di autoregolarsi tanto quanto per la sua associazione teorica con l’efficienza, l’innovazione e la libertà. Ma appena vengono rimossi i paraocchi ideologici della teoria del libero mercato la storia reale dei mercati mostra coerentemente che l’economia capitalista di mercato, incline alla crisi, è tutt’altro che capace di autoregolarsi ed è, in tutti i casi di successo, profondamente dipendente da un esteso ed attivo intervento dello Stato.
Si potrebbe guardare a ruolo dello Stato nello stabilire un mercato sostenibile del lavoro (tramite i Factory Acts ) e nell’assicurare il commercio internazionale nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo; nel creare un sistema monetario internazionale stabile all’inizio del ventesimo secolo, compresa la creazione della Federal Reserve Usa, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale; o nello sviluppare attivamente le vincenti economie esportatrici delle “tigri dell’est asiatico” e della Cina alla fine del ventesimo secolo. Ma l’attuale crisi fornisce un caso di studio sulla fragilità e sulla estrema dipendenza dallo Stato del “libero” mercato.
I guai della Bear, la prima banca di Wall Street a fallire, sono iniziati la scorsa estate quando due dei suoi hedge funds specializzati nel mercato dei mutui subprime sono crollati. La potente Bear, detentrice di debiti 30 volte di più che di capitale, è stata alla fine messa al tappeto da una corsa vecchio stile agli sportelli.
Ad oggi, oltre ad un elevato numero di consumatori attirati da loschi mutui, la debacle dei mutui subprime ha messo fuori combattimento titani come la Countrywide e la Bear Stearns, il fondo speculativo Carlyle Capital, insieme ad altre aziende di prestito più piccole.
L’attuale crisi, però, è qualcosa di più che prestiti tramite mutui dubbi, scommesse sbagliate, e perdita di fiducia nel mercato. Dietro alla crisi dei mutui vi è un sistema regolatore disattento e lo sviluppo di un sistema bancario ombra–complessi strumenti finanziari creati dalla comunità degli investimenti e commerciati privatamente al di fuori della struttura regolatrice esistente.
In termini più ampi, le bolle che si stanno attualmente sgonfiando nel mercato immobiliare e in quello del credito provengono in ultima analisi dalla speculazione, alimentata in maniera significativa da una politica monetaria approssimativa da parte della Fed sin dalla fine degli anni 90. L’attuale crisi di liquidità è iniziata nel momento in cui le bolle sono infine iniziate a scoppiare, una situazione peggiorata dal fatto che i protagonisti chiave sono banche sovraquotate.
La crisi è inerente all’economia di mercato capitalista
Le fondamenta sottostanti a tutti questi problemi macroeconomici si trovano nella economia reale–la produzione di beni e servizi. I problemi nell’economia reale, al contrario di quelli nell’economia cartacea del settore finanziario, sono gli stessi di quando Marx ha per la prima volta articolato una teoria su base storica dell’economia capitalista (mentre altri economisti continuavano a teorizzare le virtù dei mercati completamente liberi); di fatto la contraddizione tra produzione socializzata e appropriazione privata e le tendenze generate dall’anarchia del mercato.
L’anarchia dei mercati, popolati da individui alla ricerca del profitto e imprese che competono all’ultimo sangue, genera rapidamente forti pressioni su agenzie regolatrici quali le banche centrali (come è la Fed). Le banche centrali e altri agenti regolatori possono solo tentare di mitigare le oscillazioni del mercato ed evitare gli effetti peggiori dovuti alle tendenze dell’anarchia di mercato, prevenire cioè episodi quali la Grande Depressione che sono l’esito naturale di mercati non regolamentati: la speculazione porta a bolle speculative e infine alla corsa agli sportelli.
Ad un livello ancora più fondamentale ci sono i problemi risultanti dalla contraddizione tra produzione socializzata e appropriazione privata. Sebbene la produttività delle aziende americane sia una funzione della capacità lavorativa coordinata dei lavoratori, il profitto viene privatamente espropriato dai proprietari e dalle loro organizzazioni.
L’appropriazione privata ha generato livelli estremi di diseguaglianza nei salari; la frazione del lavoro manuale nei guadagni in produttività negli Usa è andata declinando negli ultimi trent’anni, e la retribuzione è di nuovo completamente desincronizzata dai livelli di sforzo e di abilità quanto lo era all’inizio del ventesimo secolo.
La concentrazione della ricchezza nelle mani di una piccola percentuale della popolazione, che genera seri problemi per il potere di acquisto dei normali lavoratori, è stata provata essere una causa fondamentale degli sbilanciamenti economici che hanno portato al crollo del mercato azionario nel 1929.
Più in generale, il problema di far combaciare domanda e offerta, o nello specifico assicurare che un alto livello di domanda vada incontro alle capacità dell’offerta, è un problema duraturo delle economie capitaliste. Fu temporaneamente affrontato dalle politiche Keynesiane di gestione della domanda nei decenni tra la seconda guerra mondiale e i primi anni 70. Da allora la soluzione istituzionale al problema di far incontrare domanda e offerta è stata una economia funzionante sulla spesa di debiti, che includono il deficit commerciale, banche sopravvalutate e consumatori che spendono su crediti finanziati da una combinazione di proprietà e bolle immobiliari.
Queste contraddizioni e problemi nell’economia reale sono intimamente collegati all’attuale crisi. Secondo Stephen S. Roach di Morgan Stanley Asia, “ negli ultimi sei anni i consumatori a basso reddito hanno compensato i deboli incrementi nelle loro buste paga estraendo capitale dalla bolla immobiliare, prendendo prestiti a tasso ribassato che si poggiavano sulla bolla del credito.”
La politica dietro all’economia
Sebbene le crisi siano inerenti al capitalismo, l’attuale crisi, che affonda le sue radici in parte nel sistema bancario ombra, è un esito naturale delle politiche neoliberiste. Il liberismo classico, la dottrina politica della libertà individuale e del governo limitato, è stato l’ordine politico regnante sino a che un mercato non regolamentato implose negli Usa alla fine degli anni 20, dando inizio a una forte depressione mondiale.
Da queste rovine emersero tanto il New Deal che il consenso Keynesiano, che portarono alla nozione condivisa che lo Stato deve giocare un ruolo fondamentale nell’economia: stabilendo una rete di salvataggio e gestendo attivamente la macroeconomia.
Ma mentre i tassi di profitto delle aziende vennero schiacciati e la competizione internazionale si intensificò all’inizio degli anni 70, le condizioni erano mature per un ritorno politico di sostenitori del libero mercato.
Così nacque il neoliberismo, il progetto politico post-Keynesiano di riaffermare–come politica statale ufficiale–la dottrina che il libero commercio e la deregolamentazione sono le vie migliori per assicurare efficienza economica, crescita economica e libertà individuale.
Lontano dall’essere un mercato libero e che si autoregola l’economia neoliberista di oggi è fortemente organizzata dallo Stato e da una varietà di istituzioni, quasi tutte strutturate esplicitamente negli interessi degli investitori contro quelli delle famiglie lavoratrici. La cosiddetta deregolamentazione andrebbe più giustamente chiamata regolamentazione neoliberista.
Lo stesso sistema che sta generando l’attuale crisi finanziaria, e che ha generato la crisi manifatturiera in cui sono stati persi 3,7 milioni di posti di lavoro negli scorsi sette anni, non è affatto il vecchio libero mercato. Piuttosto è capitalismo neoliberista che, nel corso di trent’anni, ha anche generato una crescente diseguaglianza e un’instabilità del mercato del lavoro.
Un ambiente decisionale più sano inizierebbe dal rigettare il dogma dei mercati che si autoregolano, in modo che le istituzioni regolatrici possano essere fortificate e l’investimento pubblico drammaticamente aumentato. Lo Stato dovrebbe anche investire in infrastrutture estremamente necessarie e potrebbe sviluppare una politica industriale orientata all’esportazione per aiutare a bilanciare l’economia guidata dal debito.
Infine, per affrontare gli attuali problemi economici–crisi, scuole e infrastrutture con pochi finanziamenti, diseguaglianza, povertà, ecc.– dobbiamo rigettare l’intera ideologia del libero mercato. La libertà è qualcosa di più che la scelta tra dozzine di tipi di televisioni. L’efficienza è importante ma accorti investimenti e interventi statali possono aumentare l’efficienza e c’è un ampio spazio per compromessi potenzialmente soddisfacenti tra gli estremi dell’ipercapitalismo in stile americano e dell’economia pianificata in stile sovietico.
Matt Vidal è Postdoctoral Fellow presso lo “UCLA Institute for Research on Labor and Employment”. Può essere contattato all’indirizzo [email protected].
Titolo originale: “So Much for the Self-Regulating Market”
Fonte: http://www.counterpunch.org
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26.03.2008
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ALCENERO