Pepe Escobar
asiatimes.com
12 agosto 2021. La storia lo registrerà come il giorno in cui i Talebani, quasi 20 anni dopo l’11 settembre e il successivo rovesciamento del loro regno del 1996-2001 da parte dei bombardamenti americani, avevano sferrato il colpo decisivo contro il governo centrale di Kabul.
In una guerra lampo coordinata, i Talebani hanno catturato tre centri cruciali: Ghazni e Kandahar nel centro e Herat a ovest. Avevano già catturato la maggior parte del nord. Allo stato attuale, i Talebani controllano 14 capoluoghi di provincia, un numero in continuo aumento.
Per prima cosa hanno preso Ghazni, che si trova a circa 140 chilometri da Kabul. L’autostrada appena ripavimentata è in buone condizioni. Non solo i Talebani si stanno avvicinando sempre di più a Kabul, in pratica ora controllano l’arteria principale della nazione, la Highway 1, che va da Kabul a Kandahar via Ghazni.
Questo, di per sé, è un cambiamento strategico. Permetterà ai Talebani di circondare e assediare Kabul simultaneamente da nord e da sud, in un movimento a tenaglia.
Kandahar è caduta al tramonto, dopo che i Talebani erano riusciti a superare la cintura di sicurezza intorno alla città, attaccando da diverse direzioni.
A Ghazni, il governatore provinciale, Daoud Laghmani, aveva stretto un accordo, era fuggito e poi era stato arrestato. A Kandahar, il governatore provinciale, Rohullah Khanzada, che appartiene alla potente tribù dei Popolzai, se n’è andato con alcune guardie del corpo.
Aveva raggiunto un elaborato accordo, riuscendo a convincere i Talebani a permettere ai militari rimasti di ritirarsi all’aeroporto di Kandahar ed essere evacuati in elicottero. Tutto il loro equipaggiamento, le armi pesanti e le munizioni sarebbero state lasciate ai Talebani.
Le forze speciali afgane rappresentavano quanto di meglio c’era a Kandahar e stavano proteggendo solo alcune località selezionate. Ora la loro prossima missione potrebbe essere quella di proteggere Kabul. L’accordo finale tra il governatore e i Talebani dovrebbe essere raggiunto presto. Kandahar è caduta per davvero.
A Herat, i Talebani hanno attaccato da est, mentre il famigerato ex signore della guerra, Ismail Khan, alla guida della sua milizia, resisteva strenuamente da ovest. I Talebani hanno progressivamente conquistato il quartier generale della polizia, “liberato” i detenuti della prigione e assediato l’ufficio del governatore.
Il gioco è finito: Anche Herat è caduta e i Talebani ora controllano tutto l’Afghanistan occidentale, fino al confine con l’Iran.
L’Offensiva del Tet, remixata
Gli analisti militari si divertiranno un mondo ad analizzare questo equivalente talebano dell’offensiva del Tet del 1968 in Vietnam. Le informazioni satellitari possono essere state strumentali: è come se l’intero progresso del campo di battaglia fosse stato coordinato dall’alto.
Eppure ci sono alcune ragioni abbastanza prosaiche per il successo dell’assalto, a parte l’acume strategico [degli attaccanti]: la corruzione nell’Afghan National Army (ANA), la totale disconnessione tra Kabul e i comandanti sul campo di battaglia, la mancanza di supporto aereo americano, la profonda divisione politica nella stessa Kabul.
In parallelo, i Talebani hanno mantenuto l’iniziativa in segreto e per mesi, attraverso connessioni tribali e legami familiari, offrendo accordi: non combattete contro di noi e sarete risparmiati.
Aggiungeteci la profonda sensazione di essere stati traditi dall’Occidente provata da coloro che sono legati al governo di Kabul, unita alla paura della vendetta talebana contro i collaborazionisti.
Una sottotrama molto triste, d’ora in poi, riguarderà l’impotenza dei civili, provata da coloro che si considerano intrappolati nelle città ora controllate dai Talebani. Quelli che erano riusciti a fuggire prima dell’assalto sono i nuovi sfollati afgani, come quelli che hanno allestito un campo profughi nel parco Sara-e-Shamali a Kabul.
A Kabul giravano voci che Washington avesse suggerito al presidente Ashraf Ghani di dimettersi, aprendo la strada ad un cessate il fuoco e all’istituzione di un governo di transizione.
Per la cronaca, ciò che si sa per certo è che il segretario di Stato americano, Antony Blinken, e il capo del Pentagono, Lloyd Austin, avevano promesso a Ghani che “sarebbe rimaso a capo” della sicurezza afgana.
Alcuni rapporti indicano che il Pentagono prevede di ridispiegare in Afghanistan 3.000 uomini tra esercito e Marines e altri 4.000 nella regione per evacuare l’ambasciata e i cittadini statunitensi a Kabul.
La presunta offerta a Ghani, in realtà, aveva avuto origine a Doha e proveniva dall’entourage di Ghani, come mi hanno confermato fonti diplomatiche.
La delegazione di Kabul, guidata da Abdullah Abdullah, il presidente di un qualcosa chiamato Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale, attraverso la mediazione del Qatar, aveva offerto ai Talebani un accordo di condivisione del potere, a patto che fermassero l’assalto. Non si era parlato delle dimissioni di Ghani, la condizione numero uno dei Talebani per qualsiasi negoziato.
A Doha, la troika allargata sta facendo gli straordinari. Gli Stati Uniti schierano l’inamovibile Zalmay Khalilzad, ampiamente deriso negli anni 2000 come “l’Afgano di Bush.” I Pakistani hanno l’inviato speciale, Muhammad Sadiq, e l’ambasciatore a Kabul, Mansoor Khan.
I Russi hanno l’inviato del Cremlino in Afghanistan, Zamir Kabulov. E i Cinesi hanno un nuovo inviato afghano, Xiao Yong.
Russia-Cina-Pakistan stanno negoziando con una mentalità da Shanghai Cooperation Organization (SCO): tutti e tre sono membri permanenti. Pongono l’accento su un governo di transizione, la condivisione del potere e il riconoscimento dei Talebani come forza politica legittima.
I diplomatici stanno già suggerendo che se i Talebani, con qualsiasi mezzo, dovessero abbattere il regime Ghani a Kabul, saranno riconosciuti da Pechino come i legittimi governanti dell’Afghanistan, un qualcosa che creerebbe un altro fronte geopolitico incendiario nel confronto contro Washington.
Così com’è, Pechino sta solo incoraggiando i Talebani a raggiungere un accordo di pace con Kabul.
L’enigma del Pashtunistan
Il Primo Ministro pakistano, Imran Khan, non ha avuto peli sulla lingua quando è entrato nella mischia. Ha confermato che la leadership talebana gli aveva comunicato che non ci sarebbero stati negoziati con Ghani al potere, anche se aveva cercato di convincere [i Talebani] a raggiungere un accordo di pace.
Khan ha accusato Washington di considerare il Pakistan “utile” solo quando si tratta di fare pressioni su Islamabad per usare la sua influenza sui Talebani e mediare un accordo, senza considerare il “pasticcio” che gli Americani si sono lasciati alle spalle.
Khan ha ribadito ancora una volta di “essere stato molto chiaro” sul fatto che non ci saranno basi militari statunitensi in Pakistan.
Questa è un’ottima analisi di quanto sia difficile per Khan e Islamabad spiegare all’Occidente e anche al Sud globale il complesso coinvolgimento del Pakistan con l’Afghanistan.
Le questioni chiave sono abbastanza chiare:
1. Il Pakistan vuole un accordo di condivisione del potere e sta facendo il possibile a Doha, insieme alla troika allargata, per raggiungerlo.
2. Una presa di potere da parte dei Talebani porterà ad un nuovo afflusso di rifugiati e potrebbe incoraggiare gli Jihadisti, del tipo al-Qaeda, TTP e ISIS-Khorasan a destabilizzare il Pakistan.
3. Erano stati gli Stati Uniti a legittimare i Talebani stringendo un accordo con loro durante l’amministrazione Trump.
4. E, a causa del loro disordinato ritiro, gli Americani hanno ridotto la loro possibile influenza (e quella del Pakistan) sui Talebani.
Il problema è che Islamabad, semplicemente, non riesce a far passare questi messaggi.
E poi ci sono alcune decisioni sconcertanti. Prendiamo il confine afgano-pakistano tra Chaman (nel Balochistan pakistano) e Spin Boldak (in Afghanistan).
I Pakistani hanno chiuso il loro lato del confine. Ogni giorno decine di migliaia di persone, in maggioranza Pashtun e Baloch, lo attraversano in entrambe le direzioni, insieme ai convogli di autocarri che trasportano merci dal porto di Karachi all’Afghanistan, privo di sbocchi sul mare. Chiudere un confine commerciale così vitale è una proposta insostenibile.
Tutto questo porta inevitabilmente al problema finale: cosa fare del Pashtunistan?
Il cuore assoluto della questione, quando si parla del coinvolgimento del Pakistan in Afghanistan e dell’interferenza afgana nelle aree tribali pakistane, è la linea Durand, completamente artificiale, un retaggio dell’Impero Britannico.
L’incubo definitivo di Islamabad è quello di un’altra partizione. I Pashtun sono la più grande tribù del mondo e vivono su entrambi i lati di questo confine (artificiale). Islamabad, semplicemente, non può ammettere che un’entità nazionalista governi l’Afghanistan, perché questo finirebbe per fomentare un’insurrezione pashtun all’interno del Pakistan.
E questo spiega anche perché Islamabad preferisce i Talebani rispetto ad un governo nazionalista afgano. Ideologicamente, il Pakistan, conservatore, non è poi tanto diverso dal posizionamento dei Talebani. E, in termini di politica estera, i Talebani al potere si adattano perfettamente alla dottrina inamovibile della “profondità strategica,” che oppone il Pakistan all’India.
Al contrario, la posizione dell’Afghanistan è chiara. La linea Durand divide i Pashtun su entrambi i lati di un confine artificiale. È evidente che qualsiasi governo nazionalista a Kabul non abbandonerà mai il suo desiderio di un Pashtunistan più grande ed unito.
Poiché i Talebani sono, di fatto, un insieme di milizie di signori della guerra, Islamabad ha imparato per esperienza come trattare con loro.
Praticamente ogni signore della guerra (e milizia) in Afghanistan è islamico.
Anche l’attuale accordo di Kabul si basa sulla legge islamica e sui suggerimenti di un consiglio di Ulema. Pochi in Occidente sanno che la Sharia è la tendenza predominante nell’attuale costituzione afgana.
Chiudendo il cerchio, in definitiva tutti i membri del governo di Kabul, i militari, così come gran parte della società civile provengono dallo stesso quadro tribale conservatore che ha dato vita ai Talebani.
A parte l’assalto militare, i Talebani sembrano vincere anche la battaglia di PR interne per un motivo molto semplice: ritraggono Ghani come un burattino della NATO e degli USA, il lacchè degli invasori stranieri.
E fare questa distinzione nel cimitero degli imperi è sempre stata una proposta vincente.
Pepe Escobar
Fonte: asiatimes.com
Link: https://asiatimes.com/2021/08/a-saigon-moment-looms-in-kabul/
13.08.2021
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org