Just in case Vs Just in time

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Tonguessy

 

C’era una volta uno Stato che si prendeva cura dei cittadini. La nostra favola inizia così: nel patto per la Modernità ognuno aveva un ruolo con diritti e doveri. I cittadini si facevano in quattro, spostandosi dove il capitale aveva organizzato la loro vita industriale. Grazie all’impianto costituzionale i compiti erano assegnati scrupolosamente. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro secondo l’art.1, quindi ogni cittadino è chiamato a questo dovere. In cambio (art.32) la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.

Insomma il contratto si basava sulla reciprocità, il vecchio do ut des di diritto romano. Il Just in Case (lo si fa come precauzione, per prevenire danni possibili) si fonda proprio su tale reciprocità: nel caso succeda qualche problema ci si cautela con un dimensionamento abbondante. Se il massimo danno possibile è 10 ci si attrezza per 10 anche se normalmente il danno è solo 1. Just in case…..

Dal punto di vista commerciale questa era la prassi di gestione dei ricambi, ad esempio. Ogni rivenditore aveva un magazzino che sapeva offrire quanto l’attività richiedeva. Metti che ci siano due identiche rotture, si rende necessario almeno due pezzi di ricambio identici. Di solito non succede, ma just in case…..

 

Poi qualcosa cambia. La gestione delle risorse affonda le proprie radici nel terziario avanzato, ovvero nei servizi ad alto valore aggiunto, pilastro fondante del nuovo capitalismo. La logistica diventa preda dell’ottimizzazione, ovvero del taglio di quei “rami” che nel Just in Case erano importanti per garantire risultati positivi in caso di criticità e che nel nuovo sistema sono improvvisamente diventati secchi, quindi da tagliare.  L’economia occidentale tardo-industriale si basa, in buona sostanza, sull’affidabilità dei trasporti più che sulle scorte in loco.

Il tempo in cui questo avviene è quello della frantumazione dell’afflato modernista e dell’impetuoso affacciarsi sulla scena del capitalismo speculativo. La postmodernità sta entrando prepotentemente nelle nostre vite.

Alla base della filosofia del JIT qualsiasi scorta di materiale, semilavorato o prodotto finito è uno spreco, uno spreco di risorse economiche, finanziarie e un vincolo all’innovazione continua. Con il JIT si riducono enormemente i costi di immagazzinaggio, gestione, carico e scarico di magazzino.

Fu negli anni ottanta una delle principali cause del vantaggio competitivo giapponese. [1]

Esiste una coincidenza temporale: quando entra in funzione il JIT , inventato dalla Toyota, entra in funzione anche il capitalismo speculativo.

La prima notevole diffusione dei derivati si ebbe nel periodo 1989-1992, al termine del quale la loro consistenza complessiva arrivò a sfiorare i 20.000 miliardi di dollari.[2]

 

Le due manovre, quella riorganizzativa dei settori produttivi e quella speculativa sono sincronizzate. Lo Stato nel frattempo, aizzato da Maître à penser quali Dalla Luna (“Silvio Berlusconi…i suoi soldi gli consentono di fare politica senza dover soggiacere al marcio e inefficiente sistema precostituito” [3]) con Berlusconi al governo decide di non essere più stato ma azienda: la logica dello Stato, “marcio e inefficiente sistema” va inevitabilmente sostituita. Lo Stato deve diventare azienda. Privato è bello, e tutti nel mondo sembrano adorare le nuove regole di filosofia economica: Reagan, Thatcher, Prodi, Berlusconi… La deregulation è, secondo la Treccani, il “processo di snellimento di norme e regolamenti originariamente intesi a regolare, nell’interesse pubblico, determinati settori dell’attività economica.”[4]

Notate la finesse: snellimento nel nostro interesse. Una figata, insomma. Come non averci pensato prima? Snellire nel nostro interesse, nel vocabolario economico italiano, ha un cognome ben preciso: Cimoli.

Chi era costui? Un manager dalla carriera fulminante, arrivato ai vertici delle industrie italiane (Montedison, Montefibre, Enimont, Edison) per passare, grazie a Prodi, a “risanare” (a suon di stipendi milionari) le Ferrovie dello Stato, trasformate in Trenitalia.

I risultati dell’amministrazione di Cimoli sono deleteri e portano le Ferrovie Italiane al disastro economico e ad una totale inefficienza del servizio. Lascia FS nel 2004 con un premio di buona uscita di 6.700.000 euro e viene nominato dal governo Berlusconi al vertice della compagnia Alitalia.[5]

Se il “taglio dei rami secchi” ferroviari aveva generato disfunzioni epocali dovute alla filosofia del JIT (le pulizie ad esempio si fanno solo dopo insistenti lamentele, non preventivamente), allora valeva la pena di replicarle anche per l’altro sistema di trasporto nazionale, quello aereo.

Secondo i pm, Cimoli e soci volevano fornire al mercato un’apparenza di risanamento per ottenere un aumento di capitale di 1 miliardo di euro, che poi sarebbe lo scopo del taglio dei “rami secchi” in piena assonanza con il JIT neoliberista: avere un momentaneo guadagno per pochi a fronte di un duraturo svantaggio generale.

La dissipazione del patrimonio di Alitalia sarebbe avvenuta «attraverso attività e operazioni abnormi sotto il profilo economico e gestionale» che in sei anni e fino al 2007 avrebbero causato perdite per circa 4,7 miliardi di euro, fatto che non gli impedì di avere una buonuscita di 3 milioni di euro.[6]

Trovo significativa la carriera di Cimoli perché dimostra dove stia andando a parare la filosofia del JIT: dare ampia libertà di azione al motto “meno Stato, più privato” dove privato è sinonimo di efficienza e competenza. Beh, in quel film è così, nella realtà un po’ meno. Tant’è che addirittura Boeri, quando ancora era a capo de “La voce”, parlando di AD e CDA pubblicava frasi del tipo “tra emolumenti e utile generato non si riscontra una relazione diretta. Insomma, il costo di questi organi sembra largamente immotivato e determinato da fattori endogeni.”[7]

 

Bene, torniamo alle procedure JIT largamente sostenute dal AD e CDA dai costi “largamente immotivati”. Cosa pensate siano diventati i vecchi ospedali oggi aziende ospedaliere? Già il nome azienda dovrebbe mettervi sul chi va là. Azienda ospedaliera come azienda Italia, tutto deve concorrere al mantenimento del diktat neoliberista che mette ordine nel caos dello statalismo (ordo ab chao, motto massonico) grazie agli interventi di AD e CDA, rigorosamente bocconiani. Si è così passati da “primario ospedaliero” a “direttore sanitario” con le relative trasformazioni semantiche. Primario deriva da “primis inter pares” (ovvero primo tra pari) che gestisce l’ospitalitas (da cui ospedale), mentre direttore è colui che dirige seguendo regole decise altrove. In cambio laute prebende e nessuna garanzia di risultato (Cimoli docet). L’importante è generare utili e se per farlo è necessario fottere i cittadini, beh, tanto peggio per loro. Si arriva così a direttori sanitari che, emuli di Cimoli, operano all’interno della filosofia JIT che negli ultimi 10 anni opera tagli per 37 miliardi di euro.[8]

La ratio è sempre la stessa: mentre la filosofia Just In Case di stampo keynesiano opera prevedendo la maggiore difficoltà possibile quindi fornendo attraverso lo sforzo statale dimensioni abbondanti ai servizi essenziali, la filosofia Just In Time opera valutando il quadro medio (che tipicamente sottostima i periodi di crisi) e quindi tagliando quei “rami secchi” che assorbono risorse senza generare in quel preciso momento servizi. Ancora una volta la statistica e la sua media del pollo viene usata contro i cittadini. Si assiste così alla drastica riduzione di posti letto e di personale che 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori. [9]

L’elevazione a divinità intergalattiche dei vari AD e CDA e relative stratosferiche prebende non segue minimamente le priorità dello Stato votato a tutela dei più deboli, quanto la logica di svuotamento delle funzioni dello Stato ridotto sempre più a mera rappresentazione di ente inutile, anzi dannoso, a tutta vantaggio del privato, fenomeno di altruismo coniugato ad impareggiabile efficienza.

La filosofia JIT ha ormai soppiantato quella JIC, e sono convinto che tutta la pantomima della supposta-pandemia sia soltanto la punta dell’iceberg dell’operazione postmodernità/neoliberismo (qualcuno sa distinguere le due ontologie?) che pretende di fare il benessere della collettività attraverso operazioni propagandistiche che alla luce dei fatti si sono dimostrate e si dimostrano fallimentari. Per noi cittadini intendo, non per loro. Per le elites sono la precisa realizzazione dei loro piani.

 

    “Lo Stato non rappresenta un fine ma un mezzo. Esso è la premessa della formazione d’una superiore civiltà umana, ma non è la causa di questa. La causa è riposta solo nella presenza d’una razza idonea alla civiltà.”

Adolf Hitler

 

[1]https://it.wikipedia.org/wiki/Just_in_time_(produzione)

[2https://it.wikipedia.org/wiki/Strumento_derivato

[3] Marco Della Luna “Le chiavi del potere” pg 66

[4]treccani.it/enciclopedia/deregulation/

[5]https://it.wikipedia.org/wiki/Giancarlo_Cimoli

[6]https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-15/dissesto-alitalia-guida-cimolimengozzi-174028.shtml?uuid=AaTrVoLE

[7]https://www.lavoce.info/archives/26597/cda-quanto-mi-costi/

[8]https://www.panorama.it/news/politica/governo-taglio-sanita-fondi-monti-renzi

[9]https://www.huffingtonpost.it/entry/i-numeri-del-grave-logorio-del-sistema-sanitario-nazionale_it_5fc21e31c5b61d04bfa9f8a5

 

 

 

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