DI OSVALDO LEÓN
Alainet.org
La crisi economica deve farci “pensare
seriamente sul perché non ci siano forze politiche che, nella
maggioranza dei paesi, impongano un’imposta progressiva, che fu l’immagine
politica più importante della socialdemocrazia europea durante il XX
secolo.” Ciò ha affermato Boaventura de Sousa Santos, Direttore
del Centro di Studi Sociali alla Facoltà di Economia dell’Università
di Coimbra in Portogallo, in un’intervista concessa ad ALAI nei giorni
scorsi. Il ricercatore ha parlato delle contraddizioni delle risposte
alla crisi: “Oggi, all’inizio del XXI secolo, il signor Warren
Buffet ci dice che è ingiusto che paghi meno imposte rispetto ai suoi
impiegati e quantifica: ‘Io pago solo il venti e qualcosa per cento
e i miei impiegati stanno pagando il 40, e io sono il terzo uomo più
ricco del mondo. Che cosa sta succedendo?’ Queste sono le contraddizioni.”
Ha analizzato anche le contraddizioni dei processi di cambiamento in
America Latina.
Lei ha detto che il modello neoliberista
ha avuto una valenza che ha cercato di promuovere nella democrazia per
appropriarsene in un secondo momento? Può
precisarci questo punto?
Dagli anni ‘80, in tutto il mondo
si è avuta una democrazia come condizione delle politiche della Banca
Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Le dittature non sono
più il regime preferito, ma lo sono le democrazie. Ma democrazie senza
redistribuzione di ricchezza, senza diritti sociali, senza classe media,
perché la democrazia è il sistema di governo che con più legittimità
(e “pace sociale”) può produrre quella debolezza dello stato
che il capitalismo finanziario auspica. Il capitalismo finanziario può
imporre molto più a una democrazia che a una dittatura nazionalista.
Questa è stata la trappola, una promozione della democrazia per appropriarsi
meglio dello Stato. Negli Stati Uniti il capitalismo finanziario è
andato anche oltre, comprando le elezioni e pagando le campagne elettorali.
È tutto ben documentato con dati totalmente affidabili. Nelle tre ultime
decadi Wall Street ha pagato le campagne elettorali di tutti i presidenti,
perfino di Obama, e per quel motivo vuole qualcosa in cambio. Non è
filantropia, paga le elezioni affinché la sua gente sia quella che
comanda e quella che fa politica. Per questo motivo Obama ha nominato
in tutta la sua squadra economica e finanziaria gli uomini che il giorno
prima erano i grandi di Wall Street ed è impossibile riuscire a metterli
in prigione per i crimini che Wall Street ha commesso. È stato possibile
farlo con Madoff, ad esempio, che era veramente uno speculatore, ma
solo perché era un outsider di Wall Street, un individuo che
lavorava esternamente, e per questo motivo è stato un bersaglio facile.
Allora, il problema che viviamo è proprio questo: non abbiamo forze
e modelli sufficientemente forti per potere combattere questa situazione.
E per questo camminiamo in un mondo
di incertezza, anche se non vedo tutto in modo catastrofico, perché
vedo molte energie che sorgono nel Sud globale. Vedo un spostamento
del capitalismo del Nord al Sud, vedo come sta emergendo il dialogo
tra Sud e Sud del mondo. È un’incognita, perché paesi come Cina, Brasile,
Sudafrica, India e Turchia. Riusciranno a introdurre a un certo punto
alcuni elementi di novità nel modello prevalente che dicono di difendere?
Quali novità? E vediamo la Cina con le sue forti iniziative in Africa,
con enormi acquisti di terre perché è in una crisi alimentare di cui
nessuno parla. Ma allo stesso modo anche altri paesi – come Corea del
Sud e Brasile – e molte multinazionali, stanno accaparrandosi le terre
in una nuova forma di colonialismo. Il colonialismo classico si caratterizzò
per essere una dominazione territoriale di un paese da parte di un Stato
occupante. Ora si realizza con l’occupazione territoriale da parte
di multinazionali o Stati stranieri, a causa di contratti che si sono
stipulati con gli Stati “occupati”, contatti che mai includono i
contadini che prima o poi saranno costretti a sloggiare.
Quindi, oltre a tutte questi crisi
ci sono innovazioni interessanti nel mondo, ci sono processi nel Sud
che si stanno sviluppando, in India, Sudafrica, Brasile, Bolivia, Ecuador
e Venezuela. Processi che hanno cercato di produrre un’alternativa.
Soprattutto le iniziative di Ecuador e Bolivia sono processi contraddittori
che seguo da vicino e che mi destano preoccupazioni per la polarizzazione
della politica interna che si sta producendo tra le forze di sinistra.
Sono proposte nuove di una rinnovazione del pensiero politico, del pensiero
economico, del pensiero culturale come l’interculturalità, la plurinazionalità,
il Buon Vivere e i diritti della natura. Questa è una ricchezza enorme
che dal di vista del Nord globale non viene tenuta in considerazione.
Viene ritenuto un approccio ridicolo, tra gli intellettuali e i movimenti
politici del Nord non si vuole comprendere quello che si sta sviluppando.
Quando parla di processi contraddittori,
quali sarebbero in particolare?
Sono molti. Il primo nodo è che
abbiamo una dualità in questi paesi, soprattutto in paesi come Bolivia
ed Ecuador, paesi in cui si è passati da processi costituenti abbastanza
innovativi per il continente, nella misura che si tratta di trasformazioni
che nascono da mobilitazioni popolari. Sono processi che emergono dal
basso e non dall’altro. Prima erano gli avvocati che scrivevano le
costituzioni, non è stato così in Bolivia e neppure in Ecuador. Queste
costituzioni credano un progetto di società, come ad esempio il progetto
di plurinazionalità, il Buon Vivere, il Sumak Kawsay, la Suma Qamaña.
Allora, dove sta la contraddizione? Nella dualità tra un progetto di
Stato plurinazionale e la realtà dello Stato esistente in questi paesi,
che è un Stato nazionale con tutta la vecchiaia normativa istituzionale
e le abitudini del solito burocrate coloniale dello Stato moderno. Ci
sono, allo stesso modo, le contraddizioni di un’economia fagocitante,
il cui sviluppo non indipendente si è sempre basato sullo sfruttamento
senza regole delle risorse naturali, che mai come in questo momento
hanno una congiuntura favorevole per il prezzo delle commodities o
delle materie prime, e allo stesso tempo su un progetto costituzionale
che mira all’orizzonte post- capitalista del Buon Vivere, di un altro
tipo di società. La tensione è tra il vecchio che ancora sopravvive
ed è ancora solido di fronte al nuovo, che ancora non esiste e appena
sta nascendo.
Queste contraddizioni si ripercuotono
sul campo sociale e nel campo politico. Nel campo politico abbiamo le
vecchie sinistre del continente che sono sempre state modellate sulle
sinistre europee. In prima istanza, si tratta di sinistre monoculturali
– ossia eurocentriche – per cui niente di quello che esiste fuori
dal Nord o dall’Europa ha importanza. In secondo luogo erano sinistre
che si polarizzavano molto facilmente per la lotta per raggiungere il
potere, per le proprie divisioni ideologiche. Come terzo punto erano
sinistre che avevano la stessa concezione di sviluppo delle forze produttive,
la stessa concezione di sfruttamento della natura.
Ma ci sono iniziative che nascono in
questo continente che in qualche modo iniziano con gli zapatisti e dopo
col Forum Sociale Mondiale, e che hanno avuto un impulso abbastanza
grande nel poter mostrare che ci sono altri linguaggi di sinistra, altri
movimenti – che fino ad allora erano completamente invisibili -, altre
maniere di concepire la relazione con la natura, altre concezioni di
sviluppo; si tratta di una grande novità ed in qualche modo assistiamo
a una dualità tra le sinistre.
In Ecuador come in Bolivia troviamo
gruppi – da fuori è facile vederlo – che sono due fazioni della
sinistra. Ma che non si considerano reciprocamente di sinistra, cioè
ognuno ritiene che l’altra sia di destra. Allora, quando tu trasformi
il tuo avversario, del campo della sinistra, nel tuo nemico, non
c’è posto a dialogo. E per questo si arriva alla polarizzazione politica.
Si tratta di una consunzione
reciproca?
Un’usura reciproca della quale approfitta
la destra. Il rischio per le sinistre è in termini troppo forte,
perché realmente l’idea dominante delle sinistre in America Latina
è nazionalista e sviluppista, ed è molto difficile uscirne. Sappiamo
che c’è una transizione da una modello sviluppista verso il Buon Vivere,
ma è una cosa che non si fa in un anno. E benché ci siano segni di
un avvio verso questa direzione, è una cosa che non si nota. Non si
vede quando in Bolivia gli indigeni si devono confrontare col fratello
Evo per la costruzione di una strada nel Parco TIPNIS. Io sono stato
molto coinvolto in questo conflitto, ho dialogato con gli indigeni e
con la vicepresidenza per tentare un dialogo, perché mi sembra che
hanno molto in comune e nonostante ciò non dialogano. Ci sono alternative
alla strada. Ma tutto quello che si vede sono le contraddizioni all’interno
della popolazione che, come dicevamo, si polarizza immediatamente; è
un confronto che divide il campo popolare in contadini contro indigenti,
in indigeni contro indigeni.
In Ecuador vedo la stessa cosa, un
confronto e un’incapacità di dialogo. Per qualunque osservatore è
strano che nel processo di una rivoluzione popolare, di un Stato plurinazionale,
ci siano 200 dirigenti indigeni e contadini che sono sotto processo
accusati di essere terroristi o sabotatori. È una cosa comprensibile
in Cile, ma è difficile capire come sia possibile in Ecuador. Sono
contraddizioni molto forti. A me, da intellettuale legato ai movimenti
e ai processi di cambiamento di sinistra, la cosa mi preoccupa perché
sono processi storici, con opportunità ricchissime che non si ripetono
facilmente nella storia e mi sembra che corriamo il rischio di
sprecare opportunità molto importanti per il cambiamento nel continente.
Ma quello di cui si discute
è se siano davvero processi di cambiamento.
La mia opinione è che si tratti
di cambiamento che forse sono molto contraddittori, che forse necessitano
di una qualche risistemazione; ma sono processi dove ci sono molte
cose innovative e cruciali per il futuro dell’umanità. Con un esercizio
di immaginazione politica che non è complicato, possiamo prevedere
che una divisione delle sinistre in Ecuador o Bolivia porterà alla
vittoria della destra in entrambi i paesi. Una cosa di cui sono certo
è che la destra ha come primo obiettivo quello di eliminare le costituzioni.
Dicono che la Costituzione dell’Ecuador è sia di Alberto Acosta che
di Rafael Correa, non fanno distinzioni, malgrado il fatto che ora se
ne facciano continuamente. Questa è la visione che ci manca per credere
in quello che ho chiamato come le pluralità depolarizzate. Siamo plurali,
ma non bisogna polarizzare al punto da uscire tutti sconfitti.
Proprio per le polarizzazioni, i processi
di cambiamento tanto innovativi avvengono senza che siano davvero visibili.
Guarda, come sociologo non ho smesso di andare nelle comunità. In questo
momento sto finendo un progetto sulla giustizia indigena in Bolivia
e in Ecuador con ricerche approfondite nelle comunità. È notevole
la ricchezza della diversità culturale, l’articolazione tra la cosa
tradizionale e la cosa moderna, la cosa eurocentrica e la cosa ancestrale,
le cose che si fanno nei territori in maniera semplice senza grandi
polarizzazioni, la polizia che ricorre alle autorità ancestrali, le
autorità ancestrali che parlano coi difensori del paese e si capiscono.
Poi abbiamo a un livello macro, più alto, polarizzazioni enormi, dove
gli indigeni compagni di lotta passano rapidamente a essere considerati
un ostacolo al cambiamento, perché non vogliono una strada, perché
vogliono ovviamente i diritti collettivi che sono una conquista, un’altra
cosa che la sinistra europea o eurocentrica non è mai riuscita a comprendere.
Bisogna però
considerare che entra comunque in gioco, in questi paesi come in altri
della regione, il fatto che si tratta di processi molto complessi, con
passioni che danno poco margine al dibattito…
Hai ragione, si tratti di processi
molto rapidi e la novità non sono venute da riflessioni teoriche
delle sinistre conosciute come tali; le novità sono arrivate da
altri movimenti sociali, da altri attori. In qualche modo le vecchie
sinistre hanno cercato di apprendere, ma in realtà quello che posso
osservare è che non hanno imparato quanto basta e inoltre i movimenti
si sono lasciati caratterizzare troppo. Abbiamo una crisi delle sinistre
che non si rendono conto di questa complessità, che non sono nella
condizione di capire le contraddizioni, quello che si può fare e quello
che non si può fare. Forse abbiamo anche una crisi della dirigenza
dei movimenti sociali, l’incapacità di capire come le basi stanno gestendo
le contraddizioni del processo, nel caso, ad esempio, delle politiche
che vanno nel senso dell’inclusione, ma di un’inclusione che allo
stesso momento è escludente. Una cosa è creare un’altra economia dove
la gente possa prosperare in un’economia popolare e solidale, un’altra
è distribuire buoni. Perché i buoni ti permettono di uscire dalla
povertà, ma non ti consentono di uscire da una società in cui si possa
vivere autonomamente in modo sostenibile; ossia, se ti tolgono i buoni
cadi di nuovo nella povertà. E in pratica le politiche dei buoni sono
le uniche politiche sociali che vediamo nel continente.
Fonte: Entrevista a Boaventura de Sousa Santos: Incertidumbres y procesos contradictorios
27.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE