DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
Telegraph.co.uk
La bolla creditizia della Cina
è finalmente esplosa. Il mercato immobiliare sta dondolando pericolosamente
tra ascesa e crollo, l’esposizione ammonitrice del sogno di un BRIC
che alla fine sta atterrando con un tonfo sordo.
È difficile ottenere dati affidabili
dalla Cina, ma si può capire che qualcosa non va dal momento che il
sito web delle proprietà immobiliari Homelink ha riportato un
calo del 35 per cento del prezzo delle nuove case a Pechino a novembre
rispetto al mese precedente. Se la cosa fosse lontanamente vera, il
calibrato atterraggio morbido delle autorità cinesi ha fallito e rischia
di andare fuori controllo.La crescita della massa monetaria M2
è crollata a novembre del 12,7 per cento, il minimo da dieci anni.
I nuovi prestiti sono diminuiti del 5% su base mensile. La banca centrale
ha iniziato a invertire la sua politica stringente mentre l’inflazione
si placa, tagliando i requisiti di riserva degli istituti per la prima
volta dal 2008 per alleggerire gli stress di liquidità.
La domanda è se la Banca del
Popolo possa fare di meglio della Federal Reserve o della Banca
del Giappone nel deflazionare la bolla creditizia.
Le azioni cinese stanno lanciando segnali
di avvertimento. L’indice Shanghai è calata del 30% da Maggio. È
inferiore del 60% al suo picco del 2008, simile a quanto avvenne a Wall
Street dal 1929 al 1933 in termini reali.
“Gli investitori stanno fortemente
sottostimando il rischio di un atterraggio duro in Cina e anche negli
altri BRICS (Brasile, Russia, India, Cina) […] secondo me un ‘Concetto
di Investimento Tremendamente Ridicolo’“, ha affermato Albert
Edwards della Societe Generale.
“I BRIC stanno precipitando
e le crisi sono di fattura interna, causate dai loro cicli creditizi
di boom & bust. La produzione industriale sta già
calando in India, e il Brasile avrà
la stessa sorte.”
“C’è così tanta capacità
di risparmio che inizieranno a fare dumping sulle merci, colo rischio
di uno shock deflazionistico nel resto del mondo. Non
è una sorpresa che la Cina ha già
imposto dazi sulle importazioni di autovetture GM. Penso che sia altamente
probabile che la Cina svaluterà lo yuan il prossimo anno, paventando
una guerra commerciale“, ha detto.
Le riserve estere cinesi pari a 3,2
trilioni di dollari stanno calando da tre mesi malgrado l’attivo commerciale.
I soldi stanno uscendo dal paese. “I flussi di capitale a senso
unico o le scommesse a senso unico su una risalita dello yuan fanno
oramai parte della storia. Le nostre
riserve estere sono davvero calando ogni giorno“, ha detto
Li Yang, un ex fissatore dei tassi della banca centrale.
Le perdite nelle riserve sono come
una forma di stretta monetaria, esattamente l’effetto opposto rispetto
al boom. Le riserve non possono ripristinate per sostenere il
sistema bancario interno della Cina. Fare questo significherebbe rimpatriare
i capitali, che ora sono nei bond del Tesoro USA e dell’Europa,
spingendo in alto lo yuan nel momento peggiore.
L’economia è malamente fuori uso.
I consumi sono caduti dal 48 al 36% del PIL dalla fine degli anni ’90.
Gli investimenti sono saliti al 50% del PIL. Questo è fuori misura,
persino per gli standard di Giappone, Corea o Taiwan nel corso dei loro
picchi di risalita. Non si è visto niente del genere nei tempi moderni.
Fitch Ratings ha riferito che la Cina
è appesa al credito, ma riceve sempre meno spinta da ogni dose
ulteriore. Un dollaro in più di prestito incrementava il PIL di
0,77 nel 2007. Oggi siamo a 0,44 dollari nel 2011. “La realtà
è che oggi l’economia cinese richiede un finanziamento significativamente
maggiore rispetto al passato per raggiungere lo stesso livello di crescita“,
ha detto l’analista cinese Charlene Chu.
Chu ha avvisato che c’è stato un
“massiccio aumento del leverage” e teme una “fondamentale
erosione strutturale” nel sistema bancario che differisce dai
rovesci passati: “Per la prima volta un gran numero di banche
cinesi ha iniziato ad affrontare pressioni di liquidità. La prossima
ondata di valutazioni di qualità degli asset ha la potenzialità
di diventare più pesante rispetto agli episodi precedenti.”
Gli investitori avevano pensato che
la Cina fosse immune al collasso dell’immobiliare perché la finanza
dei mutui è solo il 19% del PIL. I ricchi cinese spesso comprano, due,
tre o più appartamenti in contanti per parcheggiare i soldi, perché
non possono investire oltre oceano e i tassi dei depositi bancari sono
stati del –3% in termini reali quest’anno.
Ma con l’indice del prezzi in rapporto
agli stipendi che ha raggiunto il livello emorragico di 18 nelle città
costiere dell’Est, è chiaro che gli appartamenti, spesso lasciati
vuoti, sono diventati uno scambio pericoloso.
Il professor Patrick Chovanec della
Tsinghua School of Economics di Pechino ha affermato che la flessione
dell’immobiliare in Cina è iniziata ad agosto quando le imprese costruttrici
hanno riportato che l’inventario invenduto era pari a 50 miliardi
di dollari. Ora si assiste a “una spirale di aspettative di
cali“.
Ci sono svendite in corso nelle città
costiere con gli sviluppatori di Shanghai che, a novembre, hanno tagliato
i prezzi del 25, con grandi escandescenze dei precedenti acquirenti
che si aspettano rimborsi. La cosa si sta diffondendo. Le vendite di
immobili sono calate del 70% nella città interna di Changsa. I prezzi
dovrebbero essere diminuiti del 70% nella “città fantasma”
di Ordos nella Mongolia Interna. Il China Real Estate Index riporta
che lo scorso mese i prezzi sono calati solo dello 0,3 nelle 100 maggiori
città cinesi, ma sembra un indicatore non esauriente. Nel frattempo,
il rallentamento sta filtrando nelle industrie chiave. La produzione
di acciaio ha ceduto.
Pechino è stata abile a contrastare
la contrazione globale nel 2008-2009 liberando il credito, agendo da
ammortizzatore per il mondo intero. Si può dubitare del fatto che Pechino
possa rinnovare questo stratagemma per la seconda volta.
“Se gli investitori cercano
di nuovo la crescita a tutti i costi, potrebbero scoprire che la cosa
funziona peggio che in passato e che l’inflazione ritorni
velocemente in modo vendicativo“, ha detto Diana Choyleva di
Lombard Street Research.
Zhu Min del Fondo Monetario Internazionale
afferma che i prestiti sono raddoppiato fino quasi al 200% del PIL negli
ultimi cinque anni, includendo i prestiti sommersi.
È circa il doppio dell’intensità
della crescita creditizia nei cinque anni che hanno preceduto la bolla
del Nikkei giapponese alla fine degli anni ’80 o la bolla immobiliare
negli USA dal 2002 al 2007. Tutti questi boom hanno visto una crescita
dei prestiti vicina a 50 punti percentuali del PIL.
Il FMI dice che in novembre gli istituti
di credito hanno affrontato una “costante ascesa delle vulnerabilità
del settore finanziario“, avvertendo che, se fosse colpito
da multipli shock, “il sistema bancario potrebbe venire
severamente colpito“.
Mark Williams di Capital Economics
ha affermato che la grande speranza era che la Cina avesse usato la
propria bolgia creditizia dopo il 2008 per prendersi del tempo, passando
da un cronico iper-investimento a una crescita guidata dai consumi:
“Non ha funzionato nel modo previsto. Le prossime settimane
potrebbe rivelare quanto pochi siano i progressi fatti. La Cina potrebbe
dover uscire dalla tempesta nei prossimi mesi, ma i pericoli di una
sovrapproduzione e del debito cattivo potranno solo intensificarsi.”
A dire il vero, la Cina affronta una
colossale sbronza di diminuzione della leva finanziaria, come tutti
noi.
Fonte: China’s epic hangover begins
14.12.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE