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IL VENERDI’ NERO DI BEIRUT

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A cura di Das schloss
Il 26 Novembre 2007
37 Views

DI RANNIE AMIRI
Counterpunch

Quello che si è visto venerdì in Libano è stato teatro politico ai più alti livelli.

Dopo essere rimasto in carica per nove anni, il presidente Emile Lahoud ha abbandonato il suo posto allo scoccare della mezzanotte senza che il Parlamento avesse nominato un successore. Di fatto il Parlamento non si è nemmeno mai riunito dal momento che i partiti dell’opposizione guidati da Hezbollah e dal Libero Movimento Patriottico di Michel Aoun hanno boicottato l’elezione, impedendo che venisse raggiunto il quorum. Dal momento che l’elezione del presidente richiede una maggioranza di due terzi né l’opposizione né la Coalizione del 14 marzo, la maggioranza guidata dal primo ministro Fouad Siniora, possono far passare un candidato senza che gli altri partiti siano presenti.

Nonostante la Costituzione richieda che l’autorità venga conferita al primo ministro se la presidenza risultasse vacante, Lahoud si è rifiutato, affermando che l’amministrazione di Siniora è “illegittima e incostituzionale. Loro lo sanno, anche se Bush ha detto il contrario.”Egli invece ha dichiarato uno “stato di emergenza” e ha trasferito i poteri riguardanti la sicurezza (ma non quelli politici) all’esercito libanese sotto il comando del generale Michel Suleiman. Il presidente del Parlamento Nabih Berri ha stabilito il 30 novembre come prossima data prevista per il voto, eppure le tensioni rimangono elevate a Beirut, dove sono stati stabiliti dei checkpoint e l’esercito si è posizionato in modo da mantenere lontani dalle strade tanto i sostenitori del governo quanto quelli dell’opposizione.

Lo stallo politico ha generato ansia su una possibile esplosione di violenza nella capitale, e la più drammatica paura che due governi separati e rivali possano venire formati in un preludio di una guerra civile.

“Non abbiamo altra scelta che raggiungere un accordo” ha detto Saad Hariri, figlio dell’ex primo ministro Rafic Hariri e leader parlamentare del Movimento per il Futuro, della Coalizione 14 Marzo.

È veramente appropriato che una tale affermazione sia stata fatta da un campione di ipocrisia e di doppio gioco. Non dimentichiamoci che è stato Saad Hariri che ha aperto le porte della prigione e invitato in Libano i militanti salafiti di Fatah al-Islam, che ha poi cercato di usare come strumento contro Sayyid Hassan Nasrallah e gli Hezbollah (cosa che avrebbe certamente dato inizio una guerra civile, se il suo piano non si fosse miseramente rovesciato a spese di centinaia di libanesi e palestinesi in quella debacle che è stata Nahr al-Bared).

Più sorprendente dell’attuale punto morto è il fatto che esso non sia giunto prima, dato che la natura confessionale su cui è basato il sistema politico libanese lo porta proprio in tale direzione.

In base al non scritto Patto Nazionale del 1943 (l’anno in cui il Libano ottenne l’indipendenza dalla Francia), il presidente del Libano dovrebbe essere un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del Parlamento un musulmano sciita. Sino agli Accordi di Taif del 1989 veniva assegnata anche una leggera maggioranza di seggi parlamentari ai cristiani rispetto ai musulmani. A causa dell’alto tasso di nascite e della conseguente maggioranza raggiunta dai musulmani, una tale divisione ha portato naturalmente a odi reciproci ed è stata uno dei fattori che hanno portato alla guerra civile libanese del 1975-1990.

Gli Accordi di Taif cercarono in qualche modo di correggere ciò, distribuendo equamente i seggi del Parlamento tra musulmani e cristiani (ma che sono sempre un numero eccessivo rispetto alla popolazione cristiana) e facendo sì che il primo ministro sia nominato dal Parlamento anziché dal presidente.

È notevole il fatto che non ci sia stato alcun censimento ufficiale in Libano dal 1932.

In base alle attuali stime, però, la maggioranza tra tutti i gruppi religiosi ce l’hanno i musulmani sciiti. Sebbene la carica di presidente del Parlamento non sia insignificante, ciò che viene percepito è che essi non abbiano ricevuto un “trattamento equo” del governo in proporzione ai loro numeri, cosa da cui deriva la grande popolarità tra di loro di gruppi come Hezbollah.

blankDopotutto è stato Hezbollah che ha pagato per la ricostruzione della case nel Libano meridionale e nei quartieri meridionali di Beirut dopo la guerra dello scorso anno con Israele. Sì, ciò è stato fatto con l’aiuto del denaro iraniano. Nondimeno non è significativo che un paese non arabo abbia fatto di più del governo stesso o di altri paesi arabi nell’assistere la più grande fetta di popolazione? Gli sciiti libanesi dovrebbero davvero riporre la loro fiducia in un governo che ha chiesto a Hezbollah di disarmarsi mentre le loro città, villaggi e paesi venivano decimati dagli israeliani? O un qualunque libanese può fidarsi di un primo ministro che ha abbracciato e baciato il Segretario di Stato Condoleeza Rice [foto] nonostante il suo rifiuto di chiedere un cessate il fuoco?

Non c’è dubbio che, nell’attuale situazione di stallo in Libano, sia necessario trovare un candidato che raccolga il consenso di tutti. Ma è anche davvero il momento che venga fatto un nuovo censimento e che si lascino parlare i numeri.

Rannie Amiri è un commentatore indipendente del mondo arabo e islamico. Può essere contattato all’indirizzo: [email protected].

Titolo originale: “Beirut’s Black Friday”

Fonte: http://www.counterpunch.org
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25.11.2007

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