IL VALORE DELLA CIVILT OCCIDENTALE

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DI CHEMS EDDINE CHITOUR
Le Cri Du Peuple

L’imbarbarimento come credo

Non dimenticherò

mai il momento in cui, per la prima volta, sentii e compresi la tragedia

della colonizzazione. […] Da quel giorno, ho vergogna del mio

paese. Da quel giorno, non posso incontrare un indocinese, un algerino,

un marocchino senza aver voglia di chiedergli perdono. Perdono per tutti

i dolori, tutte le umiliazioni che abbiamo fatto soffrire, che abbiamo

fatto soffrire ai loro popoli. Perché

il loro oppressore è lo stato francese, e lo fa a nome di tutti i francesi,

dunque anche, per una piccola parte, a nome mio.”
Simone Veil
Le civiltà non si equivalgono!” Un lampo di luce in un cielo sempre più

oscurato dall’intolleranza! Ecco come una dichiarazione di un ministro

della Repubblica francese ha infiammato la classe politica e lo ha messo

in discussione. Per nulla pentito, il ministro ha puntato il dito sulla

religione musulmana, in ragione “della sorte a cui

è destinata la donna” in terra d’Islam.

Andiamo ad analizzare serenamente come

la civiltà occidentale nel suo insieme ha applicato il doppio standard:

intra muros con l’habeas corpus, la dichiarazione dei diritti

dell’uomo; extra muros con l’invasione, la rapina, il sangue,

le lacrime, il furto, spesso con la guerra di sterminio. Cerchiamo di

comprendere i fondamenti della superiorità della civiltà occidentale.

È vero che papa Innocenzo III, per elogiare le grandi invasioni, parla

di una Terra che è nelle mani dei portatori del buon verbo, ma basta

questo?

I teorici della disuguaglianza

delle razze e della discriminazione delle civiltà

Tutto è partito, si dice, della

teoria evoluzionistica. Si pensa naturalmente a Darwin, ma poi le “deviazioni”

al servizio dei paesi nel “basso impero” sono state legittimate.

Alain Testart del Laboratorio di etnologia e di sociologia comparata

ha scritto:

“L’evoluzionismo, come viene spesso

detto, avendo collocato i popoli in un ordine evolutivo e considerando

i selvaggi più arretrati e gli Occidentali più avanzati,

fu l’ideologia che giustificò il colonialismo. È una concezione totalmente

etnocentrica; si avvicina al razzismo, nei casi peggiori ci si mescola.

L’accusa è diventata molto più

netta e precisa negli ultimi anni: si rievoca il destino funesto del

lavoro di Morgan che avrebbe tratto ispirazione per le violenze coloniali

proprio dall’evoluzionismo o, più generalmente, le conseguenze tragiche

delle concezioni evoluzionistiche subite dai popoli del Terzo Mondo

[…] Le idee scientifiche, i sistemi filosofici, le grandi concezioni

dell’universo sono sempre all’interno di un movimento storico che

li supera. Per questo, sono sempre compromesse, in un modo o nell’altro.

Per questo, alla domanda “L’antropologia sociale evoluzionistica

del XIX secolo si è in una certa misura compromessa col colonialismo?“,

bisogna rispondere: “Certo, anche se l’ampiezza di questo

compromesso varia di molto a seconda degli autori.” (1)

“Questa antropologia fu una delle

espressioni ideologiche significative dell’Europa tecnica e imperialistica

dell’ultimo secolo? Certo. Ma ciò autorizza a fare un amalgama, ci

autorizza a considerare come un tutt’uno Bachofen, Morgan, Tylor,

Robertson Smith, Frazer con Gobineau o Goebbels per poterli mettere

all’indice? Una volta riconosciuta l’esistenza di un qualche legame

tra gli evoluzionismi del XIX secolo e l’ideologia dominante di una

Europa in trionfo che impone la sua legge al mondo, ciò ci autorizza

a dire che il massacro di popoli interi da parte degli europei fu la

“conseguenza” dell’evoluzionismo? O a voler pretendere che

l’evoluzionismo abbia giustificato questi massacri? Non è una cosa

seria. (…)

Lo sterminio del popolo tasmaniano

da parte degli inglesi, l’avvelenamento dei pozzi d’acqua in Australia

e altrove, le guerre indiane e le deportazioni che seguirono, per citare

solo alcuni esempi, tutto questo sarebbe imputabile all’etnologia evoluzionistica?”

(1) “È assolutamente assurdo. Per giustificare lo sterminio dei

selvaggi, non ci fu mai bisogno di andare molto oltre il fatto che fossero

dei selvaggi, ossia ribelli alla civiltà, ineducabili. Allo stesso

modo, tra gli animali ci sono quelli domestici e la selvaggina, due

categorie utili per l’uomo; ma ci sono anche quelli nocivi. I selvaggi

sono nocivi, si possono eliminare per fare piazza pulita affinché la

terra sia messa a profitto da quelli che ne sono capaci.

Questa giustificazione non è

sufficiente? A dire il vero, la domanda è mal posta: si tratta,

piuttosto e all’inverso, di una giustificazione successiva della nocività

irriducibile dei selvaggi. Ascoltate Renan: “Tutte le coscienze

sono sacre; ma non sono uguali. Dove dobbiamo fermarci? Anche l’animale

ha i suoi diritti. Il selvaggio dell’Australia ha i diritti dell’uomo

o quelli dell’animale?” (1)

L’opera positiva della civiltà

bianca occidentale

C’è qualcosa di nuovo nei dialoghi

di Renan che si congratula con Arthur de Gobineau dopo la pubblicazione

del suo trattato sulla “disuguaglianza delle razze

e il discorso attuale sull’intolleranza. Quando un premio Nobel come

Richet all’inizio del XX secolo e Watson alla fine del XX secolo fanno,

a distanza di un secolo, l’apologia della razza bianca, si comprende

che l’avvento del Terzo Reich non fu un incidente della storia, ma una

continuità, un discorso che si è avuto in tutto il XIX secolo sulle

razze superiori e il loro dovere nei confronti delle razze inferiori,

ben reiterato da Jules Ferry.” (2)

“Il razzismo è per così

dire consustanziale alla natura umana; in nome del razzismo c’è stata

la schiavitù, la tratta dei neri, le leggi per i neri, quelle per gli

indigeni. Andiamo a considerare, con alcuni esempi, come l’Europa, diversamente

da altri popoli e nazioni, sviluppi un doppio filone: quello dei diritti

dell’uomo, dell’habeas corpus, dei diritti dell’uomo e del

cittadino e allo stesso tempo, in questo XXI secolo, continua a consentire

atti razzisti insidiosi, e addirittura mantiene in essere dei meccanismi

invisibili – questa barriera invisibile che era presente tra colonizzato

e colono – con i beur, i neri delle ex colonie diventati francesi,

ma con la presenza fissa di questo collo di bottiglia che castra tutto

il loro avvenire. Anche se è vero che nel XIX secolo, mentre i cantori

delle razze superiori – come Arthur de Gobineau (Saggio sulla disuguaglianza

delle razze umane), Renan e Joseph Chamberlain in Inghilterra –

intraprendevano con convinzione il filone del razzismo, lo stesso Jules

Ferry non andò oltre il proclamare all’assemblea nazionale che “i

diritti dell’uomo non sono applicabili nelle nostre colonie

(2).

“L’esito di questo imbarbarimento

delle mentalità: due guerre che hanno assassinato 20 e 60 milioni di

persone nel 1914-18 e nel 1939 -45. È questa la civilizzazione? I “beurs

hanno un modo per riassumere tutta la situazione in tre frasi: “Puoi

guadagnare anche la medaglia di oro per la Francia, per gli sbirri resterai

sempre un macaco. Puoi guadagnare la Coppa del Mondo per la Francia,

per gli sbirri resterai sempre un ratto. Puoi vivere duecento anni in

Francia, per i buttafuori dei locali notturni, se la tua pelle

è abbronzata, sarai sempre quello per cui

‘non è possibile’“. Né bisogna credere che, nell’America

di Obama, il razzismo sia sparito. Ci ricordiamo delle disavventure

del professore nero di Harvard, malmenato dopo la denuncia di un passante

che credeva di esser stato derubato. Sono questi i segnali di una civiltà

superiore? (2)

De Gaulle, nella sua epoca, affermava

che “il corpo sociale” francese “non

è pronto per assorbire in grandi quantità

elementi allogeni alla sua identità. Quella di un popolo europeo di

razza bianca, di cultura greca e latina e di religione cristiana.”

Proprio in nome della cristianità e come al tempo degli imperi spagnolo

e portoghese, si è mantenuta nei confronti dell’Altro questa distanza

religiosa in nome dalla “Regola delle tre C”: Cristianizzazione,

Commercio e Colonizzazione (2). È vero che il razzismo è una mancanza

ben diffusa in tutto il mondo. Detto questo, nessuno è davvero in grado

di poter emettere giudizi.

Tuttavia, è l’Occidente a dettare

le regole, punisce e dispone in funzione di norme invisibili, e sono

sempre le élite che le distillano in modo pernicioso. Per molto tempo

gli scienziati inglesi si sono posti la domanda se gli aborigeni, il

primo popolo dell’Australia, andavano classificati nella categoria

delle scimmie o degli uomini.

Ora un altro esempio che ci invita

a verificare ancora una volta la dimensione dell’orrore, che già era

a nostra conoscenza: “Più

di un milione di iracheni sono morti nella guerra americana. La reazione

immediata di alcune persone è dire:

‘Non è possibile’, perché gli

Stati Uniti non potrebbero fare una cosa simile. Noam Chomsky ha scritto

un giorno che ‘il segnale di una cultura davvero totalitaria

è quando le verità importanti hanno semplicemente perso senso per

le persone e vengono assimilate alle provocazioni del tipo

‘Vai a farti fottere!’ e non possono provocare come risposta che

un torrente perfettamente prevedibile di ingiurie.” (3)

È pressappoco il modo in

cui i media hanno reagito alla cifra di un milione quando il dato fu

annunciato nel 2007 da un’agenzia di

ricerca britannica, l’Opinion Research Business (ORB) (in effetti

la compagnia aveva valutato il numero dei morti iracheni in 1.220.580,

confermando e aggiornando uno studio realizzato l’anno precedente dagli

studiosi dell’università Johns Hopkins e pubblicata sulla rivista medica

The Lancet. (…) Ma è Madeleine Albright, la Segretaria di Stato del

periodo, che disse, parlando della morte dei 500.000 bambini iracheni,

che “era il prezzo a pagare”. E fu Leon Panetta, l’attuale

Segretario della Difesa, che ha utilizzato esattamente la stessa espressione

a proposito della seconda invasione e occupazione dell’Iraq.”

(3) È di questo che la civiltà occidentale vuole avvalersi per stabilire

questa gerarchia delle civiltà? Si vede dunque che, in nome della civiltà,

si possono fare le classifiche delle razze e delle civilizzazioni. Possiamo

dire che la sinistra sia indenne da ogni critica e che si sia difesa?

Purtroppo, per niente! Non si può

dire questo di Leon Blum che, il 9 luglio 1925 alla Camera dei deputati,

esclamò: “Abbiamo troppo a cuore il nostro paese per rinnegare

l’espansione del pensiero, della civiltà

francese […] Noi riconosciamo il diritto e anche il dovere delle razze

superiori di attirare a sé quelle che non sono arrivate allo stesso

grado di cultura.”

Aimé Césaire, con un afflato

illuminante, decostruì nel 1950 la “meccanica coloniale

ne “Il discorso sul colonialismo”, che è ancora attualissimo.

Ha descritto la civiltà portata ai selvaggi, fornendoci alcuni esempi:

“Ho evidenziato nella storia delle spedizioni coloniali alcuni

tratti che ho citato anche altrove (…) Era inutile citare il colonnello

di Montagnac, uno dei conquistatori dell’Algeria: ‘Per togliermi dalla

mente certe idee che talvolta mi assediano, faccio tagliare delle teste,

non teste di carciofi, ma proprio teste di uomini.” Era meglio

non dare voce al conte d’Herisson: “È vero che portiamo con

noi un barile ricolmo di orecchi tagliati, paio a paio, dai prigionieri,

amici o nemici.” (4)

“Bisognava rifiutarsi di consentire

a Aimé Césaire il diritto di manifestare la sua barbara professione

di fede a Saint-Arnaud: “Si devasta, si brucia, si saccheggia,

si distrugge le case e gli alberi. […] Una civiltà che si rivela

incapace di risolvere i problemi provocati dal suo funzionamento è

una civiltà decadente. Una civiltà che decide di chiudere gli occhi

di fronte ai suoi problemi fondamentali è un civiltà in pericolo.

Una civiltà che gioca d’astuzia con i propri principi è una civiltà

moribonda.” (4)

Ecco i fatti di armi di una civiltà

che si dice superiore perché erede dei “Lumi” che, per i

colonizzati, furono a ben vedere solo tenebre.

Le vere lotte da combattere

Guardando le cose da vicino, ci si

accorge che l’ideologia istillata nei popoli occidentali fornisce il

sonnifero di una superiorità solo per distrarre l’attenzione. Non

la si può comprendere senza accettare in qualche modo la loro posizione,

vista la paura irragionevole di perdere i propri riferimenti culturali

e religiosi a causa dell’invasione dei barbari. L’errore incombe sui

teorici, sugli scienziati, sui famosi Uomini di Chiesa con la vocazione

al tradimento che sono al servizio dei principi. A fianco a loro, le

persone lucide che possiedono un’anima universale e che analizzano l’uomo

nel suo insieme e non a partire dalla sua situazione geografica o dalla

sua faccia.

La dialettica elettorale si è

fermata alle apparenze e si pensa, a torto, che il fondo roccioso del

francese autoctono sia intollerante. È vero che le difficoltà

economiche fanno immaginare qualche misura di aggiustamento soprattutto

se si parla di neri, abbronzati o peggio ancora musulmani. In tempo

di crisi, Fernand Reynaud ci ha detto che “lo straniero mangia

il pane dei francesi“. Questo straniero è stato di volta in

volta l’italiano, il portoghese, il polacco che, in seguito, sono stati

assorbiti dal corpo sociale francese perché, lo si voglia o no, la

religione cristiana ha cullato in modo invisibile l’immaginario dei

francesi.

I beurs dell’ennesima generazione

che hanno a cuore le loro radici – che non mangiano maiale e non bevono

vino – sono, ovviamente, stigmatizzati. Questa apologia “del

tutti contro tutti” designa senza discernimento il nemico “assoluto

come un appestato, un rognoso da cui provengono tutti i nostri mali.

In una parola, questo Islam è accettato solamente se è invisibile

e senza spessore. Il fatto di demonizzare i musulmani è un colpo di

ritorno, è controproducente e allontanerà in modo prolungato l’immaginario

dei francesi originari – quando è sensibile alla dialettica dell’odio

– da quello dei francesi allogeni.

Dal 1945 l’Occidente non ha smesso

di perdere l’onore, dichiarando guerre imperialistiche, affamando

popoli, aggredendo paesi per impossessarsi delle ricchezze petrolifere.

Né con Saddam Hussein, né linciando Gheddafi si è compreso che il

Nuovo Ordine rappresentato dall’oligarchia finanziaria è disposto a

tutto. Hiroshima e Nagasaki, l’agente orange e l’uranio impoverito

sulle popolazioni civili sono altre macchie indelebili sul volto della

civiltà occidentale.

Comunque, mi sembra che azzuffarsi

gli uni contro gli altri sia una lotta di retroguardia e un diversivo,

perché i veri problemi sono altrove. La vera lotta da intraprendere

è il creare solidarietà in analogia alla condizione sociale contro

“l’ordine” stabilito. Un ordine che non concede spazio ai

piccoli, qualunque sia la loro latitudine. E non ci sbagliamo, i nostri

avversari non traggono profitto da qualsiasi situazione, ma solo da

quelle che venerano il Dio denaro che stritola tutto al suo passaggio.

Questo “money-teismo” appianatore fa strame delle identità,

delle speranze, degli apporti civilizzatori di ciascuno per il bene

supremo dei potenti. Il discorso dell’intolleranza è solamente la parte

immersa dell’iceberg. È in gioco una lotta planetaria, non sbagliamo

a combattere!

Le iniziative che vanno contro la speranza

dei francesi musulmani lasceranno delle tracce. Per il resto, in Occidente

si fa di proposito un amalgama tra l’Islam e gli uomini al governo

nella terra d’Islam che – per mantenere a ogni costo il potere – hanno

strumentalizzato la religione con la complicità dei “dottori dell’Islam”

preoccupati di rimanere in auge. L’Islam ben inteso, come il Cristianesimo

ben inteso, come il Giudaismo ben inteso, non hanno assolutamente l’ambizione

di governare il mondo, ma solo di assistere tutti nelle proprie speranze.

È scritto nei Vangeli: “Date

a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quello che

è di Dio.” Nell’Islam si dice che “le moschee appartengono

a Dio e il paese appartiene ai suoi cittadini.” I musulmani,

in terra di Islam e nei paesi occidentali dove si sono radicati, devono

dimostrare con le loro azioni, con il loro lavoro, con la loro resistenza

che l’Occidente non ha nulla da temere dall’Islam. Che i cittadini di

un paese qualsiasi siano un “valore“, per riprendere

un’espressione in voga, che diventino cittadini modello, sodali al bene

comune e che non cadano nella provocazione; è a questo titolo che una

Nazione sarà rivendicata e difesa da tutti i cittadini. La Repubblica

e la sua forte volontà d’integrazione dovrebbero tendere verso una

convivenza, per costituire una Nazione che, per Renan, sarebbe un plebiscito

quotidiano.

Note:

1. Alain Testart, La question de l’évolutionnisme Revue française de sociologie.

2. C.E. Chitour, L’Occident et les autres : Chronique d’un racisme ordinaire, Le Grand Soir, 20 ottobre 2009.

3. Danny Lucia, One million dead, Socialist Worker, 30 gennaio 2012.

4. Aimé Césaire, Discours sur le Colonialisme (1950), edizioni Présence africaine, 1989. pp. 11-12.

**********************************************

Fonte: La «valeur» de la civilisation occidentale

11.02.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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