DI WOLFGANG MUNCHAU
FT Alphaville
Ho avuto di recente una conversazione
in cui tutti sembravano essere d’accordo che il nuovo patto fiscale Europeo fosse una cosa folle. La conversazione è stata
ascoltata da un ex politico, che si è rivolto a noi dicendo che era
d’accordo in principio, ma poi ha aggiunto che, se il trattato incoraggiasse
la Banca Centrale Europea per divenire più flessibile, potrebbe avere
un suo valore. Più tardi ho parlato con un banchiere centrale, che
era d’accordo anche sul fatto che il trattato era irrilevante, ma ciò
nonostante era a favore, perché sarebbe servito come segnale ai mercati
finanziari. Quando ne ho parlato con i miei contatti nei mercati finanziari,
mi è stato detto che il trattato era una cosa folle.
La migliore cosa che si potrebbe dire
sul trattato è che non è necessario. Quello che potremmo vedere
nella sua versione finale è qualcosa già presente nei
trattati o nelle leggi esistenti, soprattutto nel cosiddetto “six-pack“,
un insieme di misure di politiche di sorveglianza approvato nello scorso
anno. Il resto potrebbe essere presentato agevolmente attraverso una
nuova legislazione secondaria.
Anche se devo ancora incontrare qualcuno
che mi possa spiegare quello che di buono c’è nel trattato – a
parte qualche logica circolare – il danno che farà è più evidente.
Pensiamo alla lotta completamente non necessaria con David Cameron,
il primo ministro britannico. Ma il problema
britannico impallidisce
rispetto ai veri poteri distruttivi del trattato. Incoraggerà gli stati
membri dell’eurozona ad adottare politiche estremamente pro-cicliche.
Sta già accadendo in Spagna.
Fino alla settimana scorsa il governo aveva detto che non avrebbe messo
in fila una
misura di austerità dietro l’altra
per soddisfare gli obiettivi stabiliti per il deficit. E sembrava una
politica assennata. L’economia della Spagna si sta restringendo a un
ritmo più veloce di quanto previsto per ragioni fuori dal controllo
del paese. In queste circostanze, sarebbe sensato far funzionare gli
stabilizzatori automatici. È ciò che fecero i membri dell’eurozona
nel 2009. Assicurò che la recessione, anche se molto profonda, almeno non fosse
eccessivamente lunga.
Il Fondo Monetario Internazionale si
è allineato alla posizione del governo all’inizio della settimana.
Il giornale spagnolo El País ha citato un funzionario del FMI,
secondo cui un ulteriore aggiustamento del deficit sarebbe indesiderabile
perché avrebbe esacerbato, piuttosto che alleviare, le tensioni dei
mercati. IL FMI ha previsto una recessione per altri due anni, col deficit
che calerà dall’8 per cento del PIL dell’anno scorso al 6,8 per cento
di questo anno e al 6,3 del prossimo anno. Quindi anche non raggiungendo,
e di molto, gli obbiettivi sul deficit di bilancio, la Spagna sarà
ancora in recessione, brutta quanto quella del 2009.
Ma no. La settimana scorsa in una visita
a Berlino, Mariano Rajoy, il Primo Ministro spagnolo, ha ripetuto doverosamente
l’impegno del suo governo per raggiungere gli obbiettivi fissati sul deficit, il 4,4 per cento del PIL nel 2012, e
il 3 per cento nel 2013. Questo anno, vuole tagliare il deficit di altri
2,2 punti percentuali seguendo la linea del FMI, e di un altro 3,3 per
cento il prossimo anno, tutto questo mentre l’economia si sta contraendo.
La Spagna sta seguendo lo stesso percorso
preso dalla Grecia. La Spagna è un’economia molto più sana,
è ovvio. Ma ha anche un problema che la Grecia non aveva, un settore
privato profondamente indebitato. Questa è la ragione per cui una politica
di eccessiva riduzione del deficit potrebbe diventare tossica.
Richard Koo, capo economista al
Nomura Research Institute, ha fornito di recente la sua analisi
* all’impatto della riduzione dell’indebitamento (deleveraging)
negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nell’eurozona. La Spagna sta sperimentando
una versione estrema di quella che chiama una “recessione di
bilancio“, su una scala molto maggiore rispetto a Stati Uniti
o Regno Unito. Dal terzo trimestre del 2007, il settore privato spagnolo
ha ridotto i suoi debiti del 17,2 per cento in rapporto al PIL, mentre
il settore pubblico ha parzialmente compensato il deleveraging
del settore privato con un aumento del debito pari all’11,8 per cento
del PIL. La differenza è arrivata sotto forma di un contributo positivo
dal settore esterno; in altre parole, da una caduta del deficit delle
partite correnti.
Koo ha evidenziato che – come in Giappone
durante gli anni ’90 – è essenziale che i governi europei sostengano
l’economia durante una fase di deleveraging del settore privato
per evitare ciò che poi porterebbe a una profonda depressione.
Quindi, se la Spagna seguisse l’esempio
della Grecia e ignorasse ciò che avvenne in Giappone, l’esito
più probabile sarebbe una recessione severa e prolungata. Per me, si
tratta di una minaccia ben maggiore per l’eurozona rispetto ad vari
altri accenni di crisi che ci eccitano al momento. Nello schema allargato,
non importa se gli obbligazionisti greci si accorderanno per una partecipazione
volontaria. Se la Spagna dovesse cadere nel buco nero, non ci sono fondi
di salvataggio, per quanto larghi, che possano trascinarla fuori.
L’ironia è che un trattato fiscale
realizzato per ridurre il debito dell’eurozona potrebbe essere la causa
di un’esplosione di debito, perché aumenta di molto i rischi di una
crisi semi-permanente in vaste aree dell’Europa meridionale. Se dovesse
accadere, nulla potrebbe salvare l’eurozona.
Fonte: Fiscal treaty could trigger a debt explosion
29.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE