DI RENÉ NABA
Mondialisation.ca
Copertina della rivista statunitense
“Time Magazine” del 22 agosto 2011, un mese segnato dalle sommosse
nel Regno Unito, dalla crisi dell’indebitamento europeo, dall’insabbiamento
atlantista in Libia, dalla degradazione della rilevanza economica degli
Stati Uniti e dalla mattanza di Oslo.
Il comandante Massoud, Rafic Hariri,
Benazir Bhutto, Hosni Mubarak, Zine el Abidine Ben Ali: la decapitazione
dei principali perni dell’influenza occidentale in terra di Islam.
Dieci anni dopo il suo lancio con grande
fragore, “la strategia dello shock e dello stupore”
– “Shock and Awe” (1) – è giunta in paesaggio devastato, sia
per i paesi bersaglio che per gli assalitori. Il bilancio delle perdite
causate dagli occidentali in Afghanistan e in Iraq ha raggiunto il 22
agosto del 2011, secondo “una stima estremamente prudenziale,
225.000 morti e circa 365.000 feriti“.
Secondo questo studio realizzato nella
primavera del 2011 dai professori Neta Crawford e Catherine Lutz per
conto dell’università Brown, il numero dei soldati uccisi assomma 31.741,
di cui circa 6.000 americani, 1.200 soldati alleati, 9.900 iracheni,
8.800 afgani, 3.500 soldati pakistani oltre a 2.300 membri di società
militari private, diventando così, per gli Stati Uniti, la guerra più
assassina dai tempi del Vietnam, e probabilmente la più onerosa dalla
Seconda Guerra Mondiale (2).
Il costo totale delle guerre condotte
dagli Stati Uniti in Afghanistan, in Iraq e in Pakistan ammonterebbe
alla somma astronomica di 3,7 trilioni di dollari. L’Iraq, da solo,
sarebbe costato al bilancio degli Stati Uniti un trilione di dollari.
Questa cifra non tiene conto del costo dei 90.000 soldati americani
mantenuti sul posto durante il periodo di transizione. Né la Corea
né il Vietnam erano costati tanto, ma la guerra del Vietnam (1960 –1975)
era durata quindici anni e il corpo di spedizione americano era composto
da cinquecentomila soldati (3).
Le guerre americane successive all’11
settembre 2011 sono costate più della Seconda Guerra mondiale (1940
–1945), fino a questo momento la più onerosa (2 trilioni di dollari
rapportati a oggi). Con la sovrapposizione dei danni collaterali per
oltre 200.000 civili iracheni rimasti uccisi, quasi un milione di feriti
e tre milioni di profughi.
L’ipotonia del mondo arabo nei riguardi
della geostrategia tettonica sospinta dagli attentati anti-americani
dell’11 settembre 2001 e della collusione frontale che ha dovuto subire
in Afghanistan e in Iraq contro i due più importanti focolai di percussione
della strategia regionale dell’asse saudo-americano nella sfera arabo-musulmana
ha sconvolto la tradizionale dirigenza araba. Ha promosso nel firmamento
dell’iconografia internazionale Osama Bin Laden, capo di Al Qaida, l’organizzazione
clandestina sovranazionale, la scintilla di questo sconvolgimento, come
il suo compare Mullah Omar, mai a corto di carburante, il più celebre
motociclista della storia dell’umanità a dispetto del suo handicap
visivo, così come il dignitario sciita libanese Hassan Nasrallah, il
capo di Hezbollah, il suo emulo iracheno Moqtada al Sadr, il solo dirigente
iracheno marcato da un triplo sigillo di legittimità – spirituale,
nazionalista e popolare -, il solo dirigente iracheno di rilevanza nazionale
a non avere abdicato a questi principi, patteggiato ancor meno con quelli
che ritiene i suoi “nemici”, contrariamente alle altre fazioni
irachene.
Alla vista di questa ecatombe che dovrebbe
ormai bazzicare l’America, non si parla tanto dello spettro del Vietnam
quanto piuttosto di una sorte identica a quella dell’impero di Alessandro
Magno, di cui la Mesopotamia fu il becchino. Alla vigilia dell’intervento
americano in Iraq, George Bush Jr, riannodando le vecchie abitudini
dei cowboy americani, aveva riproposto un gioco con 52 carte
che illustravano i 52 dirigenti iracheni più ricercati dai suoi servizi.
Ebbro della propria vittoria e fiducioso della loro cattura, Bush non
aveva prestato attenzione al fatto che questo gioco di carte aveva ormai
invertito il giro e che ricadeva sui protagonisti americani del conflitto.
La guerra anglo-americana contro l’Iraq
ha provocato la distruzione di uno dei rari stati laici del mondo arabo,
l’Iraq, e del binomio diplomatico franco-statunitense sul Libano, con
il vuoto del potere presidenziale del solo paese arabo diretto da un
presidente cristiano. Un precedente ricco di conseguenze per l’avvenire.
Il grande committente di questo “caos
costruttore” è George Bush, già precedentemente oggetto
di insegnamento nelle accademie diplomatiche e militari come perfetto
contro-esempio di governo, oramai certo di togliersi di dosso la nomea
poco invidiabile di “peggior presidente della storia americana“,
scacciato dall’immaginario mondiale dal giornalista iracheno Mountazar
al Zayedi, il più celebre lanciatore di scarpe della storia dell’umanità,
lo Spartaco dei tempi moderni.
Jacques Chirac, l’oppositore alla guerra
in Iraq ma coinvolto nell’avventura americana del Libano, gode oramai,
da parte sua, di una pensione lauta ma non paciosa nella precaria residenza
del suo benefattore libanese. L’ex presidente francese che minacciava
con i fulmini della Giustizia Internazionale gli assassini del suo amico
miliardario, è, a sua volta, in frizione con la giustizia del proprio
paese per alcuni affari in cui avrebbe ricevuto del denaro illecito
per aver assunto responsabilità fittizie in impieghi fittizi finanziati
totalmente dai denari sonanti dei contribuenti francesi.
Il “grande gioco” afghano per un
“Grande Medio Oriente” si è rivelato calamitoso per i suoi iniziatori,
sradicando i pilastri principali dell’influenza occidentale in terra
d’Islam: il comandante Massoud Shah, il Leone del Panjshir in Afghanistan,
i due vecchi ex primi ministri, Rafic Hariri e Benazir Bhutto, il sunnita
libanese nel 2005 e la sciita pakistana nel 2007, due personalità collocate
all’estremità dell’asse che doveva servire a facilitare l’avvento
del “Grande Medio Oriente” entrambi ugualmente carbonizzati da un
attentato, vittime rilevanti della contorta narrativa occidentale. Ancor
peggio , nello stesso Libano – zona di liberazione della pressione americana
sull’Iraq – , la scomparsa di Rafic Hariri è stata seguita dalla decapitazione
dei suoi principali supporti mediatici sulla scena occidentale, il direttore
del giornale An Nahar, Gebrane Tueni, e del giornalista Samir
Kassir. Un massacro con la motosega che non sarebbe riuscito neppure
al più metodico degli assassini seriali. Un risultato davvero sbalorditivo.
Sotteso a questo epilogo, c’è il
grosso problema dello spostamento nella percezione che l’Occidente si
fa della realtà orientale, particolarmente della visione che gli intellettuali
occidentali si sono fatti di Benazir Bhutto, così come del comandante
Massoud Shah o di Rafic Hariri, che permettono a ragione di poter parlare
di psicanalisi. Benazir costituisce per loro, clinicamente, un fantastico
e assoluto esotismo: la bella sultana senza veli, l’anti-burka, la guida
dell’Harem politicamente loquace. Gli intellettuali occidentali hanno
sviluppato su di lei una sorta di “narrativa sulla schiavitù
volontaria“.
Ereditiera di una dinastia politica
il cui tragico destino è probabilmente unico al mondo – con quattro
personalità assassinate di cui due ex primi ministri, record mondiale
assoluto di tutti i tempi -, questa donna glamour dalla grande
“modernità“, invece di spingere verso una dinamica
di cambiamento democratico del proprio paese e fornire un esempio per
la lotta di liberazione della donna nel terzo mondo arabo-musulmano,
si è riversata sul conformismo di una gestione burocratica che ha preso
in prestito dalle società patriarcali i metodi più scalcagnati, abusando
del proprio potere in disprezzo dei più elementari principi di saggezza
politica.
Un spostamento identico si è
verificato a proposito del Comandante Shah Massoud, ucciso in un attentato
alla vigilia degli attentati anti-americani dell’11 settembre del
2001. Massoud era apprezzato dai soli francesi, i cui intellettuali
di fama si pregiavano di averlo incontrato anche se in luoghi virtuali
e solo nell’immaginario del narrante del racconto. Alunno del liceo
francese di Kabul, di Massoud si dice che abbia fornito la propria luce
ai servizi francesi nel labirinto afgano. Francia a parte, è stato
per molto tempo quasi uno sconosciuto. Alla sua morte è stato elevato
a martire della Libertà, allo stesso modo di Rafic Hariri in Libano,
pur essendo uno dei principali finanziatori delle guerre tra le fazioni
libanesi.
Il tropismo occidentale nei riguardi
dell’Islam fa sì che ogni eminenza intellettuale disponga della
propria “minoranza protetta“: per il filosofo André
Glucksmann i Ceceni (anche se il suo nuovo amico, il presidente Nicolas
Sarkozy , è diventato il migliore amico occidentale del presidente
russo Vladimir Putin), per Bernard Henry Lévy il Darfur (anche se la
sua azienda familiare è coinvolta nella deforestazione della foresta
africana) e per Bernard Kouchner i curdi, le truppe di complemento degli
americani nell’invasione dell’Iraq. È come se queste eminenze grigie
cercassero di compensare la loro ostilità alle rivendicazioni arabe,
particolarmente quelle palestinesi, con un sostegno all’Islam periferico.
Vittima di un danno susseguente che
risulta dal ribaltamento pro-americano del suo amico francese, l’eliminazione
di Rafic Hariri (febbraio 2005) (4) è sopraggiunta nello stesso
anno del decesso del suo protettore, il Re Fahd di Arabia, morto sei
mesi più tardi nell’agosto del 2005, lo stesso mese in cui Mohamad
Ahmadi-Nijad, il rappresentante dell’ala dura del regime islamico, era
stato eletto alla presidenza della Repubblica iraniana. L’annuncio della
fine della missione di combattimento dell’esercito americano in Iraq,
il 21 agosto 2010, è giunto nel giorno dell’inaugurazione della centrale
nucleare iraniana di Boucher. Sono coincidenze spiacevoli che risuonano
come vittorie per i beneficiari.
Come se non fosse bastato, il Mondo
arabo, una delle principali vittime collaterali della strumentalizzazione
dell’Islam come arma di lotta politica contro il blocco sovietico –
uno dei principali contributori alla liberazione dell’Europa dal giogo
nazista e comunque il principale sconfitto della sua scommessa persa
contro l’America: in una parola, lo scemo del villaggio – ha avuto
un sussulto liberatorio, liberandosi nel 2011, in occasione del decimo
anniversario dell’11 settembre, delle figure emblematiche della sottomissione
all’ordine israelo-americano – l’egiziano Hosni Mubarak, il tunisino
Zine el Abidine Ali – mentre la contestazione si diffondeva in una decina
di paesi arabi, particolarmente in Siria, Libia, Yemen, Bahrein, risparmiando
curiosamente l’Arabia Saudita, uno dei principali responsabili di questo
caos.
Certo, Osama Bin Laden, al termine
di dieci anni di bracconaggio, è stato ucciso il 2 maggio 2011
in Pakistan nel corso di uno spettacolare raid americano, come il suo
successore in Yemen, Anouar Al Awlaki, mentre gli Stati Uniti si impossessavano
durevolmente del petrolio iracheno, facendo sloggiare il loro alleato
francese del posto. Ma i luogotenenti del capo di Al Qaida sono disseminati
in tutto l’Arco dell’Islam, in Iraq, in Yemen, i due vecchi poli
strategici dell’Arabia Saudita, in Somalia, nel Sahel, pedinati con
più o meno di successo da corpi di commandos unicamente americani,
dispiegati in quasi 120 paesi, con i costi finanziari corrispondenti.
Dotato di un budget di 9,8 miliardi
di dollari, il SOCOM, (Special Operations Command) può contare
su un organico di 65.000 effettivi, di cui l’85 per cento dai venti
paesi del CentCom che coprono il “Grande Medio Oriente”, dall’Afghanistan
al Marocco: Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi
Uniti, Iran, Iraq, Giordania, Kazakistan, Kuwait, Kirghizistan, Libano,
Oman, Pakistan, Qatar, Siria, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e
Yemen. Il resto del personale è schierato in America latina e nel sud-est
asiatico.
In aggiunta, la perdita di 25 trilioni
di capitalizzazione di borsa all’epoca della crisi bancaria del 2008
a causa dei fondi speculativi gestiti da esseri senza scrupoli sullo
stile di Robert Madoff – in ogni caso un notabile dell’establishment
americano -, abbinata tre anni più tardi alla crisi dell’indebitamento
europeo e alla degradazione della rilevanza economica degli Stati Uniti
– un unicum negli annali economici -, favorendo così l’ascesa
al potere dei fondi sovrani del sud – con la Cina nel ruolo di arbitro
– hanno reso davvero fragili le economie occidentali, mettendo i paesi
occidentali su una posizione ancora più difensiva della Cina, che gestisce
la strategia dello yuan per poter instaurare una nuova moneta di riferimento
internazionale al posto del dollaro, riuscendo ad aggirare l’Europa
in Africa, soppiantandola, senza colpo ferire, nella sua riserva di
caccia (5).
Certo, quarantadue anni di cooperazione
strategica con gli Stati Uniti sono sfociati nella giudeizzazione quasi
completa di Gerusalemme, nella colonizzazione quasi totale della Palestina,
nell’implosione dell’Iraq e nella perdita del potere sunnita a Baghdad,
nello smembramento del Sudan per la pianificazione di un’enclave pro-israeliana
sul percorso del Nilo, nell’implosione della Libia, senza che per questo
l’Arabia Saudita non debba rimettere in discussione la propria collaborazione
col Grande Protettore di Israele, la cauzione da versare per tutti i
diritti passati.
E il migliore alleato dei paesi occidentali
contro il nazionalismo arabo e il suo partner essenziale nell’implosione
dell’Unione Sovietica – con la guerra dell’Afghanistan – è, paradossalmente,
il figlioccio di uno dei fondatori della confraternita dei Fratelli
Musulmani, Tareq Ramadan, la figura più stigmatizzata dagli intellettuali
più pro-americani della scena europea, come testimoniano le imprecazioni
quasi quotidiane di Santa Catherine Fourest contro il “Fratello
Tariq”.
Ma l’inverno 2011 è germogliato
in una dolce “primavera araba” e ha prodotto un’estate omicida
per il campo occidentale.
La prima grande contro-iniziativa dell’alleanza
atlantica in un’operazione diretta contro un paese del contesto arabo
africano, l’insabbiamento della NATO in Libia, concomitante allo sviamento
della sollevazione libica in un regime cripto-islamico, alla carneficina
xenofoba di Oslo (luglio 2011), alla repressione poliziesca delle sommosse
del Regno Unito (agosto 2011), alla crisi dell’indebitamento europeo
sancito dalla pulizia di tre primi ministri dell’eurozona, Georgos
Papandreou (Grecia), Silvio Berlusconi (Italia) e Jose Luis Zapatero
(Spagna), ha macchiato di caducità il ruolo di prescrittore morale
dei paesi occidentali nella denuncia delle contestazioni popolari a
Damasco, Teheran, Pechino e altrove.
La controffensiva portata dalle petromonarchie
del Golfo contro il flusso delle contestazioni arabe, così come la
strumentalizzazione del Tribunale speciale per li Libano a proposito
dell’assassinio di Rafic Hariri, hanno permesso la destabilizzazione
della Siria, anello essenziale del dispositivo antioccidentale regionale,
in una guerra di sostituzione contro l’Iran. Non hanno comunque impedito
alla Repubblica islamica, sotto embargo da trent’anni, di accedere al
rango di “potenza nucleare“, né all’America di essere
costretta a ordinare il suo ritiro dall’Iraq.
Il veto brandito dagli Stati Uniti
a proposito dell’ammissione della Palestina all’ONU, la rinuncia
degli Stati Uniti di fronte a Israele per il gelo della colonizzazione
strisciante della Palestina, sovrapposto all’effetto cumulativo e corrosivo
dell’alleanza contro-natura tra Israele e le destre estreme europee
compiuta in modo sintomatico dalla carneficina di Oslo, ha sigillato
l’impostura morale dell’alleanza dei discendenti delle vittime del genocidio
hitleriano con gli eredi spirituali dei loro vecchi boia, e sancito
allo stesso tempo il fallimento morale dell’Occidente, assieme a cinque
secoli di egemonia assoluta occidentale sul resto del pianeta.
Un ex alcolista riconvertito al messianismo
evangelico, un “rinato” che gioca a fare l’angelo purificatore,
a rischio di fuorviare il suo paese e di mettere in gioco lo status
di prima potenza planetaria di tutti i tempi, un militare impetuoso
ebbro di rumore e di furore, “borderline“, pantagruelico,
un presidente di un paese prescrittore di un ordine morale trasformato
in squatter abusivo di lusso, un pensionante postumo dei propri
amici assassinati (6).
Anche a costo di esasperare il proprio
campo, non avrebbe potuto sognare una tripletta migliore per la promozione
della democrazia, per la difesa del mondo cosiddetto “libero”
e la sopravvivenza dei propri seguaci in tutto il Mondo.
Bis repetita placent: chi non
ha riletto i classici? “Non bisogna superare l’Eufrate. Al di
là dell’Eufrate, è il campo degli
avventurieri e dei banditi.” Il Testamento di Augusto.
Note:
1. Dottrina della guerra post-sovietica
formulata da Harlan Ullman e James Wade nel 1996 per conto della Difesa
nazionale degli Stati Uniti, “Shock and awe” è una dottrina
militare basata sull’utilizzo di una potenza soverchiante e di spettacolari
manifestazioni di forza per paralizzare l’avversario nella percezione
del campo di battaglia e per distruggere la sua volontà di battersi.
2. I civili pagano il tributo più
pesante: 172.000 morti (125.000 iracheni, 35.000 pakistani e 12.000
afgani. I ricercatori in compenso non hanno preso in considerazione
il numero totale degli insorti eliminati, tra 20.000 e 51.000. Circa
168 giornalisti e 266 lavoratori umanitari sono stati poi uccisi da
quando gli Stati Uniti si sono addentrati in questi paesi nella “guerra
al terrore“. Questi conflitti hanno generato un flusso consistente
di più di 7,8 milioni di profughi, soprattutto in Iraq e in Afghanistan.
Secondo il sito Internet indipendente icasualties.org, così come per
antiwar.org, il 16 Agosto 2011 il bilancio delle perdite in Iraq e Afghanistan
assommava a 7.453 soldati morti, di cui 74 francesi in Afghanistan.
A ciò si aggiunge il numero dei 430 suicidi tra i militari in attività,
secondo il Department of Veteran Affairs.
3. “The Price of Liberty: Paying
for America’s Wars” (“Il prezzo della libertà: il costo delle
guerre dell’America”) di Robert Hormats, alto responsabile della
banca d’affari Goldman Sachs.
4. La
stratégie chinoise du yuan ruine les finances occidentales, Le Monde, 8 agosto 2008.
5. Sulla strategia finanziaria della
Cina, , vedi Géo-économie
mondiale : Un basculement stratégique.
6- Per uno studio documentato su questo
periodo, “Hariri de père en fils, hommes d’affaires, premiers
ministres”, René Naba Harmattan, 2001. Sul capovolgimento della
politica francese nei confronti degli Stati Uniti dopo la disputa sull’Iraq,
vedi Richard Labévière, “Il grande ribaltamento Baghdad Beirut”,
Editions Seuil, ottobre 2006.
Fonte: Le testament d’Auguste 2/2
16.12.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
LEGGI ANCHE: IL TESTAMENTO DI AUGUSTO (PARTE PRIMA)