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Si intitola Cronache marxziane il nuovo libro di Giulietto Chiesa, in uscita da Fazi a cura di Massimiliano Panarari,
di cui anticipiamo le pagine finali. In un mondo afflitto da crisi economica, guerre, terrorismo, problemi ambientali, Chiesa propone una serie di punti qualificanti per una sinistra decisa a tornare a svolgere il proprio ruolo da protagonista.

 
DI GIULIETTO CHIESA

Primo punto, fuori l’Italia dalla guerra. Perché? Per ragioni di solidarietà mondiale. Su questo obiettivo c’è la maggioranza del popolo italiano, non ho il minimo dubbio al riguardo. Con questo programma si vince. Secondo punto, la difesa delle istituzioni democratiche, altro grande tema trasversale. Non sono affatto convinto che una parte dei ceti moderati, una parte, perfino, degli elettori di Alleanza Nazionale, voglia privarsi dell’Italia della Costituzione, che è un’Italia che fa a pugni con la devolution di quei quattro dementi che l’hanno pensata.
Democrazia nell’informazione e nella comunicazione, tematica in grado di mobilitare moltissime persone che pensano con la propria testa. Basta spiegare ai genitori cos’è questa televisione per i loro figli, per i ragazzi e le ragazze. Quando ci ho provato, con pubblici molto diversi, con pubblici cattolici moderati, ho scoperto che questo discorso penetra e colpisce, angoscia perfino. Bisogna farlo, dirglielo, informarli. Diamoci un canale dove si possa raccontare ai genitori italiani quali guasti immondi questa televisione produce sui loro figli. E loro capiranno benissimo.

Altro punto programmatico cruciale: difesa dell’ambiente. Noi stiamo compromettendo il destino dei nostri figli, l’acqua che berranno, l’aria che respireranno. Noi stiamo vivendo nettamente al di sopra delle nostre possibilità (e dei limiti naturali). Dobbiamo impegnarci a governare perché il loro futuro non sia compromesso irrimediabilmente. Se lo diciamo saremo capiti molto più in là dei confini di questa sinistra. E poi il lavoro. La sicurezza del lavoro. Le trasformazioni in atto hanno colpito al cuore gl’interessi di larghissime masse lavoratrici. La classe operaia, si dice, non c’è più. E’ falso.

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La classe operaia esiste, eccome! E ad essa si sono aggiunte centinaia di nuove professioni, il cui contenuto è del tutto analogo a quello dell’operaio alla catena di montaggio (chi sono, difatti, i giovani operatori dei call-center se non gli eredi diretti di chi stava in catena di montaggio?). Professioni che sono state scomposte e rimescolate. Lavoratori e lavoratrici che sono stati abbindolati, confusi, lasciati senza alternative. Che possono non esserne consapevoli, ma che sperimentano grandi difficoltà e disagio. Sono questi interessi, largamente diffusi, prevalentemente giovanili, che devono tornare ad essere parte dell’«agenda del giorno» del nostro paese, della nostra informazione.

Il lavoro, come ha scritto molto bene Paolo Ciofi nel suo libro Il lavoro senza rappresentanza è rimasto senza rappresentanti, in un duplice senso. In primis, quelli che erano una volta i partiti dell’opposizione e difendevano il lavoro, sono diventati i sostenitori della teoria opposta: la flessibilità, la necessità di garantire prioritariamente lo sviluppo, leggasi l’incremento del prodotto interno lordo.

Parti cospicue del centrosinistra si sono sdraiate sulla linea neoliberista. E, nello stesso tempo, il lavoro non ha più rappresentanza perché è uscito dall’agenda dei problemi quotidiani: il sistema mediatico non ne parla più, se non in occasione degli scioperi e delle loro conseguenze sulla vita quotidiana dei cittadini, presentandoli sempre come un attentato al diritto alla mobilità. C’è rappresentanza solamente per gli interessi di un indistinto ceto medio, che sarebbe collocato al centro della società e sarebbe divenuto l’unico soggetto sociale interessante, con l’effetto che, batti e ribatti, anche le classi lavoratrici hanno finito per dimenticare se stesse, per smarrire la propria identità e per identificarsi con il paradigma che viene loro proposto attraverso i media, ossia il modello consumistico. Cos’altro devi comunicare in quei cinque minuti di attenzione che hai a disposizione nell’arco della giornata per avere l’interesse di una persona, legittimamente affaticata e frastornata dai suoi problemi e dalla sua routine quotidiana? Con tutti quelli che hanno un lavoro noi dobbiamo impegnarci a garantirglielo, a renderlo meno precario. A tutti dobbiamo dire che i servizi fondamentali devono essere assicurati dallo Stato, e per questo le tasse devono essere pagate. Siamo così sicuri che questo sia un programma impopolare? Io non sono affatto convinto che verrebbe percepito negativamente da larghissime masse popolari. Questo non è un programma rivoluzionario; è un fantastico programma trasversale, gradualista e riformista. Questo è il vero riformismo.

Certo che se uno, invece, preferisce il «realismo» della sconfitta, allora si accomodi… Sono consapevole che un programma come questo applicato agli Stati Uniti odierni non potrebbe vincere. Ma una piattaforma di questo genere applicata all’Italia può vincere. E dirò di più. L’Italia si trova in una situazione straordinaria e inedita per la nostra storia: se cambiasse il governo e lo schieramento che lo sostiene, l’Italia diventerebbe uno dei protagonisti della politica mondiale, perché con un’Italia a sinistra si sposterebbe e crescerebbe il peso dell’asse europeista. In una situazione in cui la Spagna si è allineata alle nazioni più europeiste – Germania e Francia – l’arrivo dell’Italia cambierebbe tutto in modo straordinariamente potente. Dunque, il nostro paese in questo momento risulta investito di una particolare responsabilità internazionale. Questo è, in effetti, l’ultimo e decisivo punto di un programma di governo dell’Italia: paese cruciale per fare svolgere all’Europa un ruolo di freno e condizionamento dello strapotere di questi Stati Uniti «malati», incapaci di capire il mondo che dovrebbero guidare. Un’Europa che svolga il ruolo di antidoto in un quadro internazionale preoccupante, dominato dall’egoismo dei potenti e dalla loro tremenda cecità. E un’Europa capace di comprendere e di gestire la crisi democratica che attraversa anche lei. Una situazione in cui non si è più capaci di dire la verità alla gente, perché si teme di dover spiegare per quale motivo non gliela si è raccontata prima. Perché si teme di doverle dire, adesso, che bisogna cambiare molte cose della nostra vita comune, per il bene comune. Ma per fare questo bisogna sottrarre l’informazione dalle mani dei potentati che vogliono nasconderla. Sono loro che stanno rubando la democrazia ai popoli, cancellando il suffragio universale, restringendo il potere nelle mani di gruppi oligarchici sempre più ristretti. Sono loro che stanno lesionando il grande patto antifascista emerso dalla seconda guerra mondiale, che ha ricostruito l’Europa e garantito la pace. Se non faremo questo, dal sonno attuale della ragione che caratterizza gli eventi mondiali, emergeranno mostri.

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Io credo che questo processo possa ancora essere efficacemente contrastato. Non tutto è perduto e, per quanto sia difficile, ce la possiamo ancora fare. E’ con queste «risposte per continuare a nutrire una speranza» che voglio terminare le nostre Cronache marxziane: dove abbiamo messo un po’ di Marx, che è un pezzo della mia storia; un po’ di Marte, nel senso che io stesso in qualche modo sono un marziano precipitato sulla Terra, altrimenti non parlerei così; e un po’ di Marte inteso come dio della guerra, che sta dilagando nel mondo. Venere, l’Europa, non c’è nel titolo, ma può essere il suo antidoto. La pace neppure c’è nel titolo, perché, mentre parliamo, piange e si dispera. Speriamo di convincerla a tornare a volare.

Giulietto Chiesa
Fonte:www.lastampa.it

4.05.05

 

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