FONTE: Infoguerre.fr
Posta sotto la luce dei riflettori dalla crisi economica del 2008 e dall’inizio dei dibattiti sull’indebitamento Internazionale, la Cina appare oggi agli occidentali come una reale superpotenza che rivendica una diplomazia orientata al Soft Power (avendo scelto gli Stati Uniti un orientamento più duro, ammorbidito tuttavia dall’introduzione del concetto di Smart Power).
Lanciata sin dal 1978 con la progressiva apertura del Paese agli investimenti stranieri, la strategia di potenza cinese si è adattata e rafforzata nel corso degli anni con relativa
discrezione.
La scelta del Soft Power come principio ispiratore della politica cinese presenta due vantaggi per questo Stato-continente: la scelta del basso profilo inerente al Soft Power nella comunicazione delle sue performance, del suo sviluppo tecnologico o nel suo discorso diplomatico, gli ha permesso di perseguire una crescita forte senza troppo spaventare gli altri paesi. D’altra parte la scelta di questo orientamento strategico permette indirettamente di sfruttare tutte le debolezze del o dei campi avversi di cui soffrono oggi molti paesi occidentali, la Francia in particolare, senza operare un’offensiva diretta su paesi che si svegliano in certe realtà.
Soft Power passivo contro Soft
Power attivo
L’Europa è un caso abbastanza esemplare
di campo d’applicazione determinato dal Soft Power passivo
o indiretto.
Se si considera il caso della Francia,
si riscontra da 35 anni un sentimento di totale potenza stereotipata,
accompagnato da una certa negazione di nuove realtà nate dalla mondializzazione,
associato e nutrito da una democrazia basata su un sistema elettorale
la cui base è diventata relativamente demagogica, per non aver operato
le riforme necessarie (a confronto delle attuali performance della Germania
che ha saputo evolversi).
Questo immobilismo è stato mantenuto
da un indebitamento massiccio che permette un rinvio sine die
da trent’anni a questa parte delle riforme necessarie. Durante questo
periodo, per mancanza di riflessioni di fondo e delle riforme dello
Stato, molte imprese hanno dovuto delocalizzare, inizialmente solo impieghi
poco qualificati, fino ad arrivare oggi all’installazione di laboratori
di R&D in Cina.
Contemporaneamente, l’indebitamento
nei confronti della Cina, che aumentava le sue riserve di cambio grazie,
in parte, all’esportazione in Europa dei suoi prodotti a basso costo,
aveva luogo mentre i mercati europei si aprivano completamente ai prodotti
cinesi. Oggi la Cina – che è stata pragmatica nella sua avanzata, rispettando
la sua linea diplomatica non aggressiva – ha una posizione perfettamente
legittima allorché dichiara di voler investire nelle nostre imprese
e non alimentare il debito europeo, adornando così con un fiore all’occhiello
la sua strategia di Soft Power indiretto, preparandosi ad una
crescita nella gamma di prodotti che essa esporta.
La morsa così è serrata
nel modo più elegante.
Il Soft Power è ugualmente
applicabile in una forma attiva, per esempio nel gioco delle divisioni
interne tra i paesi occidentali.
L’Europa è un caso esemplare: il
continente attira oggi l’attenzione di numerosi paesi, fra cui la
Cina, alla ricerca delle più avanzate tecnologie. Perché proprio l’Europa?
Per due ragioni fondamentali: essa riunisce ad un tempo imprese di punta,
relativamente poco protette e molto segmentate, poste in una condizione
di fortissima concorrenza da un liberismo unico al mondo (assenza di
coordinazione industriale europea, apertura quasi completa dei mercati,
circolazione dei beni e delle persone senza un effettiva omogeneizzazione
politica preliminare fra i differenti Stati, fratture politiche interne).
Parallelamente, la zona dell’Europa orientale può offrire sviluppi
potenziali, connessi secondo alcuni alle zone mediterranee, un orizzonte
strategico. Storicamente i paesi europei, invece di sviluppare i paesi
confinanti continentali, che comprendono l’Europa dell’est tanto
quanto il Vicino oriente, sono stati portati progressivamente, come
si è visto, a scegliere ormai da trent’anni di focalizzarsi sulle
delocalizzazioni in Asia. Oggi mentre noi investiamo via JV o altri
GIE in Asia, la Cina arriva sui nostri mercati per diffondere i suoi
prodotti, compresi quelli ad alta tecnologia e proporre in particolare
il proprio aiuto ai paesi dell’antico blocco dell’Est.
Poco alla volta l’asse si decentra.
Tutto ciò conduce alla descrizione
di un’altra forma di Soft Power attivo: quello della rete degli
antichi blocchi ideologici.
Il caso della sua applicazione da parte
della Cina verso alcuni paesi dell’ Europa dell’est, così come
verso altri Stati nel mondo (Asia /Africa), è simbolico.
La Caduta del Muro ha sicuramente portato
alcune riforme economiche in questi paesi, tuttavia, sotto alcuni aspetti,
il sistema ereditato dal comunismo ha resistito relativamente bene.
Ne è rimasto un certo modo di intendere le relazioni, di pratiche comuni
di messa in rete mantenute in maniera più o meno informale, riprese
in questo momento per esempio, nel dominio energetico.
In Africa, nel Sud-est asiatico, l’antica
rete di amicizie politiche internazionali (legate a movimenti storici,
come la Conferenza di Bandung o l’Internazionale Comunista) ha ancora
un peso, per esempio, nel sostegno apportato alla moneta cinese nel
suo braccio di ferro col dollaro: la Bank Standard sudafricana, nel
Gennaio 2011, è stata così una delle prime ad annunciare pubblicamente
la possibilità per i suoi clienti di realizzare delle transazioni in
yuan (fonte: the World in 2011, The Economist, Gennaio 2011). Nel Settembre
2011, la
Banca della Nigeria e la Banca della Thailandia si sono dichiarate pronte
a comprare moneta cinese ed a sostenerne la convertibilità (fonte: agenzia Bloomberg; 09/09/2011)
Vediamo che l’insieme di queste azioni
di Soft Power viene pian piano allo scoperto, fornendo un valido
supporto all’offensiva commerciale cinese su scala mondiale. La crisi
del 2008 – che ha messo in evidenza il livello di indebitamento degli
Stati, oltre ad alcune prassi del mondo finanziario – ha accelerato
il protagonismo del ruolo della Cina sulla scena internazionale in un
momento in cui essa non ha dominato. Ma, al contrario degli Stati Uniti
che appaiono ansimare sotto il peso di un arsenale diplomatico che si
potrebbe definire per contrasto di Hard Power –
a cui si aggiunge un indebolimento notevole nei contenuti che non compensa
la potenza da vincitori -, la Cina sa utilizzare appieno questi strumenti
di potenza flessibili, informali e discreti, relativamente ben adattabili
ai paesi emergenti ma anche agli Stati indeboliti e divisi senza un
asse di potenza politica ed economica sufficientemente chiaro, come
supporti alle sue ambizioni economiche ma anche politiche.
L’Europa, in un nucleo raccolto e
propulsivo, avrebbe tutto l’interesse a trarre le conclusioni necessarie,
a fare la sintesi delle proprie debolezze per meglio ripartire dalle
basi in una versione rinnovata e adattata alle nuove realtà del mondo,
come sarebbe perfettamente in grado di fare.
Fonte: Le Soft Power chinois appliqué aux affaires politiques et commerciales
06.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MANUELA ALLETTO