Il rientro a lavoro dei sanitari nel dis-ordine degli infermieri

Il rientro a lavoro degli esercenti le professioni sanitarie che hanno deciso liberamente di non sottoporsi ad un trattamento farmacologico, non è agile come per le altre professioni. Ad alimentare un pericoloso clima di stigma e di velata discriminazione, sempre loro: gli ordini professionali.

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di Raffaele Varvara, per ComeDonChisciotte.org

Il rientro a lavoro degli esercenti le professioni sanitarie che hanno deciso liberamente di non sottoporsi ad un trattamento farmacologico, non è agile come per le altre professioni. Ad alimentare un pericoloso clima di stigma e di velata discriminazione sono sempre loro: gli ordini professionali.

Gli Ordini sono enti di diritto pubblico, sussidiari dello Stato, che dovrebbero agire al fine di tutelare gli interessi pubblici, connessi all’esercizio di una professione. Poichè le professioni mediche e infermieristiche sono da considerarsi “beni comuni” al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva, gli ordini dovrebbero promuovere e assicurare l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilità delle professioni e dell’esercizio professionale, la qualità tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici.

“Dovrebbero”, appunto, col condizionale; gli ordini oggi sono bracci del potere che penetrano violentemente all’interno delle famiglie professionali, per manganellare con provvedimenti disciplinari, minacce, sanzioni, fino alla radiazione, chiunque non si allinei al pensiero unico scientificamente provato.

Gli ordini, dunque, hanno tradito il loro mandato di tutela della salute collettiva, per diventare una cassa di risonanza del potere. Segno eloquente di questo alto tradimento nei confronti di cittadini e professionisti, proviene dalla confederazione lombarda degli ordini delle professioni infermieristiche che ha emesso un comunicato in cui prima rivendica la mancanza di 10mila infermieri nel SSR lombardo, poi sostiene che i 1000 infermieri reintegrati non avranno alcun impatto significativo nel risollevare gli organici ridotti al midollo osseo. Peccato che i dirigenti ordinistici non abbiano utilizzato la stessa logica critica circa i fondi destinati alla sanità dal PNRR: non hanno detto che per la sanità ci vorrebbero almeno gli stessi fondi riservati per la parità di genere, per coprire la natura incrementale della spesa sanitaria, ma hanno sbandierato gli spiccioli dell’ UE come un nuovo boom economico. Mille infermieri nelle corsie, vogliono dire più esami, più interventi, più salute e più vita. A dirlo è lo studio internazionale RN4CAST (1)che riporta come il rapporto ideale infermiere:paziente dovrebbe essere di 1:6. Se aumenta questo rapporto, anche solo di un paziente in capo ad un infermiere, aumenta esponenzialmente del 7% il rischio di mortalità. Prima delle sospensioni il rapporto medio in Italia infermiere:paziente era esattamente il doppio, 1:12; praticamente un’ assistenza infermieristica che espone i suoi pazienti ad un rischio di mortalità elevato del 42%. Appare strano come la politica abbia seguito pedissequamente le raccomandazioni della scienza su tutto, tranne che nei parametri di dotazione degli organici. Gli ospedali infatti sono regolamentati, per quanto concerne la dotazione organica, dall’ancora vigente DPR 128/1969 “Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”. Questo provvedimento è noto per aver stabilito i minuti di assistenza/die nei vari servizi ospedalieri. Ad oggi permane questo l’unico parametro per la quantificazione del numero di personale per garantire la copertura della domanda di assistenza sanitaria. È facile ipotizzare l’ inadeguatezza di una normativa di mezzo secolo fa che ormai non fa più presa su una realtà profondamente mutata. Infatti la normativa, in materia di determinazione del fabbisogno del personale d’assistenza, non ha tenuto conto delle modificazioni dei bisogni di salute della popolazione afferente alle strutture ospedaliere, delle modificazioni tecnologiche e dell’ evoluzione della professioni sanitarie. Negli ultimi anni si sono affermate metodologie scientifiche di misurazione delle attività assistenziali che sostengono l’importanza di una congrua definizione dello staffing delle unità operative, ma, guardacaso, sempre snobbate dalla politica. Questi studi stanno aprendo il vaso di Pandora sull’ impatto di un altro inquietante fenomeno: il razionamento delle cure;  siamo abituati a considerare gli errori di commissione in sanità, cioè quello che si fa sbagliando (intervento eseguito sulla gamba destra anzichè sulla sinistra), ma altrettanto dannosi sono gli errori di omissione, cioè quello che si dovrebbe fare ma che non si fa per mancanza di tempo (e di personale). I sanitari devono scegliere se essere puntuali nella somministrare delle terapie o se dare da mangiare a una persona. I farmaci delle multinazionali vengono sempre dati in orario mentre viene sacrificata l’assistenza di base: tutti i giorni c’è sempre una signora che rimarrà a digiuno perchè c’è nessuno per assisterla ai pasti, rimarrà a letto per ore nelle sue deiezioni perchè c’è nessuno che la possa mobilizzare per garantirle un ambiente pulito e asciutto.

Grafico a ragnatela
Distribuzione delle cure mancate sui tre turni.

 

Proprio a causa dello scoppio del fenomeno delle cosiddette “cure mancate”(2), le regioni hanno pensato di correre ai ripari, rimpiazzando i buchi d’organico determinati dalle sospensioni, con personale sanitario ucraino, in deroga ai controlli sulla lingua italiana e alla conoscenza delle principali procedure diagnostiche e terapeutiche. Dopo decenni di tagli, con l’introduzione delle logiche competitive tra i professionisti sanitari italiani e stranieri, si sta consumando la soluzione finale del nostro SSN.
Svuotarlo delle eccellenze italiane, in termini di competenze stratificate in decenni di esperienza clinica e riempire i buchi d’organico con manodopera a basso costo proveniente dall’estero, equivale a un attentato alla salute pubblica nonchè all’ennesima umiliazione per i professionisti sanitari; per i colleghi provenienti da Cuba o dall’Ucraina, infatti, NON è richiesto l’obbligo vaccinale!

Gli ordini professionali, nulla hanno eccepito sull’immissione in servizio di sanitari stranieri, mentre adesso ostacolano il sereno, legittimo rientro a lavoro di coloro che il popolo della resistenza celebra come nuovi eroi. Il 15 novembre l’ Operazione “Riapriamo le porte” a Milano sotto la regione Lombardia per pretendere il loro immediato commissariamento nonchè la cancellazione dei bandi di recluta di personale sanitario straniero, il risarcimento degli stipendi arretrati dei sanitari, l’abrogazione di green pass e tamponi dagli ospedali, il ripristino della normalità, del buon senso per le visite dei parenti in ospedali ed RSA e giustizia per i danneggiati da vaccino.

Adesso uniti e determinati a pretendere le nostre rivincite!

 

Raffaele Varvara, per ComeDonChisciotte.org

1. Sermeus W, Aiken L. et all, “Nurse forecasting in Europe (RN4CAST): Rationale, design and methodology” BMC Nursing, vol 10: 6 (2011).
2. Kalisch B. et all, “Missed nursing care: a concept analysis” JAN, vol 65:7 (2009).
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