IL PICCO DEL DIESEL

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DI ANTONIO TURIEL
The Oil Crash

Cari lettori,

Continua la mancanza di combustibili in quasi tutta la provincia

di Salta (Argentina)“,

I lavoratori del settore del trasporto merci discutono della scarsa attenzione

del Governo argentino per la scarsità di combustibili“, “Nel

Canada Occidentale la carenza di diesel potrà durare settimane“, “Una scarsità di diesel prodotto nel Regno Unito metterebbe a rischio la

sua sicurezza energetica“,

Si profila una crisi di benzina in Russia a mano a mano che salgono i prezzi internazionali“, “La scarsità di diesel infiamma

gli animi in Cina“,

La

Cina fa inusuali importazioni di diesel per coprire la carenza interna“, “La

scarsità di combustibile può portare blackout, secondo i residenti

degli Emirati Arabi Uniti“,

Gli

yemeniti devono far fronte a una crisi di combustibili in mezzo alle

proteste”…
Sono solo alcuni titoli apparsi nella

stampa internazionale nel corso degli ultimi mesi. Dietro i problemi

di scarsità c’è una varietà di cause, reali e presunte,

ma sorprende un aspetto comune: in tutto il mondo sono sempre più

frequenti le notizie sulla carenza di combustibile, principalmente diesel

(potete trovare altre informazioni sul sito web Energy Shortage, da cui ho ricavato i titoli qui sopra).

Ne abbiamo

parlato alla fine dell’anno scorso:

c’è un fantasma che minaccia il pianeta: quello della scarsità del

diesel. Non la scarsità di petrolio (che potrà arrivare in un termine

più lungo), non la scarsità di altri combustibili (che alla fine riusciranno

ad arrivare), ma una minaccia già presente: non c’è diesel a sufficienza

per soddisfare la domanda mondiale, e il problema ha la prospettiva

di aggravarsi. Ma perché si sta verificando questo problema? Come avviene

di solito, ci sono vari fattori che influiscono, non tutti allo stesso

modo, e non tutti si sviluppano alla stessa velocità, per cui la predizione

diventa abbastanza difficile; tuttavia, si ha l’impressione di essere

vicini a un collo di bottiglia abbastanza definitivo per quello che

riguarda il diesel.

Il grafico seguente è stato ricavato

a partire dai dati della chiamata Joint

Oil Data Initiative. È

un’iniziativa per dare maggiore trasparenza al mercato del petrolio

e per tentare di omogeneizzare i dati dispersi del mercato petrolifero

per renderli più affidabili; grazie a essa – e anche alle raccolte

statistiche delle agenzie partecipanti (tra cui ci sono le più importanti

pubbliche e private dell’Occidente) – vengono prodotto dei questionari

trimestrali che permettono di scoprire anomalie e correggerle, con,

ovviamente, molte limitazioni. Non tutti i paesi sono scrutinati dal

JODI (anche se sono maggioranza), e per questo i dati non hanno

una valenza davvero globale. Comunque, l’analisi dell’evoluzione di

produzione del diesel su scala planetaria offerta da JODI è

abbastanza chiarificatrice:

blank

La figura corrisponde alla produzione

destagionalizzata, (per compensare i differenti livelli di consumo a

secondo della stagione), facendo sempre la media con i quattro trimestri

precedenti (ciò implica, pertanto, che il riferimento temporale di

ogni punto dovrebbe essere spostato di due trimestri a sinistra, ma

in ogni caso questo dettaglio ha poca importanza per la discussione

seguente). La figura è differente da ciò che siamo abituati a vedere

per la produzione di petrolio (si veda, ad esempio, il post che ho realizzato

sullo sfasamento tra domanda e offerta),

poiché la produzione di diesel, (di gasolio per autotrazione) non

arrivò al suo massimo fino al 2008, nonostante la stagnazione della

produzione petrolifera; dopo, abbiamo il calo a causa della crisi, un

nuovo massimo del 2011, e da lì una tendenza, ancora leggera, a scendere,

che non può essere giustificata da una forte recessione (perché comincia

già all’inizio del 2011). Che cosa sta succedendo?

Sta succedendo che il mondo non è

in grado di produrre una maggiore quantità di diesel, e si tratta di

un fenomeno nuovo con una dinamica propria, che non coincide completamente

con quella del petrolio. È ovvio che la scarsità di petrolio porterà

inevitabilmente a una carenza di diesel, ma ci può essere mancanza

di diesel prima che arrivi quella del petrolio. In realtà, è proprio

quello che sta avvenendo. E le ragioni di questa differente dinamica

sono fondamentalmente due.

Già saprete che dieci anni fa

l’Agenzia Internazionale dell’Energia si inventò un termine che

racchiude “tutti i liquidi del petrolio” e che equivale

a tutte le sostanze, estratte e sintetizzate che possono fare più o meno

le veci del petrolio. Questo concetto è stato introdotto per dissimulare

il fatto che la produzione di petrolio greggio (quello che si estrae

davvero del sottosuolo) stava arrivando al suo massimo produttivo, al

suo zenit, e nella categoria “tutti i liquidi” si mettono

quindi tutte le sostanze che si possono sintetizzare e processare come

surrogati del petrolio; per questo motivo, si parla di “produzione

di petrolio“, invece di “estrazione di petrolio“,

perché una parte del petrolio, in realtà, viene fabbricata.

Ma purtroppo gli altri petroli, quelli non convenzionali di cui abbiamo parlato già in altre occasioni, non sono facilmente fruibili o non riescono a sostituire il greggio. In sostanza, non tutti sono utili per ricavarne diesel. E questa è la prima causa della scarsità di diesel: dei vari i tipi di petrolio che sono inclusi nella la sigla
tutti i liquidi“, quello che più ha avuto l’aumento più consistente è il cosiddetto “
Gas Naturale Liquefatto” (NGL) Questi NGL sono idrocarburi a catena breve che vengono ottenuti dalla “pulizia” del gas che esce dai pozzi e, anche se possono essere utilizzati per sintetizzare il diesel, il processo è molto costoso (ricordatevi che fattibile e redditizio non è la stessa cosa), sia energicamente che economicamente. In realtà, sicuramente

il petrolio che può essere convertito in diesel è già in leggero calo.

Questa carenza di diesel è abbastanza

grave, perché la maggioranza dei veicoli di questo mondo utilizzano

il diesel, in tutto il trasporto delle merci sulle strade e una parte

sempre maggiore delle automobili, a causa del miglior rendimento dei

motori diesel rispetto a quelli ai benzina. In realtà, la domanda di

diesel nel periodo in questione è sempre aumentata, anche a causa del

disastro di Fukushima che ha fatto sì che il Giappone aumentasse le

sue importazioni (le

centrali nucleari del Giappone ferme per manutenzione non verranno riattivate

all’interno del piano di denuclearizzazione del paese da parte del

governo, e le richieste di energia elettrica vengono soddisfatte con

i generatori diesel e le centrali termiche alimentate a diesel).

Ciò spiega la scarsità di diesel

in tutto il mondo, e rende la vita davvero complicata la vita per chi

sostiene l’assurda teoria del “peak demand” (che abbiamo già commentato

in questo blog), i quali

sostengono che i cali di produzione in realtà si devono a una

diminuzione pilotata del consumo, grazie, essenzialmente, al miglioramento dell’efficienza

e non a quella che sembra la realtà dei fatti, ossia la distruzione

della domanda.

C’è, nonostante tutto, un altro

effetto che si fa sentire sempre di più: la diminuzione dei margini di profitto nelle raffinerie. Questi “margini di

raffinazione” si riferiscono alla differenza tra il prezzo dei

prodotti raffinati e quello del petrolio da cui sono stati ricavati.

Le raffinerie hanno un controllo abbastanza preciso sui propri costi

operativi, ma non ne hanno molto sui prezzi di vendita del petrolio

e su quelli che avranno la benzina e gli altri distillati. Nel mercato

dei prodotti petroliferi, è cosa normale fare contratti posticipati

nel tempo: ad esempio, a un mese, tre mesi o sei mesi.

I problemi sorgono quando si deve abbinare il prezzo del petrolio acquistato a quello della benzina, del gasolio, eccetera, da mettere sul mercato, soprattutto quando gli orizzonti temporanei di quello che compri e quello che vendi non combaciano: ad esempio, petrolio a un mese con benzina a tre mesi. Le raffinerie tendono a fissare un margine di raffinazione di pochi dollari per barile, di solito intorno ai 10 dollari, ma non è la stessa cosa guadagnare 10 dollari se il prezzo medio del barile è a 40 dollari o è a 140; piccole fluttuazioni del prezzo del petrolio, quando è alto, può far precipitare facilmente il margine di raffinazione fino a renderlo negativo, come è avvenuto nel 2009 o come
è successo ad alcune compagnie petrolifere nel 2010
.

Quando le raffinerie appartengono a un’industria petrolifera, non è un problema; me negli ultimi decenni le industrie petrolifere hanno esternalizzato questa parte del commercio che godeva di margini sempre più scarsi, migliorando così il proprio rendimento ma fragilizzando ancora di più il mercato petrolifero. A renderlo ancora più pesante è il fatto che le raffinerie hanno anche il problema di un eccesso di benzina. In effetti, nella raffinazione del petrolio si può variare un po’ la quantità delle due grandi categorie di prodotti della raffinazione, (benzina e distillati), ma non tanto quanto si vorrebbe, perché la quantità di petrolio che finisce per diventare benzina oscilla tra la metà e due terzi nei processi di raffinazione più diffusi.

Tuttavia, Stati Uniti a parte, nel resto del mondo si è verificato il passaggio dell’industria automobilistica privata verso il diesel,

diminuendo così il consumo di benzina. D’altra parte, la benzina è

utilizzata praticamente in esclusiva dall’industria automobilistica

privata, il settore che più ha ridotto il consumo durante la crisi.

Per questo, le raffinerie devono equilibrare la vendita di un prodotto

che ha una domanda in calo (la benzina, che forma più della metà della

sua produzione) con quella di un insieme di prodotti (tra cui c’è

il diesel) che hanno una domanda in aumento. Non possono alzare

molto il margine perché annegherebbero nella benzina senza riuscire

a venderla, e neppure lo possono abbassare, perché si rovinerebbero.

Conseguenza: le raffinerie non trovano un equilibrio redditizio, e cominciano ad avere problemi o a chiudere a tempo indeterminato. Negli USA osservano attoniti che, malgrado la crisi e la flessione della domanda di benzina, il prezzo non cessa di salire

per colpa della chiusura delle raffinerie. Almeno cinque raffinerie

della costa est degli Stati Uniti hanno chiuso nelle ultime settimane, e ciò rende l’idea di quanto si stia aggravando la situazione.

Il problema sta diventando sistemico anche in Europa: settanta (sì, 70!) raffinerie in tutta Europa hanno chiuso o chiuderanno presto; nell’articolo attribuiscono la causa

all’”embargo iraniano”, anche se sanno che non entrerà

in vigore fino a giugno e per il quale, come dice il nostro ministro,

potremmo trovare il petrolio da altri fornitori. Tutto questo ci mostra

in modo sempre più evidente la difficoltà di accettare una realtà

più complessa e spiacevole. E non si pensate che siano solo le piccole

raffinerie a fermarsi: Petroplus, la più grande in Europa, forniva

il 4,4 percento dei prodotti consumati nel Vecchio Continente, le cui difficoltà sono

state di recente sottolineate in Crisis Energética, alla fine ha

chiuso i battenti.

Non c’è dubbio che stiamo vivendo

un momento di importanza storica. Sembra sempre più probabile

che si realizzi la previsione fatta nella

relazione dei Lloyd’s nel 2010 che ipotizzava problemi di fornitura

per il 2013. Il resto

del mondo, come accreditano le notizie linkate all’inizio del post,

c’è già arrivato. Manchiamo solo noi. Come verranno interpretetate

sui media queste difficoltà? Quante guerre per le risorse energetiche

potranno essere giustificate dalle code ai distributori di benzina?

Nota finale: in Italia c’è stato

un blocco di più giorni dei camionisti, degli agricoltori e dei

pescatori per protesta contro gli alti prezzi del carburante. È stato molto intenso nel

sud, dove è durato quasi due settimane e ha causato gravi problemi, anche per la somministrazione degli alimenti:

un nuovo promemoria della fragilità

del nostro sistema, e del

fatto che i problemi gravi sono più vicini di quanto si possa pensare.

Ma non ne siete venuti a conoscenza, perché queste notizie conviene

tacerle, non sia che qui la gente si metta strane idee in testa. È il picco dell’informazione.

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Fonte: El pico del diésel

09.02.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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