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La Redazione

 

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IL PETROLIO CHE ARRIVA DAL FREDDO

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A cura di supervice
Il 8 Marzo 2012
90 Views

DI HUMBERTO MARQUEZ
IPS

Dalle ardenti sabbie dell’Arabia, dal torrido delta del Niger o dalle calde pianure dell’Orinoco i produttori di petrolio della cintura tropicale hanno spinto, grazie agli alti prezzi, i rivali che vengono dal freddo.

Il gruppo anglo-olandese Shell ha ricevuto il semaforo verde dell’Agenzia ambientale statunitense per la perforazione in cerca del petrolio fuori dalle coste dell’Alaska a partire dal luglio 2012, un progetto in cui ha impegnato 3,5 miliardi di dollari.
Da parte sua, il gigantesco consorzio

statunitense Exxon ha firmato con il russo Rosneft un accordo per investire

3,2 miliardi di dollari nella ricerca di idrocarburi sotto il mare di

Kara, nel nordovest della Russia. L’alleanza tra un’altra azienda russa,

TNK, e British Petroleum è rimasta a leccarsi le ferite, avendo perso

questa possibilità.

Sotto l’oceano Artico si stimano

riserve di greggio per 100 miliardi di barili (pari a 159 litri), tanto

quanto quelle dell’Iraq o del Kuwait, più 44 miliardi di barili di

gas naturale liquido e 80 miliardi di piedi cubi (TCF) di gas“,

ha ricordato a IPS l’esperto in geopolitica e temi petroliferi Kenneth

Ramírez, dell’Università Centrale del Venezuela. Anche l’isola danese

della Groenlandia ha fissato gare d’appalto per la prospezione al

largo delle proprie coste ed Exxon e la connazionale Chevron sono state

le prime a mettersi in lista.

Il Canada, da parte sua, può

aggiungere alla parte

di petrolio dell’Artico

le sabbie delle sue province occidentali, potendo così diventare una

potenza energetica, col vantaggio di essere a fianco del maggiore mercato

mondiale, quello statunitense.

Sotto l’Artico è presente tra il

13 e 20 per cento del petrolio da scoprire in tutto il pianeta, in base

ai dati del Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS) e una buona

parte si trova a basse profondità, incrementando le prospettive di

un fruttuoso ritorno se dovessero rimanere costanti l’ascesa della

domanda e dei prezzi, pari oggi a 100 o più dollari al barile.

La crescita economica di Cina

e India, ma soprattutto la politica dei paesi OPEC, hanno spianato la

strada a produttori come la Russia, dandogli modo di sfruttare un maggior

numero di giacimenti, entrando in concorrenza con il petrolio del tropico“,

ha segnalato a IPS il capo della Sezione delle Relazioni Internazionali

nell’Università Simón Bolívar di Caracas, Víctor Mijares.

L’OPEC (formata da Angola, Arabia Saudita,

Algeria, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria,

Qatar e Venezuela) produce circa 30 degli 88 milioni di barili di petrolio

estratti giornalmente richiesti dal pianeta e cerca di stabilizzare

i prezzi della risorsa con tagli di produzione quando questi valori

vengono minacciati dai picchi di offerta.

La ricerca di petrolio sotto l’Artico

rinnova le scommesse del commercio mondiale dell’energia e dell’economia

globale per i combustibili fossili, accompagna il gioco strategico delle

potenze tradizionali e di quelle emergenti e mostra la persistenza del

rischio ambientale associato all’industria degli idrocarburi.

Al contrario di chi suggerisce che

la disponibilità di petrolio stia

declinando inesorabilmente,

Leonardo Maugeri, dirigente dell’impresa energetica italiana ENI e autore

del libro “L’età del petrolio”, ha indicato che il

livello attuale delle riserve di greggio può essere incrementato in

modo sostanziale coi nuovi ritrovamenti e grazie a tecnologie che permettano

un maggiore recupero dei giacimenti.

Anche se le riserve provate di greggio

raggiungono oggi 1,5 miliardi di barili – consentendo una fornitura

energetica di 40 o 50 anni -, in realtà si lavora con l’idea

di recuperare solo un terzo delle risorse in situ, ma le tecnologie

permetteranno di incrementare fino al 50 per cento la percentuale di

recupero verso il 2030, secondo Maugeri.

Siccome ogni anno vengono trovati nuovi

giacimenti, Maugeri stima che il mondo avrà a disposizione più di

quattro miliardi di barili di petrolio ricuperabile dopo il 2030, concludendo

che ci sarà “una quantità

più che sufficiente per tutto il XXI secolo“. Ad esempio,

il Brasile potrebbe aggiungere tra i 50 e gli 80 miliardi di barili

ai 14 precedenti grazie ai ritrovamenti confermati nella cosiddetta capa presal a gran profondità nell’oceano Atlantico.

L’Artico è un esempio calzante,

perché il suo greggio e il gas non erano sfruttabili a causa delle

dure condizioni ambientali ma, grazie al disgelo alimentato dal cambiamento

climatico, agli alti prezzi dell’energia e alle nuove tecnologie, si

stima che possa contenere idrocarburi per l’equivalente di 400 miliardi

di barili di petrolio, un volume dieci volte maggiore di tutto il crudo

estratto sinora nel Mare dal Nord.

La verità

è che c’è molto interesse nel continuare a estrarre petrolio e per

questo motivo le energie alternative non sono in una situazione favorevole,

perché il petrolio continua a essere abbondante, efficiente e a buon

mercato e perché, nonostante gli attuali prezzi,

è l’energia adatta per la gran parte delle società“, sostenne

Mijares.

Il disgelo dell’Artico e lo sfruttamento

del suo petrolio aprono inoltre nuove rotte di navigazione, “con

una Russia avida di ritornare a essere una grande potenza mondiale con

il controllo di giacimenti, delle rotte e degli approvvigionamenti,

a patto di avvantaggiarsi con la tecnologia che viene fornito dall’Occidente“,

ha ricordato Ramírez.

Per Mijares, “nell’era dell’oggi

scomparsa Unione Sovietica, il potere russo si manifestava nella forza

nucleare e nell’Armata Rossa“. Invece, “oggi questo

paese si appoggia alla propria capacità

energetica per continuare a essere un attore globale“, ha precisato.

Da parte loro, gli Stati Uniti sarebbero

soddisfatti dalla diversificazione delle fonti degli idrocarburi, dato

che ciò gli consentirebbe di dipendere meno dalle forniture del

Medio Oriente e di esercitare una maggiore pressione in politica interna

su fornitori come l’Arabia Saudita.

Queste fonti concordano nell’osservare

l’emergenza del Canada come potenza energetica e, quindi, come attore

globale. È uscita dal Protocollo di Kyoto in materia ambientale “e

ha incrementato le spese militari per affrontare la nuova presenza di

rivali nell’Artico“.

Intanto, si attendono le variabili

ambientali. Alcuni scienziati, come Peter Wadhams dell’Istituto di Ricerche

Polari dell’Università di Cambridge, hanno rimarcato la difficoltà,

se non l’impossibilità, di scongiurare una catastrofe provocata dagli

spargimenti di petrolio nell’Artico come quello sofferta dal Golfo del Messico nel 2010: “Uno spargimento di petrolio

sotto il ghiaccio sarebbe ancora peggiore che in mare aperto. Il greggio

verrebbe incapsulato, viaggerebbe per l’Artico e si libererebbe con

la primavera a grande distanza dal luogo originario dell’incidente.

La parola adatta per una tale eventualità

è ‘terribile’”.

**********************************************

Fonte: El petróleo que llega del frío

28.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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