IL PATTO FAUSTIANO CHE GLI ECONOMISTI MODERNI NON CITANO MAI

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DI GARY PETERS
Our Finite World

Storicamente le persone hanno mutato

i propri sistemi di credo in vario modo. I greci e romani credevano

in molti dèi e in molte dee, e gli attribuirono ogni sorta di potere.

Poi sono venute le grandi religioni monoteistiche e le persone iniziarono

a credere in solo uno dio, anche se lo hanno venerato con nomi differenti.Le credenze sono cambiate anche di

recente, e le persone adorano solo una sezione di un dio, la sua mano

invisibile. Grazie ad Adam Smith e ai suoi seguaci, soprattutto i contemporanei

teologi economici neoclassici, abbiamo assistito a un notevole aumento

della ricchezza nel mondo e a numeri che erano difficile da immaginare

prima della rivoluzione industriale, con il passaggio dalla forza muscolare

quasi sempre umana e animale verso i combustibili fossili ad alta energia,

petrolio, e gas naturale. È anche difficile immaginare che l’umanità

possa retrocedere un giorno o l’altro in un’altra epoca con un’energia

più scarsa e più costosa, ma è una possibilità che non può essere

esclusa dal nostro pensiero.

Il patto faustiano

Che dire del patto faustiano? Rimane

ben nascosto alla vista perché la sua diffusione espressa dai

vati dell’economia moderna ci costringerebbe a ripensare al modo in

cui viviamo e perché viviamo in questo modo, e anche a quello che abbiamo

intenzione di lasciare alle generazioni future. Il patto faustiano è

qualcosa di simile: grazie alla scoperta e allo sfruttamento dei combustibili

fossili, oggi gli esseri umani (in realtà solo una piccola minoranza)

possono vivere più riccamente di quanto avrebbero sognato le regine

e i re del passato.

Inoltre, abbiamo usato parte delle

risorse limitate per aumentare la quantità di cibo e per espandere

la popolazione, che fornisce al sistema economico più lavoratori e

più consumatori, data la necessità di avere un’economia in crescita

per seguire il modello economico corrente. La popolazione del mondo

è aumentata da 1,6 miliardi nel 1900 a 7 miliardi oggi, e noi ne aggiungiamo

circa 80 milioni ogni anno che passa. Le creature umane sono divenute

rapidamente la megafauna più numerosa sul pianeta.

L’altro lato del patto, quello nascosto

dalla vista e che non viene mai menzionato nei testi economici, è

questo: in un tempo indeterminato nel futuro che sembra avvicinarsi

sempre più, questo sistema economico alimentato dal consumo di energia

e di altre risorse a tassi sempre in aumento e che emette prodotti di

scarto a ritmi che non possono essere assorbiti dagli ecosistemi della

Terra, diventerà insostenibile. Le cose sono abbastanza semplici: la

società industriale per come la conosciamo non può proseguire per

sempre, neppure molto a lungo.

Il nostro sistema economico deve sussistere

all’interno dei limiti della Terra, e così generazioni su generazioni

hanno venduto la propria anima al diavolo per una ricchezza provvisoria,

lasciando che il Diavolo riceva la parte di sua competenza quando il

sistema cadrà sotto il proprio peso e i quattro cavalieri dell’Apocalisse

cavalcheranno di nuovo sui paesaggi planetari. Non accadrà domani,

né questa settimana o quest’anno, ma il nostro sistema economico

è in declino.

Per molti, se non la gran parte, degli

abitanti della Terra la vita può diventare più difficoltosa,

i redditi si abbasseranno e l’incertezza diverrà maggiore. Non sarà

la fine mondo, come alcuni hanno previsto per il 2012, ma probabilmente

le generazioni di futuro non vivranno come fanno quelle attuali. Piuttosto

che ammettere che il sistema odierno non può essere sostenuto, i ricchi

e i potenti faranno tutto possibile per mantenere lo status

quo.

Gli errori della crescita economica

a lungo termine

La crescita economica rimane un mantra

per politici e dirigenti d’azienda, inclusi i banksters che

ci hanno portato nella Grande Recessione. Anche il Presidente Obama,

come quelli prima di lui, parlano regolarmente della “crescita

dell’economia“. Ma niente nel mondo reale sembra suggerire

che la crescita economica possa continuare all’infinito. E non ci

sono neppure molte testimonianze sul fatto che la crescita economica

sia stata una cosa positiva sia per il pianeta che per i miliardi dei

suoi abitanti. Sembra più uno schema Ponzi colossale.

Uno dei sostenitori più ottimisti

dell’economia moderna e delle sue meraviglie è Tim Harford che scrisse,

nel libro “La Logica della Vita”, “Più

siamo a vivere nel mondo, con le nostre vite segnate dalla logica, tanto

maggiori saranno le opportunità di assistere ai prossimi milioni di

anni.” Questa potrebbe essere la cosa più stupida che un economista

abbia mai scritto e non dimostra la benché minima comprensione del

pianeta in cui viviamo. L’Homo

Sapiens esiste da solo 200.000 anni, e altri 800.000 anni ai ritmi attuali

sembrano improponibili. Se la nostra popolazione dovesse continuare

a crescere solamente a un tasso annuo dell’1,0 per cento, leggermente

meno della percentuale di crescita attuale, il numero aumenterebbe di

115 trilioni solo nei prossimi mille anni. Si può giocare con i tassi

di crescita quanto si vuole, ma non si può tralasciare l’evidenza

che l’aumento della popolazione umana deve cessare. Solo gli economisti

sembrano non capire che anche la crescita economica debba fermarsi.

Fra gli alti dignitari della teologia

economica moderna, Paul Krugman è tra quelli che più da vicino

potrebbe ammettere che la crescita sul nostro pianeta non può proseguire

per sempre. In un articolo

sul New York Times (26

dicembre 2010) scrisse che “i mercati delle

commodity ci stanno dicendo che stiamo vivendo in un mondo finito.”

Proseguì menzionando la possibilità del picco della produzione petrolifera

e persino del cambiamento climatico, che stanno minacciando il sistema

economico moderno, ma poi, tornando alla vecchia fede, scrisse, “Ma

ciò non porterà alla fine della crescita economica.” Ammise

che è probabile che il nostro sistema di vita debba sottostare a un

cambiamento, ma non ha dato indizi su dove e come possa accadere o dove

tutto questo ci potrebbe portare.

La realtà economica e la teologia

economica non vanno molto d’accordo. Nel 1988 Edward Abbey scrisse,

nel suo libro One

Life at a Time, Please:

Dovrebbe essere chiaro

sin d’ora a tutti che la cruda crescita numerica non risolverà

i nostri problemi di disoccupazione, di welfare, del crimine, del traffico,

dello sporco, del rumore, dello squallore, dell’inquinamento di aria,

della corruzione della nostra politica, dello svilimento del sistema

scolastico (appena degno del nome ‘’istruzione’) e della perdita generale

del controllo popolare sul processo politico, dove i soldi, e non le

persone, sono i fattori determinanti.

Oggi, 24 anni dopo, praticamente ogni

parola delle affermazioni di Abbey è più vera che mai, e ancora i

politici e i teologi economici continuano a predicare che, se solo potessimo

far crescere l’economia (locale, statale, nazionale e mondiale), tutto

tornerebbe a posto. Non occorre analizzare troppo in profondità per

capire quanto si sbaglino e che prezzo dovremmo pagare quando il Diavolo

verrà a cercare la nostra anima collettiva.

Fra gli economisti, Herman Daly è

uno dei pochi che ha tentato di svelare il patto faustiano per quello

che è realmente, come si può ricavare da questa sua frase

di un articolo del 26 dicembre, Rio+20

Needs to Address the Downsides of Growth:

Anche se le economie

stanno ancora crescendo, ponendo sempre la crescita in prima fila, non

si tratta più di crescita economica, almeno nei paesi ricchi, ma

è diventata una crescita antieconomica. In altre parole, i costi sociali

e ambientali degli aumenti di produzione stanno crescendo più

velocemente dei benefici, aumentando le

“negatività” più rapidamente della ricchezza, rendendoci più

poveri, non più ricchi. Nascondiamo a noi stessi la natura antieconomica

della crescita con una contabilità

nazionale difettosa, perché la crescita

è la nostra panacea, il nostro vero idolo, e abbiamo una grande paura

dell’idea di un’economia stazionaria. Le negatività

in aumento sono evidenti nell’esplosione del debito finanziario, nella

perdita di biodiversità e nella distruzione della gestione della natura,

principalmente la regolamentazione sul clima.

Da geografo, cerco segnali nel mio

scenario culturale e locale che paiono malauguranti, dalle buche nelle

strade ai cartelli delle vendite e degli affitti che sono disseminati

per le nostre città come le foglie dopo un temporale. La nostra

è una piccola città con circa 30.000 abitanti, e il nostro rappresentante,

nel rapporto di fine anno, ha indicato che abbiamo bisogno di circa

80 milioni di dollari per riparare le nostre infrastrutture, un dato

fuori scala rispetto alla nostra dimensione fisica e residenziale. Sono

quasi 2.700 dollari per ogni uomo, donna o bambino. Ha anche sottolineato

che la nostra città ha un organico inferiore al necessario di poliziotti,

pompieri e personale per le emergenze. Le buche diventeranno ancora

più profonde nel 2012.

Anche se questi e altri problemi sono

distribuiti diffusamente in tutta la nazione, ritengo che il problema

delle infrastrutture sia esemplare. Gli Stati Uniti stanno diventando

una “cultura delle buche“, dove le buche sono il simbolo

della nostra incapacità di riuscire a stare dietro a tutto (vedi un

recente articolo

del New York Times). Le altre nazioni sono nelle stesse condizioni.

Nonostante il rullio continuato dell’economia

mondiale, sempre più persone si stanno ponendo delle domande e

si sentono sempre più rifiutate dal sistema da cui dipendono da

decenni, perché pensavano che sarebbe potuto sussistere per sempre.

Non è così, ma ciò non significa che la vita non possa andare avanti,

significa invece che dobbiamo muoverci verso nuove direzioni, ma non

lo faremo fino a che non ci renderemo conto di ciò che rende infelici

così tante persone. Abbiamo bisogno di comprendere che, invece preferire

le cose più grandi, dovremmo decidere di preferire il meglio al più

grande, la qualità sulla quantità, più o meno.

Due esempi illustrano come l’economia

mondiale abbia superato la capacità della Terra di fornire una

maggiore quantità di input e la sua abilità di assorbire e purificare

gli sprechi eccessivi. Il petrolio è un buon esempio; le emissioni

di carbone e il riscaldamento globale sono un altro. Sono stati menzionati

entrambi da Krugman, ma non ha approfondito il modo in cui affrontare

i due problemi, né si è pronunciato su come la crescita economica

possa continuare senza confrontarsi con questi aspetti, con la carenza

di materie prime e con i problemi dell’inquinamento.

Il primo esempio dei limiti

alla crescita economica: il petrolio

Dato che la maggior parte di americani

ha una conoscenza di storia che non supera un mese o due, non c’è

da sorprendersi che non possano concepire un periodo senza macchine,

benzina (preferibilmente a poco prezzo) e senza una tipologia abitativa

che richieda l’uso di entrambi, ossia il nostro attuale panorama suburbano.

Per molti anni gli Stati Uniti sono stati il maggiore produttore di

petrolio al mondo e il più grande esportatore. Ma nel 1970 le nostre

estrazioni di petrolio sono arrivate al picco e poi è iniziato il calo.

Siamo diventati importatori di petrolio e oggi importiamo più petrolio

rispetto a qualsiasi altra nazione, anche se ne produciamo ancora molto

e le quantità stanno aumentando negli ultimi anni.

Dal 2005 l’estrazione mondiale di petrolio

è rimasta quasi piatta, nonostante i prezzi siano saliti anche fino

a 147 dollari al barile. Anche se non possiamo sapere in questo momento

se il mondo ha raggiunto il suo picco di produzione petrolifera, sappiamo

che arriverà. Intanto, sappiamo che i campi di petrolio tradizionali

sono sempre più difficili da trovare, è più complicato arrivarci

e saranno più costosi da sviluppare. Fonti alternative di petrolio,

come le sabbie di catrame nell’Athabascan, sono abbondanti, ma anche

costose e ambientalmente indesiderabili. I sostituti della benzina,

come il bioetanolo, non solo sono insensati da un punto di vista ambientale,

ma stanno anche distogliendo il cibo dalle creature umane verso i SUV,

incrementando i prezzi degli alimenti.

La Figura 1 sottostante, dal blog

Do The Math del matematico Tom Murphy, in un post intitolato The Future Needs and Attitude Adjustment, ci fornisce una prospettiva storica della produzione del petrolio e delle società industriali.

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Non è necessario avere una conoscenza

profonda della storia o di un futuro imprevedibile per comprendere questo

grafico (a meno che, ovviamente, tu non sia un economista). Come la

stessa Terra, la fornitura di petrolio è un dato finito, anche se non

sappiamo ancora quanta ce ne sia esattamente, dove sia o quanta ne possiamo

recuperare. Anche se andiamo a modificare questa curva, discuterne la

forma e rosicchiarne i contorni, il fatto essenziale è sempre lo stesso:

l’estrazione mondiale di petrolio arriverà a un picco, probabilmente

più prima che dopo. Dopo di che l’estrazione calerà, anche se non

sappiamo con che tipo di curva. Così come l’Età della Pietra non

finì per una mancanza di pietre, l’età del petrolio non finirà a

causa della mancanza di petrolio. Piuttosto finirà perché il petrolio

che è rimasto a un certo punto costerà più di quello che vale; ci

vorrà più energia per estrarlo di quanto ne potremo ottenere.

Sapendolo, un approccio prudente sarebbe

quello di svincolarsi il più presto possibile da questa fonte di energia,

per curare la nostra dipendenza prima che sia troppo tardi. Ma viviamo

in uno dei periodi più competitivi della storia. Non solo gli americani

non vogliono essere separati dalle loro auto, ma milioni di cinesi,

indiani e di altre popolazioni si stanno accodando per fare il primo

assaggio della “libertà della strada“. Questa è una

delle ragioni per cui, nonostante un’economia mondiale in crisi e un

calo negli ultimi anni del consumo di petrolio negli Stati Uniti, il

prezzo del greggio è stato superiore ai 100 dollari al barile per la

gran parte del 2011 (98,83 dollari il 31 dicembre).

Secondo esempio dei limiti alla

crescita economica: le emissioni di carbone e il riscaldamento globale

Bruciare i combustibili fossili per

fornire energia ai nostri sistemi economici dà luogo a una combinazione

di produzioni o di scarti che non possono essere rimossi o neutralizzati

abbastanza rapidamente dai nostri oceani e dall’atmosfera. Ciò provoca

un incremento dei gas e dei particolari che si aggregano, modificando

la chimica dell’oceano e della nostra atmosfera. Fra i gas c’è il

biossido di carbonio, un gas a effetto serra che sappiamo avere un impatto

sul riscaldamento dell’atmosfera terrestre. Aggiungere altro biossido

di carbonio all’atmosfera è come alzare la temperatura del nostro

condizionatore.

Noi sappiamo che il contenuto di biossido

di carbonio nell’atmosfera è salito da circa 280 parti per milione

nel 1850 a 390 parti per milione nel 2011, un aumento di più del 39

per cento. Anche se non abbiamo scoperto come misurare il contenuto

atmosferico di biossido di carbone prima della metà degli anni ’50,

abbiamo dati accurati di ciò che è avvenuto da allora, come mostrato

in Figura 2 sotto (da Wikipedia):

È difficile non vedere la tendenza

al rialzo del contenuto di biossido di carbonio dell’atmosfera dal 1958.

Sono pochi gli scienziati che identificano la causa di questo trend

come non dovuta all’uomo e al nostro consumo di combustibili fossili.

La Figura 3 qui sotto ci mostra quanto biossido di carbonio viene aggiunto dagli uomini ogni anno bruciando i combustioni fossili, evidenziando un record nuovo delle emissioni nel 2010 (fonte):

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Inoltre ci mostra chi siano i maggiori

apportatori, Cina e Stati Uniti. Il fallimento degli USA nel guidare

il mondo verso un sistema economico meno dipendente dai combustibili

fossili è monumentale. I modelli dimostrano che l’aumento delle emissioni

di biossido di carbonio può portare al riscaldamento globale.

Conclusioni

Anche se le cause e gli effetti possono

essere difficili da collegare, lo scoppio delle proteste di tutto il

mondo nel 2011 non sembra casuale. Dalla Primavera Araba, alla Grecia

e agli altri paesi europei, dal movimento Occupy Wall Street

negli Stati Uniti alle dimostrazioni in Russia, la gente è scesa in

strada per protestare contro i governi, le grandi aziende e le politiche

che stanno colpendo negativamente le loro vite. Nel 2011 la rivista TIME ha scelto

“Il Manifestante” come

personalità dell’anno.

Ci sono varie ragioni che rendono le
persone sempre più arrabbiate e agitate. Gli alti prezzi del petrolio e le condizioni meteorologiche sempre più estreme stanno facendo salire i prezzi degli alimenti e gli alti prezzi della benzina sono come una tassa per i consumatori, che rallenta le economie moderne. Inoltre, negli Stati Uniti è cresciuta la consapevolezza che la maggior parte dei guadagni della crescita economica stanno andando all’1 per cento (o anche meno) più ricco della popolazione. La Figura 4 qui sotto da Mother Jones (“
It’s the Inequality, Stupid” di Dave Gilson e Carolyn Perot, marzo/aprile 2011) ci dice tutto quello che oggi bisogna sapere sulla disuguaglianza negli Stati Uniti.

La Figura 5 sottostante, dal Congressional Budget Office, ci mostra come le cose siano cambiate per le varie fasce di reddito negli ultimi decenni. I cittadini che non fanno parte dell’1% più ricco ne stanno uscendo davvero peggio rispetto ai primi, che se ne rendano conto o meno.

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Anche se le nazioni continuano a sostenere

le banche e la Fed gioca con trilioni di dollari, il sentire

comune segnala una diffusione della “cultura delle buche

o una sua equivalente, che i benefici della crescita economica non vengono

divisi equamente e che molte comunità non possono mantenere in funzione

le proprie infrastrutture. La frustrazione è molto estesa, e sembra

essere collegata al fatto che la nostra economia industriale moderna

si stia frantumando. Ci potrebbe essere un’analogia con le prime chiazze

d’olio lasciate dalla nostra auto, che ci suggeriscono che qualcosa

non vada per il verso giusto.

A meno che l’umanità non riconosca

il patto che abbiamo fatto col Diavolo, e al più presto, dovremmo accollarci,

o lo faranno i posteri, di quanto dovuto al Diavolo. Non possiamo curare

la nostra attuale dipendenza dai combustibili fossili e dalla crescita

economica finché non ammettiamo di averla. Forse il consiglio migliore

che io ho visto ultimamente è

arrivato da John Greer,

che ha scritto:

Proprio ora, quando

i limiti alla crescita si stringono attorno a noi come un cappio e un’economia

virata alla perpetua espansione fa i capricci e si sbriciola negli spasmi

del declino, una delle cose di cui c’è più bisogno

è che venga trovata la volontà, in un periodo di oscurità sempre

più fitta, di trovare quelle luci che ancora esistono, e di accenderle.

C’è qualcuno che sta ascoltando?

Sicuramente il Diavolo!

**********************************************

Fonte: The Faustian Bargain that Modern Economists Never Mention

09.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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