DI JAMES CARROLL
Boston Globe
Le rivoluzioni per le strade arabe, indipendentemente dai diversi risultati, hanno già cambiato la concezione generale della geopolitica mondiale: l’idea che centinaia di milioni di persone povere siano pronte ad accettare senza lamentarsi il posto nell’anticamera dell’inferno al quale sono destinate. Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno dovuto affrontare la radicale obsolescenza del concetto, radicato durante la guerra fredda, della preferenza per la ‘stabilita`’ grazie a un uomo forte rispetto ad alcuni principi fondamentali di giustizia. Nel 1797, quando il popolo iraniano rovesciava la Shah, l’America ebbe l’opportunità di mettere in discussione le sue convinzioni sulla regione, ma la dottrina Carter le ha militarizzate, minacciando la guerra per il petrolio. Nel 1989, quando il potere popolare pose fine all’Impero Sovietico, Washington dichiarò il proprio impero e rimpiazzò il diavolo Comunista con uno Islamico. Ma se il diavolo avesse le sue ragioni?L’ambivalenza dell’amministrazione Obama sulle rivolte popolari arabe deriva, più che da incertezze di tipo politico, dalla forza di un paradigma vecchio mezzo-secolo: il principio fondamentale secondo il quale, in medio oriente, il petrolio è più importante delle vite umane. Questo paradigma si è adesso spezzato e Washington è punita dalla chiara evidenza che le sue politiche erano dirette a seguire i propri interessi, brutali e addirittura immorali. E` impossibile accorgersi di un tale sviluppo senza domandarsi: cosa succederà adesso? E porsi questa domanda significa automaticamente spostare lo sguardo verso il Pakistan.
Gli Stati Uniti si preoccupano, come sempre, più per la potente élite pakistana che per le condizioni della popolazione. Ciò è strategicamente sbagliato sia nei confronti di una nazione così centrale sia nei confronti delle altre. Per le comuni ragioni della “realpolitik”, Washington ha accolto un dittatore dopo l’altro; ha ignorato la loro corruzione; ha accettato la loro complicità morale nella più pericolosa proliferazione di petrolio del pianeta; ha chiuso un occhio davanti al doppio gioco dei militari pachistani in Afghanistan. Per tutto il tempo le stesse pressioni che sono state esercitate su un’altra mezza dozzina di stati arabi sono state esercitate anche in Pakistan.
Il Pakistan e` un Paese con 170 milioni di persone, il 60% delle quali vive con meno di 2$ al giorno. Circa lo stesso numero di persone è analfabeta. Negli ultimi tre anni la disoccupazione si è quasi triplicata fino ad arrivare al 14%, con lo stesso innalzamento dei prezzi dei beni primari che faceva scattare il malcontento ovunque. Inoltre il Pakistan ha dovuto affrontare le alluvioni della scorsa estate che hanno colpito direttamente più di 20 milioni di persone e quindi devastato l’infrastruttura agricola del paese. In autunno il World Food Program avvertiva che il 70 per cento della popolazione lamentava un inadeguato accesso al cibo. Come se le “normali” pressioni dei disastri naturali e le iniquità economiche non fossero abbastanza destabilizzanti, un’imponente insurrezione islamista, basata sul primato di lealtà tribali, minacciava sempre di più il governo di Islamabad. All’inizio di questo mese, con il crescere delle proteste a ovest, il primo ministro Pakistano ha mandato quello che era diventato a quel punto un necessario segnale di riforma sciogliendo il Consiglio dei Ministri.
Tuttavia la situazione pachistana è unica: più Islamabad si è sentita instabile, più è stata stimolata la fantasia della produttiva America per le armi nucleari come fonte di trascendente potere su tutti i campi. Da quando Obama ha fatto il suo storico discorso a Praga due anni fa, il Pakistan ha aggiunto arsenale nucleare al suo febbricitante pacchetto, passando da 70 armi a, probabilmente, più di 100. La ragionevole conclusione è che il Pakistan si senta minacciato dall’India, che è impegnata nella sua stessa crescita e che può contare sull’ampiamente pubblicizzato appoggio degli Stati Uniti- incluso un recente furtivo regalo di una dozzina di pregiati F-35 da caccia. Niente dimostra meglio la chiara obsolescenza della politica statunitense della corsa alle armi sud asiatica, autodistruttiva e indirizzata al guadagno. Un equilibrio basato sul terrore non è un equilibrio. La scorsa settimana il Pakistan ha testato la capacità nucleare del missile da crociera Babur, un colpo diretto sia a Washington sia a Nuova Delhi.
Parlando della scorsa settimana, cosa chiedeva quella frenetica folla di pachistani per le strade se non il linciaggio di Raymond Davis, agente della CIA sotto processo per omicidio a Lahore per l’uccisione di due pachistani avvenuta in gennaio? Il fatto che Davis sia legato alla CIA dei devastanti e distruttivi attacchi di droni è abbastanza da far imbestialire un intero popolo, incatenando la sua nazione, ancora una volta, dalla parte sbagliata della storia.
Titolo originale: “Is Pakistan Next In Line?”
Fonte: http://www.boston.com
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03.03.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di BLOUD.IT