IL MITO DEL MICROCREDITO

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DI ALEXANDER COCKBURN
Counterpunch

Un premio Nobel per il neoliberalismo?

Il comitato che diede il premio Nobel per la pace ad Henry Kissinger, quest’anno lo ha consegnato a Mohammed Younus l’economista che ha introdotto, insieme alla Grameen Bank, la parola “microcredito” nel suo paese natale, il Bangladesh.
E’ sicuramente una sorta di progresso. Ma d’altro canto, ogni giudizio che lega la parola “pace” con Henry Kissinger non è poi tanto più priva di significato rispetto alla nozione in base alla quale il microcredito può aiutare, per usare il linguaggio usato dal comitato del premio Nobel, “una larga popolazione a trovare i mezzi per emergere dalla povertà”.

Dagli inizi degli anni ‘80 fino a tutti gli anni ‘90, nei paesi sviluppati la nozione di “microcredito” divenne una di quelle paroline magiche fungibili, immerse nelle migliaia di rapporti annuali delle varie Fondazioni e ONG, al pari di “sostenibile”. Che cosa potrebbe essere più virtuoso in termini di una prudente filantropia che dare veri piccoli prestiti a donne veramente povere?
Microcrediti suona come un salutare aiuto, ben distinto dal sordido mondo del Macro credito (sebbene non produca mega tassi di interesse), come le bollicine della Budweiser.
Il problema è che il microcredito non produce alcuna macro-differenza. E’ fuori di dubbio che i microcrediti hanno aiutato qualche povera donna. Ma il loro modo di aiutare ha registrato una sconfitta. Sin dai primi anni ’70, c’erano enormi piani in corso per cambiare l’intero rapporto esistente tra paesi sviluppati e Terzo Mondo, per accelerare le economie del terzo mondo verso standard di vita decenti e che avrebbero dovuto interessare la maggior parte della popolazione. Economisti radicali hanno duramente combattuto per presentare piani per un nuovo Ordine Economico Mondiale all’interno delle Nazioni unite. Tutto è stato buttato dalla finestra ed eccoci qui, trent’anni dopo, con una ovazione per i microcrediti.

I microcrediti sono micro-bende per una ferita in cui – per prendere l’esempio dell’India – ben oltre 100.000 coltivatori, incluse un largo numero di donne , si sono uccisi perché i loro governi statali e federali, insieme alle più grandi istituzioni internazionali, hanno promosso le selvagge priorità del neoliberalismo.

L’economista Robert Pollin, quando gli è stato chiesto che cosa pensasse della consegna del premio ad Younus, ha concisamente risposto: “Il Bangladesh e la Bolivia sono i due paesi in cui è stato riconosciuto il più ampio successo dello strumento del microcredito. Loro però continuano a rimanere due dei paesi più poveri nel mondo”

Nelle tabelle statistiche riguardanti lo sviluppo umano il Bangladesh è posizionato alla 139 posizione, peggio dell’India, con il 49,8% di una popolazione di 150 milioni di persone che è sotto il livello ufficiale di povertà.
Nella patria della Greeman Bank circa l’80% delle persone vivono con meno di 2$ al giorno.
Uno studio condotto dalle UN nei primi anni ‘90 riguardante il programma di sviluppo ha mostrato che la totalità del microcredito in Bangladesh costituisce lo 0,6% del credito totale del paese. E difficilmente le cose cambieranno.

In uno scenario come quello sopra descritto viene da chiedersi: quindi cosa hanno ottenuto i microcrediti? Questa domanda è stata rivolta a P. Sainath, autore di “Everybody Loves a Good Drought” [Tutti amano una buona siccità n.d.t.] ed il più autorevole giornalista dell’India sul tema della povertà rurale. Egli ha risposto: “Si, il microcredito può essere uno strumento giustificato in determinate condizioni, ma non lo si può esaltare come una potente arma. Nessuno è stato mai liberato attraverso il proprio indebitamento”.
Ciò detto, un sacco di povere donne hanno sollevato i loro standard di vita usando il microcredito bypassando la burocrazia delle banche e i soldi dei prestatori. Ma oggi la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale, insieme a stati e banche commerciali stanno buttandosi nella microfinanza. Il microcredito sta diventando velocemente un gigantesco impero, attirando l’attenzione proprio di quelle banche e di quella burocrazia che lo donne cercavano di evitare. Il microcredito sta dunque diventando un macro giro di racket.

Sainath evidenzia che i tassi di interesse che devono pagare le donne microindebitate in India sono molto più alti che quelli concessi dalle banche commerciali. “Stanno pagando un tasso compreso tra il 24 ed il 36 % sui prestiti finalizzati ad investimenti produttivi mentre nei paesi sviluppati una persona benestante può finanziare l’acquisto di una Mercedes ad una tasso del 6-8% con il sistema bancario.”
Il prestito medio della Grameen Bank in Bangladesh è 130$, ed è più basso in India. Ora, il problema di fondo del povero in entrambi i paesi è che si ritrova ad essere senza proprietà e senza risorse. Nella provincia indiana di Andhra Pradesh, dove ci sono migliaia di gruppi di microcredito, il costo della terra è pari a 100.000 rupie all’ettaro, (le terre più povere possono costare 60.000 rupie) pari circa a 2.000$. Con 130$ non si può quindi comprare una fattoria e neanche una buona mucca o un buon bufalo. Quindi, come può una povera donna essere uscita dalla trappola della povertà in Andhra Pradesh? “Provate a dare una risposta.”

Osserva Sainath: “Con quei 130$ non potete ottenere le risorse base. L’ammontare è irrisorio. I tassi di interesse sono alti e le sanzioni pesanti. Durante le recenti inondazioni in AP, giornalisti freelance sono andati nei villaggi dove ogni cosa è stata spazzata via. Le prime persone che hanno incontrato in quei villaggi sono stati i microcreditori che minacciavano donne che avevano perso tutto”.

Ai governi piace il microcredito perché permette loro di nascondere la maggior parte delle loro responsabilità nei confronti delle povere persone.
Sotto questo punto di vista il microcredito è una manna dal cielo.
Supponiamo che l’USAID o altre analoghe agenzie decidessero di investire 10 milioni di dollari nel microcredito. Prima che la prima rupia arrivi a queste donne in un villaggio, ONG, consulenti, manager di banche e loro colleghi avranno tutti quanti preso la loro parte. A quel punto, il prestito che arriverà alla singola donna del villaggio avrà un costo proibitivo ed i veri poveri e le donne di bassa casta spesso non potranno neanche accedervi.
Inoltre attualmente esistono alcuni modelli di microcredito che richiedono la restituzione di un rupia al giorno. Ma spesso le donne non hanno neanche questo rupia al giorno e così devono rivolgersi a finanziatori locali per essere capaci di ripagare il microcredito.

Come sostiene Sainath, il microprestito può essere un utile strumento ma non dovrebbe essere troppo sopravvalutato come un importante strumento di sviluppo. Anzi, sotto questo punto di vista è praticamente inutile.
Come evidenzia Bob Pollin “le Tigri asiatiche come Sud Corea e Taiwan hanno puntato per una intera generazione su programmi di aiuti pubblici rivolti alla popolazione per supportare l’industria e le esportazioni. Ed ora stanno raggiungendo standard di vita prossimi a quelli dei paesi occidentali. I paesi poveri ora necessiterebbero di adattare il modello del macro credito asiatico per promuovere non solo le esportazioni, ma anche la riforma delle proprietà terriere, le cooperative, la costruzione di strutture funzionanti e, soprattutto, lavori decenti”.

Il problema di tali programmi è che sono pubblici e contrari dunque al credo neoliberale. Proprio per questo Younus ha ricevuto il Premio Nobel, mentre i riformatori radicali della terra continuano a ricevere una pallottola dietro alla testa.

Nota: una breve versione di questo articolo è contenuta nell’edizione stampata di The Nation dello scorso mercoledì.

Alexander Cockburn
Fonte: http://www.counterpunch.org/
Link: http://www.counterpunch.org/cockburn10202006.html
22.10.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di BARNEY

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