DI SEFI RACHLEVSKY
Haaretz.com
Fare conto sul Rebbe di Lubavitch
e i suoi insegnamenti in un discorso ostentatamente a favore di uno
stato palestinese è come fare affidamento su un razzista che sostiene
con fervore la schiavitù in un discorso ostentatamente a favore della
sua abolizione, mentre rende l’abolizione dipendente da condizioni che
non saranno mai soddisfatte.
Benjamin Netanyahu ha promesso di dire
la verità alle Nazioni Unite, e la verità è stata di certo rivelata.
Il Primo Ministro ha scelto in questo discorso di citare ossequiosamente
i suoi incontri con un’unica persona: il Rebbe di Lubavitch, che riteneva
di essere il messia.Né la fonte, né la citazione
provocatoria sono state frutto di una coincidenza. Netanyahu aveva una
conoscenza intima del Rabbino Re Messia, e anche delle vedute che esprimeva
dalla sua altezza. I seguaci del rebbe hanno appoggiato la campagna
vittoriosa di Netanyahu nelle elezioni del 1996, che giunsero dopo le
dimostrazioni piene di incitamento e l’assassinio di Yitzhak Rabin,
con lo slogan “Netanyahu è un bene per gli Ebrei”. E domenica
l’entourage del Primo Ministro è stato chiamato a genuflettersi
alla corte del rebbe.
Il Rebbe dei Chabad-Lubavitch è diventato famoso per la sua veemente opposizione
a ogni benché minimo ritiro da qualsivoglia territorio detenuto dalle
Forze Israeliane, persino in un contesto di piena pace. Si è perfino
opposto al ritiro dal territorio dall’altra parte del Canale di Suez.
Dal suo punto di vista non un centimetro della Terra Santa poteva essere
ceduta agli Arabi. Basò la sua opposizione sia su problematiche di
sicurezza – ossia che dei missili potessero essere usati sul territorio
sgombrato – che su argomenti storico-religiosi. Netanyahu ha ribadito
entrambe le sue vedute nel suo discorso alle Nazioni Unite.
Gli emissari più prominenti del
Rebbe di Lubavitch – il grande rabbino, come lo ha definito Netanyahu
alle Nazioni Unite – hanno incluso Baruch Goldstein, perpetratore del
massacro di Hebron del 1994, e Yitzhak Ginsburg, il rabbino di Yitzhar,
quello dei libri radicali “Baruch the Man” (che celebra
il massacro) e “The King’s Torah: The Laws of Killing Gentiles“.
Neppure questo è stato casuale. Il Rebbe di Lubavitch ha inculcato
ai suoi seguaci la dottrina de “il vostro popolo è l’unica nazione
della terra”: nella terra del Messia non c’è posto per gli Arabi.
Quindi il razzismo è entrato nel discorso di Netanyahu alle Nazioni
Unite, non “solamente” contro l’Islam, ma anche contro gli
Arabi: loro, ha detto, non sono come i vostri vicini a New York.
Fare affidamento sul Rebbe di Lubavitch
e sui suoi insegnamenti in un discorso che è stato ostentatamente a
favore di uno stato palestinese è come fare affidamento su un razzista
che sostiene con fervore la schiavitù in un discorso che è ostentatamente
a favore della sua abolizione, mentre rende l’abolizione dipendente
da condizioni che non saranno mai soddisfatte. E pertanto, in un discorso
che ha dato l’allarme sui pericoli dell’Islamismo radicale, Netanyahu
ha fatto affidamento sul teologo ebreo più radicalmente messianico
della nostra generazione.
Ma Netanyahu, il cui discorso era radicato
nell’estremismo religioso, ha persino superato il suo rabbino. Malgrado
tutto il suo odio per gli Arabi, il Rebbe di Lubavitch non ha mai istigato
gli Ebrei. Netanyahu – dai dimostranti che urlavano “con il fuoco
e il sangue espelleremo Rabin” fino alle voci che “la sinistra
ha dimenticato cosa vuol dire essere Ebrei” e ai legami con l’organizzazione
radicale di Im Tirtzu – si è persino adoperato per l’istigazione
interna.
L’appello del Quartetto, secondo cui
Netanyahu dovrebbe realizzare un ritiro completo dai Territori Occupati
e dalla parte araba orientale di Gerusalemme, è patetico. È come sperare
che Michele Bachmann trasformi l’America in uno stato di welfare
o che Eli Yishai, dirigente dell’ultraortodosso partito Shas, separi
religione e stato.
Bill Clinton, uno che ha avuto vasta
esperienza di Netanyahu, aveva ragione: quest’uomo non è interessato
alla pace, né ad un compromesso. Netanyahu si è opposto alla pace
con l’Egitto e al primo Accordo di Oslo. Ha condotto una campagna di
opinione contro l’Accordo di Oslo-2 e poi si è rifiutato di implementarlo.
Ariel Sharon, Rafael Eitan e l’allora Capo di Stato Maggiore della Difesa
israeliana Amnon Lipkin-Shahak sono rimasti sbalorditi da quello che
hanno interpretato come la sua volontà di doversi dotare di “armi
da giorno del giudizio” di fronte alle minacce di Saddam Hussein,
e cercarono di dissuaderlo. Netanyahu si è opposto al ritiro dal Libano
e da Gaza, ma non perché credesse che dovessero essere fatti con un
accordo. Non ha risposto neppure alla moderazione di Mahmoud Abbas,
sfruttando l’opportunità: al contrario, ha realizzato una campagna
per prevenire qualsiasi possibilità di un accordo e di un ritiro.
Dopotutto è l’emissario del messia
Chabad, l’uomo che ha insegnato che questa è la terra degli Ebrei,
esclusivamente loro. È ritornato dagli Stati Uniti con la sensazione
che il governo americano sia una pezza con cui pulirsi i piedi, senza
alcun potere di fermare i suoi piani più estremisti.
Questo è il retroscena di quello
che deve diventare una visione globale della questione che è ora la
più importante di tutte e che sarà anche l’argomento principale della
visita del Segretario della Difesa USA Leon Panetta. Netanyahu fa sul
serio davvero col suo proposito, e anche con i suoi preparativi, di
eludere gli avvertimenti dell’intero establishment della difesa
per poter attuare questo desiderio, che molti appartenenti alla sua
cerchia interna hanno definito messianico: attaccare l’Iran prima dell’inverno.
Prima che arrivino le nuvole, chiunque possa lo deve fermare.
Fonte: Netanyahu’s messianism could launch attack on Iran
27.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI