DI JULIO C. GAMBINA
Alainet.org
A una settimana dalle elezioni presidenziali, oggi le analisi e le opinioni si concentrano sul tipo di cambio.
Di fatto, la prima misura di politica
economica del governo, diffusa nel bollettino ufficiale a 24 ore dalle
elezioni, è stato il ripristino della “obbligatorietà
dell’ingresso e della negoziazione nel mercati dei cambi della totalità
delle divise provenienti dalle operazioni di esportazione da parte delle
imprese produttrici di petrolio greggio o dei suoi derivati, di gas
naturale e di gas liquido, e delle imprese che hanno per obbiettivo
lo sviluppo delle attività minerarie”.L’analisi di questa misura punta
soprattutto a considerare che la politica del governo vuole potenziare
tutto il meccanismo per avere il controllo delle divise in suo possesso.
È un passo obbligato per poter continuare con l’orientamento che
gli ha portato un grande consenso elettorale lo scorso 23 di ottobre.
Ciò è dovuto alla perdita di dollari nelle riserve internazionali
e, dal picco di 52,6 miliardi di dollari a febbraio del 2011, i dati
attuali sono attorno ai 47,8 miliardi (ultima informazione del BCRA,
al 21 ottobre 2011). Inoltre, la forte domanda di dollari da parte dei
piccoli e medi investitori ha posto il tema al centro della discussione.
Molti piccoli e medi risparmiatori
passano da posizioni fisse a dollari – anche con elevati tassi di interesse
– che in poco meno di un mese sono salite dal 9 a valori tra il 14 e
il 20 per cento. Alcuni si chiedono perché gli argentini che hanno
qualche risorsa privilegiano la moneta di un paese in crisi evidente
e, in realtà, la risposta non è molto differente dal perché la Cina
o altri governi investono le proprie eccedenze nei titoli statunitensi,
o nel dollaro.
Ma il problema non è nei piccoli
e medi investitori, quelli che cambiano negli uffici di cambio o nelle
banche, ma è invece è l’Invio delle Rimesse all’Estero
(RUE) delle imprese che guadagnano ingenti somme nel nostro paese e
che compensano le perdite sostenute nei paesi d’origine, stimate in
4,5 miliardi di dollari. Queste imprese, per deviare le risorse all’estero
– le eccedenze, i guadagni – in primo luogo hanno bisogno di acquistare
per poi riversare all’estero. Qui va cercato la causa principale della
cosiddetta “fuga di capitali”, che non si può considerare
un “delitto”, ciò che viene suggerito dall’espressione “fuga”.
L’uscita dei capitali è assolutamente legale e Cristina Fernández
lo ha evidenziato di recenti in una riunione tenuta alla Borsa di Buenos
Aires, riconoscendo l’enormità delle RUE come dato rilevante del
modello produttivo in essere e che, in ogni caso, il governo spera che
vengano reinvestite nel paese.
È per questo, vista la continuità
della richiesta di dollari, che dopo lunedì 31 ottobre sono state introdotte
una serie di misure di controllo per gli acquirenti di dollari, che
vengono vincolati “on line” all’AFIP. Si vuole che il compratore
dimostri l’origine dei propri fondi (i pesos) e il destino
dei dollari, che potranno essere un investimento o utilizzati per un’operazioni
denominate in dollari.
È evidente che all’interno del governo,
e specialmente in materia di politica economica, viene considerato in
modo differente, in questo periodo, l’impatto della crisi mondiale,
cercando di mantenere l’esposizione ripartita in varie divise per
poter affrontare qualsiasi attacco speculativo sull’economia nazionale.
Avranno successo le misure adottate?
Finora, sia le aziende petrolifere
che quelle minerarie non hanno palesato critiche. Vanno considerate
le dichiarazioni di Barrick Gold, una delle principali multinazionali
dell’attività mineraria, che ha interessi nell’estrazione e nell’esportazione
dell’oro, sia a Veladero o a Pascua Lama nella Provincia di San Juan,
la zona che ha le maggiori riserve di oro in Argentina. Dopo aver discusso
del tema nel consiglio, hanno segnalato che potranno continuare all’interno
del sistema e che non ci sono impedimenti per il normale funzionamento.
Il tema ha un grande interesse, perché l’iniziativa sembra realizzata
a misura delle aziende minerarie che fino ad ora hanno potuto portare
all’estero fino al 100% delle proprie vendite, visto che il settore
petrolifero in questo momento non è nel periodo migliore per quanto
riguarda le vendite all’estero. Le misure a favore delle aziende petrolifere
e minerarie sono di lunga data e furono ratificate nel 2004 sotto il
governo di Néstor Kirchner.
Ci sono critiche al regime di esenzione
per le vendite derivanti dalle esportazioni e ci si chiede il motivo
del rinnovo del regime nel 2004 e anche oggi, viste le difficoltà del
governo in materia di dollari, e questa iniziativa si presuppone che
sia giunta in ritardo, almeno per l’industria petrolifera. In questo
senso, la discussione vuole guardare in avanti e non solo alla liquidazione
delle vendite all’estero, ma anche a rivedere il tema delle concessioni
per lo sfruttamento degli idrocarburi e a recuperare sovranità; allo
stesso modo discutere del regime del settore delle mega-miniere a cielo
aperto vuole analizzare il modello produttivo necessario a un processo
integrato di produzione per soddisfare le necessità della maggioranza
della popolazione.
Ma gli interrogativi riguardano anche
la compravendita delle valute, visto che colpisce i piccoli investitori
senza invece limitare i grandi acquisti per le rimesse all’estero. Il
giro del dollaro parallelo appare come una possibilità. I controlli,
affinché funzionino, richiedono la partecipazione sociale, un aspetto
abbastanza lontano dalla prassi del sistema bancario e finanziario globalista.
Le misure di controllo nell’economia
hanno bisogno di un ben oliato apparato statale che è stato deliberatamente
indebolito al tempi degli aggiustamenti e della ristrutturazione privatista
dell’economia argentina. Invertire questa struttura di potere economico
sollecitando la partecipazione popolare è ciò che può rendere efficace
qualsiasi controllo, sia del tipo di cambio, delle istituzioni di cambio,
e anche del sistema finanziario ed economico.
Malgrado il forte consenso elettorale,
i rumori nell’economia possono creare disordine nel clima politico
e ogni movimento rialzista del dollaro presuppone un deterioramento
della capacità di acquisto dei settori che hanno minori entrate, che
fanno parte della base sociale che spiega il successo nella votazione
in sostegno al governo.
Fonte: El debate económico se concentra en el precio del dólar
01.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE