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La Redazione

 

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IL DESIDERIO DI BUSH DI UN CONFLITTO CON L’IRAN E’ UNA CRISI CREATA DA ISRAELE

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A cura di Das schloss
Il 3 Novembre 2006
38 Views

blankDI SCOTT RITTER

Alternet

Il seguente articolo è un estratto dal nuovo libro di Scott Ritter “Target Iran: The Truth About the White House’s Plans for Regime Change” [“Obiettivo Iran: La verità sui piani della Casa Bianca per un cambio di regime” ndr] (Nation Books, 2006).

Per comprendere l’attuale atteggiamento di Israele nei confronti dell’Iran, forse il miglior posto da cui iniziare è Yad Vashem, il principale museo e monumento dell’Olocausto. E’al Yad Vashim dove gli israeliani si interrogano sulla vera ragione del perché ci sia un moderno stato di Israele, cioè sulle persecuzioni e il genocidio che portarono così tanta sofferenza al popolo ebraico nello scorso secolo. Proprio qui i moderni Israeliani si ricordano delle forza politiche che continuano a perseguire l’eliminazione non solo degli ebrei ma anche dello stesso stato di Israele.

Riconoscendo la potente influenza che l’Olocausto gioca sulla psiche di Israele è importante non solo capire perché Israele non potrebbe mai tollerare l’esistenza di forze opposte alla propria sopravvivenza, ma anche come una questione che vada ad interferire con un tale impatto emozionale abbia la potenzialità di corrompere un intero ambiente, al punto che Israele ed i suoi sostenitori potrebbero adottare e supportare politiche oggetto di manipolazioni per fini che siano nocivi alla sopravvivenza nel lungo periodo ed alla prosperità dello stato di Israele
Chiunque abbia visitato Israele in qualità di ospite ufficiale, come io ho fatto numerose volte, avrà avuto modo di fare un tour di quella piccola nazione, e può dunque capire come Israele percepisce la sua vulnerabilità. C’è una certa paranoia che domina la psicologia di Israele, non certo priva di fondamento. L’elevato numero degli attacchi suicidi sono la testimonianza di una realtà in cui ci sono organizzazioni e persone “esterne” che cercano di far danno allo stato di Israele e alle persone israeliane.

Non dovrebbe sorprendere quindi che maturi politici israeliani scelgano Yad Vashem come il posto in cui chiarire e definire la politica israeliana in merito alle ambizioni nucleari dell’Iran. Quest’ anno, nel giorno di commemorazione dell’Olocausto, due iraniani di nascita ebraica hanno rilasciato le seguenti dichiarazioni. “Io invito il mondo occidentale a non stare in silenzio di fronte alle nazioni che stanno cercando di acquisire armi nucleari e [di chi] predica la distruzione dello stato d’Israele,” il presidente Israeliano Moshe Katsav ha ribadito durante un intervento fatto al Yad Vashem. Lo stesso giorno, all’apertura del Centro per gli Studi iraniani all’Università di Tel Aviv, l’uscente ministro della difesa Shaul Mofaz ha accusato l’Iran di aver creato gruppi terroristici operanti all’interno della Palestina e di aver dato loro aiuti finanziari per un ammontare di oltre $ 10 milioni di dollari a partire dall’inizio del 2006. Mofaz continuò con il ribadire che la politica di Israele dovrebbe essere focalizzata sul tentativo di far crollare l’attuale regime di Teheran.

Comunque, c’è una parte di ipocrisia nella posizione di Israele. Lo stesso Israele infatti possiede armi nucleari che furono acquisite clandestinamente, e ospita una forza di moderni missili balistici capaci di colpire le testate nucleari non soltanto in Iran ma anche in altre nazioni della regione. Poche persone che sono al di fuori di Israele e degli Usa colgono l’ironia del fatto che Israele è una nazione frutto dell’olocausto ma unica tra le nazioni del Medio Oriente in possesso di testate nucleari che sono potenzialmente armi in grado di provocare un olocausto, e che condanna retoricamente l’Iran mentre essa stessa sponsorizza il crollo del governo iraniano, e ciò spiega in gran parte come legittimità di Israele di trattare argomenti riguardanti l’Iran rimangano inascoltate.

La realtà dell’ Olocausto (da una prospettiva storica) e l’idea dell’ Olocausto (riguardante il futuro di Israele) dominano il pensiero sulla sicurezza nazionale dello Stato di Israele. E’ sbagliato far convergere le emozioni e le credenze di oltre 5 milioni di persone in quelle di un singolo individuo, specialmente quando si tratta di una questione di sicurezza nazionale tra Israele, Iraq ed Iran. Comunque, c’è un uomo che ha così talmente trattato ed affrontato queste questioni nel passato decennio che è impossibile parlare di esse senza citare, ancora una volta, a tale nome: Amos Gilad.

Incontrando Amos Gilad, è piuttosto difficile inizialmente immaginare che questioni talmente serie possano essere sviluppate da un tale personaggio. Altezza media, con un sottile ciocca di capelli bianchi, con una struttura tozza e una pelle candida tipica di chi svolge una professione all’interno di uffici, rimuginando scartoffie e giornali e a presidiare riunioni; chiunque sarebbe messo a dura prova nel ricollegare una tale figura con la fama di un mito tra le principali spie israeliane. Ma quando l’uomo inizia a parlare, e ad esporre le proprie idee al suo interlocutore, il fisico lascia spazio alle intuizioni taglienti ed improvvise manifestando chiaramente la capacità analitica di Amos Gilad. Sia che uno concordi o meno con le sue valutazioni, non si può negare che con la sua amabile voce e il suo modo diretto di porsi, Amos Gilad proietti fiducia e sicurezza.

Tale fiducia si è andata formando con la lunga esperienza avuta servendo all’interno dell’ Aman, i servizi della Difesa Israeliana. Nato nel 1954 da padre immigrato dalla Cecolsovacchia in Israele nel 1939, e da una madre sopravvissuta all’Olocausto, Amos Gilad ha vissuto la storia della persecuzione ed il quasi-sterminio degli ebrei in Europa con testimonianze dirette raccolte durante la propria gioventù. La leggenda di Amos Gilad racconta di come egli scrisse un saggio su Auschwitz che incluse ricerche così dettagliate che consentì al giovane Amos di correggere qualsiasi errore nei differenti racconti dei vari sopravvissuti. Uno studente modello, fu iscritto dopo il diploma nel programma Officer’s Candidates Academic Studies permettendogli di laurearsi in Scienze politiche all’Università di Haifa prima dei tempi previsti.

Con la sua qualifica avanzata e il suo affilato intelletto, Gilad divenne un naturale candidato per l’Intelligence militare. Entrò nel servizio militare nel periodo successivo alla guerra dello Yom Kippur del 1973, e venne inserito in una divisione dell’intelligence israeliana allora coinvolta in una situazione imbarazzante causata da una errata analisi, un processo che ha preso lo spregiativo titolo di “konseptsia”, dalla parola Ebraica riferita all’immaginazione, in riferimento alla valutazione del 1973 del capo dell’Intelligence del tempo, Eli Za’ira, che “immaginò” che l’Egitto non avrebbe lanciato un attacco contro Israele, ignorando il parere contrario largamente condiviso dai suoi colleghi. Dopo il periodo della “konseptsia” di Eli Za’ira, Aman mise in moto controlli analitici e verifiche attraverso il sistema di intelligence militare per far si che Israele non cadesse mai più vittima di valutazioni prive di fondamento.

Il rigoroso addestramento nell’arte dell’intelligence diede i suoi frutti. Nel 1978, come giovane ufficiale, Amos Gilad divenne famoso quando previde un attacco dell’OLP lungo la riva del mare israeliana. Nel 1982, ora col grado di maggiore, Gilad venne coinvolto nell’invasione del Libano da parte di Israele. Assegnato al seguito di Aman, Gilad fu molto critico nell’accordo raggiunto da Israele con le milizia falangiste cristiane libanesi. Il maggiore Gilad sostenne che la decisione presa da Israele di permettere la presenza della milizia falangista nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila avrebbe prodotto un massacro della popolazione civile. Nella notte del 16 settembre del 1982, Amos Gilad arrivò al comando dell’avamposto vicino a Beirut, e iniziò immediatamente a sollevare presso i suoi superiori dubbi e timori su di un imminente massacro. Le sue preoccupazioni furono ignorate perché la gran parte degli analisti al servizio del quartier generale credettero che Gilad stava rispondendo ad un istinto piuttosto che a fatti concreti?

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[Amos Gilad e Scott Ritter]

L’indagine ufficiale sul ruolo delle Forze di Difesa Israeliane in merito agli eventi di Sabra e Shatil rilevarono che il maggiore Gilad stava agendo molto più che in base ad una sensazione; egli aveva ascoltato conversazioni tra gli ufficiali israeliani in cui si parlava di un imminente massacro. Gli orribili eventi a Sabra e Shatila lasciarono il segno su Amos Gilad, rendendolo consapevole non soltanto delle sue sensazioni e del suo pensiero analitico, ma anche della necessità di esercitare pressioni direttamente in faccia all’inazione di incerti o burocrati. Gilad applicò i suoi modi di lavoro nei successivi incarichi ricoperti nell’ambito di Aman, finché, quando era un colonnello, il fato lo ha portato a ricoprire il ruolo di capo ufficio sulla questione Irachena alla vigilia dell’ escalation di tensioni con l’Iraq in merito al suo programma nucleare. Alla minaccia lanciata da Saddam di “bruciare metà di Israele” con un arma chimica fecero seguito l’invasione dell’Iraq in Kuwait e, in risposta, l’incremento della presenza americana nell’Arabia Saudita. Come capo dell’ ufficio indagine sulla questione irachena, Amos Gilad monitorò continuamente gli sviluppi militari iracheni riportando informazioni al Direttore dell’intelligence, e sempre più spesso, al ministro della difesa e al primo ministro.

Al tempo dell’invasione di Saddam Hussein in Kuwait, gli Stati Uniti, attraverso il Dipartimento della difesa, mantennero un programma di condivisione delle informazioni segrete con l’IDF (Forze di Difesa Israeliane), che prese il nome in codice Castello di Ghiaccio. Mentre la moderna condivisione di informazioni segrete tra le forze di intelligence degli Stati Uniti ed Israele ha come loro punto di avvio il tumultuoso periodo risalente al 1973 durante la guerra dello Yom Kippur, lo specifico programma Castello di Ghiaccio fu legato alla crisi della primavera del 1990, quando l’intelligence israeliana rilevò una ripresa di attività riguardante l’armamento iracheno che spiense alcuni politici israeliani a sostenere pubblicamente una ripetizione dell’attacco effettuato nel 1982 da Israele che colpì il reattore nucleare di Osirak alle porte di Baghdad, azione che secondo una larga opinione ritardò le ambizioni nucleari di Saddam Hussein di oltre un decennio.

L’Iraq, da parte sua, mise in guardia gli israeliani minacciando che qualsiasi attacco da parte di Israele avrebbe prodotto contrattacchi iracheni, incluso l’uso di armi chimiche che avrebbero, a detta di Saddam Hussein, “distrutto metà di Israele”. Il programma Castello di Ghiaccio si occupò della questione per far fronte alle preoccupazioni di Israele sulla capacità irachena di lanciare un tale attacco, e i dati dell’intelligence americana, ed in particolare foto dell’ovest dell’Iraq, vennero forniti ad Israele (tramite gli ufficiali di collegamento israeliani inviati a Washinghton, D.C) con l’intento di aiutare a scovare ogni attività irachena sospetta nel deserto dell’Iraq occidentale. In particolare tali documenti mostravano SCUD iracheni, armati con testate chimiche, che operando da postazioni dell’Iraq occidentale sarebbero stati capaci di raggiungere tutto Israele. Nel periodo di alta tensione tra Israele ed Iraq che fece seguito all’estate del 1990, la cooperazione Castello di Ghiaccio scoprì una marea di missili balistici, frutto dell’attività nell’Iraq occidentale da parte dell’esercito iracheno, comprendenti installazioni di numerosi missili puntati contro Israele e la presenza di postazioni missilistiche mobili di SCUD iracheni.

La teoria velocemente divenne realtà quando, in seguito all’invasione del Kuwait nell’agosto del 1990, l’esercito iracheno spiegò all’incirca una dozzina di testate chimiche nel deserto dell’Iraq occidentale. Anche se le truppe americane si mossero sul territorio del Medio Oriente nei mesi seguenti l’invasione dell’Iraq, Israele continuò a spingere gli Stati Uniti a raccogliere maggiore informazioni sulla minaccia missilistica Irachena. Ma le priorità della pianificazione americana indirizzarono l’attenzione verso questioni diverse da quella centrale per Israele riguardante la minaccia proveniente dall’ovest dell’Iraq privilegiando la necessità di creare una larga coalizione multinazionale comprendente, come alleati, molti paesi chiave arabi, i quali non avrebbero soltanto dovuto difendere i bacini orientali di petrolio in Arabia Saudita dalla minaccia delle invasioni espansionistiche dell’Iraq, ma anche lanciare un contrattacco designato per liberare il Kuwait dall’occupazione irachena. Le ragioni israeliane vennero scavalcate da quelle americane e così l’immaginario Castello di Ghiaccio fu sviato al servizio dei pianificatori militari americani (me incluso) mentre gli ufficiali israeliani sedevano a mani vuote nelle stanze di riunione nel Pentagono.

I militari israeliani ed i leader politici divennero sempre più irritati per la mancanza di sensibilità Americana in merito a ciò che secondo loro rappresentava una seria minaccia alla sicurezza di Israele. Molti in Israele parlarono di un attacco preventivo israeliano in Iraq, ma vennereo spinti dalle pressioni americane a desistere dal far qualsiasi cosa che avesse potuto sgretolare la forte coalizione araba riunita in Arabia Saudita per contrastare l’Iraq. Il 13 gennaio 1991 una delegazione americana guidata dall’ Assistente Segretario di Stato Lawrence Eagleburger garantì che dopo il secondo giorno di azioni militari contro l’Iraq nessun missile iracheno avrebbe mai colpito il suolo israeliano.

Questa mancanza di attenzione Americana ebbe conseguenze politiche considerevoli quando, nel gennaio del 1991, l’Iraq lanciò missili SCUD dall’Iraq occidentale verso le città israeliane in seguito all’azione militare della coalizione guidata dagli Stati Uniti per liberare il Kuwait. Nelle prime ore del mattino del 17 gennaio, il porto israeliano di Haifa fu colpito, in rapida successione, da tre missili SCUD iracheni. Due missili colpirono l’acqua. Il terzo missile colpì un centro commerciale in costruzione, posizionato vicino al checkpoint dell’entrata nord di Haifa. Fortunatamente il centro commerciale era vuoto e la maggior parte della popolazione lasciò i propri appartamenti per andarsi a rifugiare in rifugi antimissile, e non ci furono conseguenze.

Nel periodo immediatamente successivo all’attacco ad Haifa, altri 5 missili SCUD colpirono Tel Aviv. Il primo missile esplose in aria sopra al sobborgo di Azur, spargendo detriti in aria. Il secondo missile colpì una struttura civile ad Azur, distruggendo il palazzo. Il terzo missile impattò nel quartiere di Ezra di Tel Aviv, distruggendo completamente settantasei appartamenti abitati e danneggiandone altri 1,000. Fu questo missile che causò la maggior parte dei danni e delle vittime nella prima ondata di attacchi missilistici, ferendo 68 persone di cui molti in maniera grave. I successivi due missili caddero sopra Tal Aviv in quella mattina, uno cadendo in un frutteto a Risbon Letzion, e l’altro esplodendo in cielo sopra Ganei Tikva.

Ma il danno era stato fatto. Per la prima volta nella sua storia successiva al 1948, il cuore di Israele venne colpito da un forte scoppio per mezzo di un deliberato attacco di una forza militare araba. Negata dalla diplomazia americana la tradizionale tattica di attacco preventivo, e dovendo ora affrontare lo spettro di dozzine di feriti Israeliani che si stavano precipitando negli ospedali in mezzo alla confusione delle macerie delle loro case distrutte o danneggiate, tutta l’attenzione di Israele venne rivolta ai propri militari in richiesta di una rapida ed effettiva punizione.

Vedi a questo link l’intervista a Scott Ritter, da parte di Amy Goodman, inerente all’articolo.

Scott Ritter ha collaborato come capo ispezione sulle armi delle Nazioni Unite in Iraq dal 1991 fino alle sue dimissioni rassegnate nel 1998. E’ l’autore dei recenti libri, Target Iran: The Truth About the White House’s Plans for Regime Change (Nation Books, 2006) e Iraq Confidential: The Untold Story of the Intelligence Conspiracy to Undermine the U.N. and Overthrow Saddam Hussein (Nation Books, 2005).

Scott Ritter
Fonte: http://www.alternet.org/
Link: http://www.alternet.org/story/44505/
20.11.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di BARNEY

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