DI PINO CABRAS
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“La montagna ha partorito un topolino”? Dovremmo dirlo anche stavolta, sette anni dopo l’11 settembre 2001, ora che il NIST (National Institute of Standards and Technology) ha finalmente esibito il suo studio sul crollo dell’Edificio 7 del World Trade Center, ancora privo di risposte convincenti.
Solo che si tratta di un topolone bello grande, pieno di pagine e pagine di grafici e simulazioni.
Il regalo troppo voluminoso fa più colpo su chi ha meno buon gusto. Allo stesso modo il pingue cadeau del NIST ha dato grande soddisfazione alla maggior parte dei giornali, che avevano già in caldo il titolo che serviva per l’occasione: “Finalmente risolto il mistero dell’Edificio 7”.
Sempre rinviata, l’inchiesta dell’agenzia governativa statunitense ha fatto il suo debutto in società il 21 agosto 2008 con una conferenza stampa tenuta dall’investigatore capo Shyam Sunder.
Fonte dell’immagine: «Luogocomune» [QUI]
Abbiamo così appreso che il WTC7 sarebbe crollato a causa degli incendi per via di un evento mai riscontrato prima nella storia, un ‘unicum’ che annullerebbe ogni certezza in materia di sicurezza degli edifici. Salvo mettere le mani avanti: guardate che non è cosa che succede ogni giorno. Infatti sono cose che capitano solo nel giorno delle coincidenze magiche, l’11/9.
La causa sarebbe un crollo progressivo totale provocato da espansione termica (“thermal expansion”, dice il NIST).
Le conclusioni dell’inchiesta, in soldoni, sono queste: le macerie precipitate dalla Torre Nord sul WTC7 hanno innescato vasti incendi nella parte inferiore a est del grattacielo, abbastanza per lungo tempo da far dilatare le travature orizzontali che reggevano i pavimenti; la dilatazione orizzontale non riusciva a trovare sfogo in un’espansione all’esterno del palazzo, che rimaneva sufficientemente inalterabile, mentre lo trovava a danno di una colonna interna, la colonna 79, che ha finito per scardinarsi.
Un ricorrente “deus ex machina” dei film di Indiana Jones o dei fumetti di Martin Mystère, così come dei cartoni di Wile E. Coyote e dell’astronave aliena di Indipendence Day, è il cruciale punto debole – una lastra, una leva, un software, una colonna – che fa crollare tutto con un minimo movimento, sia esso un palazzo, una grotta, una montagna o un’astronave.
La colonna 79 dell’Edificio 7 si presenta con la medesima potenza di un espediente drammaturgico inatteso. Con sfrontatezza disneyana la colonna collassa, riverberando gli effetti sulle colonne più prossime, in un movimento da sud a nord. L’ondata di crolli va poi da est a ovest, risparmiando per qualche secondo la struttura perimetrale, che poi cede e fa crollare il grattacielo in modo totale e definitivo.
Fa specie pensare che fra gli inquilini dell’Edificio 7 ci fossero istituzioni finanziarie, compagnie di assicurazione e agenzie governative top secret talmente ingenue da fidarsi di un palazzetto così vulnerabile, nel quale il cedimento di un solo pilastro era in grado di mettere in moto un crollo totale che non faceva rimanere “pietra su pietra”. Non credevano alla “cartoon physics”. Dovevano, forse?
Per anni, chi osava mettere in questione i risultati delle frammentarie indagini sulla “terza torre” ha subito petulanti reprimende. Con il tono di chi ti dice “ora t’insegno dove abiti e nel frattempo dimostro che sei un cretino progressivo totale, me l’ha detto Occam”, i guardiani full time delle verità ammissibili ci hanno spiegato tutto e il contrario di tutto: che fra le cause del crollo c’era un grosso squarcio nel palazzo che ne aveva minato l’equilibrio, che però aveva fatto la sua porca parte anche il deposito di carburante diesel, che le conclusioni giuste erano quelle di «Popular Mechanics», anzi no, quelle della BBC. Per tenere insieme i contraddittori miti filogovernativi usavano una specie di “grammelot” tecnocratico, in modo da dire che la scienza era dalla loro parte, piena di punti fermi asseverati dalle autorità. Questi punti fermi hanno subito un crollo progressivo e totale con la disperata giravolta del NIST.
Tutto lo zelo dilapidato a guardia del mito-bidone delle mutevoli inchieste filogovernative sull’Edificio 7 è ora sradicato e non ha ancora fatto in tempo ad adattarsi.
Tutti gli elementi chiave propugnati a forza di insolenze dai sussiegosi travet dell’Assessorato allo Schiacciamento delle Bufale sono stati rigettati dalla stessa agenzia da loro ossequiata per anni.
È proprio in questi momenti che vado a contemplare un fantastico pezzo di modernariato: la prima pagina del settimanale «Diario» n.37/38, anno XI, del 29 settembre 2006, con il richiamo alla sedicente “inchiesta vecchio stile” con cui il direttore Enrico Deaglio volgarizzava gli scientismi della vecchia inchiesta di «Popular Mechanics», già di suo sdraiata sulla versione dell’11/9 di Bush e Cheney, e cordialmente prefata da John McCain.
M’illumino. Un vecchio parlamentare sardo attaccava le immaginette elettorali dei colleghi trombati alle elezioni sui bordi dello specchio. Mentre si radeva iniziava la giornata con crescente buonumore, intanto che dedicava brevi occhiate perfidelle alle loro facce condannate a sorrisi perenni e ignari del destino da trombati. Ecco che ho finalmente trovato collocazione per la rivista ormai vintage di un direttore con un destino da trombone.
È facile prevedere che i cantori della teoria ufficiale purchessia, incuranti delle cantonate, si avvinghieranno anche alla “thermal expansion”, un modo per essere partecipi della scoperta di un fenomeno fisico unico, mai trovato prima e mai visto dopo quel giorno. Dopo averci detto che il rasoio di Occam tagliava la ricerca di soluzioni complicate, ora riterranno invece che tra le varie spiegazioni possibili di un evento è quella più astrusa ad avere maggiori possibilità di essere vera.
Il NIST ha anche cercato di non ignorare totalmente i legittimi sospetti che ci fosse una demolizione intenzionale dell’Edificio 7, realizzata con l’uso di cariche dedicate allo scopo. Ma l’indagine su questa faccenda sembra mossa da logiche investigative singolari. In sostanza il NIST sostiene che siccome per determinare il crollo bastava il cedimento della colonna n. 79, non resterebbe da calcolare che la quantità di esplosivo necessaria a distruggere questo pilastro tanto risolutivo. La dose necessaria all’azione sarebbe stata causa di un rumore abbastanza forte da farsi sentire a distanza di centinaia di metri da lì. Dal momento che il NIST non ricomprendeva documenti che attestassero l’esistenza di un simile boato, ipso facto nessuna bomba è esplosa, per cui sono da rigettare le ipotesi di demolizione controllata.
Davvero una strana argomentazione. Che esistesse un punto cruciale contrassegnato dalle prodigiose caratteristiche cartoon della colonna 79 potevano saperlo solo Dio e Steven Spielberg. Non certo chi chiedeva di analizzare l’ipotesi demolizione.
È comodo pretendere di rispondere a obiezioni rese forzatamente più ridicole. Vecchia tecnica. Voodoo verbale. Hanno preso gli argomenti formulati in modo serio e solido dai critici, hanno creato una copia somigliante ma più debole, l’hanno attribuita a chi sollevava le obiezioni e l’anno colpita: buttando giù l’argomento fantoccio si abbatte anche quello vero. Nel caso di specie, identificare gli esplosivi come la prima cosa cui ricorrere per una demolizione intenzionale è una forzatura che serve a rendere l’ipotesi inverosimile. A parere degli esperti di demolizione, per i palazzi aventi struttura in acciaio il mezzo appropriato è rappresentato dalle “linear cutting charge”, usate per segare le colonne d’acciaio con un’angolazione che fa lavorare soprattutto la
forza di gravità, senza chissà che boati. Non siamo più ai tempi della dinamite di Nobel. Oltretutto è assurdo pretendere che le obiezioni tendano all’ipotesi di un unica megabomba, anziché, come in altri casi di demolizioni totali, tante piccole cariche.
Ma a parte tutto questo, le testimonianze che parlano di esplosioni sono parecchie.
Abbiamo visto che un eminente ex del NIST, James Quintiere, che pure non prendeva in considerazione ipotesi di demolizioni controllate, ha dato poderose mazzate al metodo del NIST, specialmente in merito alle condizioni legali e ai vincoli pesanti che impedivano un’inchiesta vera e attendibile, a partire dalla mancata citazione dei testimoni.
Una volta esclusi gli scenari reali, oggettivi e soggettivi, rimane lo scenario virtuale delle modellizzazioni. In quel mondo asettico e virtuale il NIST può finalmente dedicarsi a escludere qualsivoglia ipotesi di demolizione intenzionale. È il regno della colonna 79. Lo stesso numero che la Smorfia napoletana attribuisce a “o’ mariuolo”.
Un giornalista ha rivolto all’ispettore capo del NIST una domanda piena di buon senso, alla luce della “scoperta” della colonna su cui si basava tutto l’equilibrio del WTC7. Chiedeva se aveva significato escludere l’uso della termate, usata anche come cutting charge, magari per segare proprio lei, la fatidica colonna 79, e innescare così, senza boati, il “crollo progressivo totale”. Shyam Sunder ha replicato attingendo al suo campionario di risposte preconfezionate:
«L’ipotesi della termate è senza fondamento e non è mai neanche arrivata a poter essere presa in esame dagli investigatori come le altre. Ciò in ragione del fatto che per fissare la termate sarebbe occorso un accesso alla colonna considerata, e inoltre per la ragione che la termate – per riuscire a compromettere la colonna – avrebbe richiesto di farla restare in contatto con la superficie verticale dell’acciaio finché si svolgeva la reazione della termate».
Che dire? L’accesso non sarebbe un problema, con qualche ipotetica complicità, che ne so, di una società di sicurezza retta da un cugino del Commander in Chief. Quanto ai tempi, non sarebbero chissà che lunghi. Bastano pochi istanti.
I dubbi non sono stati certo dissipati. Anzi. Rimangono tante questioni. Il NIST stesso ammette che l’evento di un crollo totale indotto da un incendio è più unico che raro.
La demolizione intenzionale, che spiegherebbe le cose in base a fenomeni sperimentati migliaia di volte, in pratica viene negata unicamente per la supposizione che sarebbe stato complicato fare tutto ciò di nascosto. Di nascosto da chi? Magari dalla stessa società di sorveglianza che aveva messo il sistema di allarme antincendio in modalità test “per lavori di manutenzione” proprio quella mattina, guarda un po’. Che giorno, quel giorno. Ogni vicenda chiave, ogni “meme” del mito, subiva direttamente l’influenza di una qualche esercitazione, manutenzione, simulazione militare che adulterava punto per punto il luogo del delitto, e in decine di casi.
I dubbi dunque.
Tra gli autori delle analisi critiche troviamo l’architetto Richard Gage, l’ingegnere meccanico Anthony Szamboti, l’ingegnere strutturale Kamal Obeid, l’architetto d’interni e ricercatore sui temi del WTC7 Chris Sarns, l’ingegnere Michael Donly, il chimico e ingegnere per la certificazione di qualità Kevin Ryan.
Una loro tavola rotonda è riportata nel sito di di «Architects and Engineers for 9/11 Truth», un movimento che raccoglie alcune centinaia di aderenti con qualifiche da addetti ai lavori, fondato da Gage e impegnato in una battaglia per la verità sull’11 settembre.
«Gli incendi di uffici non possono fondere l’acciaio», ricorda Gage, «e il NIST non ha spiegato il mistero del ferro fuso presso il sito del World Trade Center, né ha considerato altre prove che indicano anche l’uso di cariche incendiarie alla termate per tagliare la struttura che sorreggeva i 47 piani dell’Edificio 7.»
La presentazione del NIST, con le sue generiche parole, appariva “assurda a prima vista”, ha contestato Kevin Ryan, ed era del tutto diversa dalla versione raccontata in precedenza dalla rivista «Popular Mechanics». Nonostante il NIST abbia sostenuto di abbracciare attitudini scientifiche rispetto a teorie fra loro alternative, non ha mai risposto agli svariati inviti a discuterle, ha recriminato Ryan. Il disinteresse del NIST nei confronti di prove chimiche di nanotermate esplosiva deve essere considerata alla luce della scoperta di Ryan del fatto che il NIST ha studiato tali materiali per circa dieci anni, e ne sono esperti proprio molti degli investigatori NIST impegnati nel caso WTC. Una rivelazione molto interessante.
Il solo modo di discutere da parte del NIST sulle cariche incendiarie è stato quello di rifiutarle, ha osservato Tony Szamboti, tanto che sono state ignorate le minute microsfere ricche di ferro ritrovate nella polvere del WTC da parte dell’USGS (l’agenzia geologica USA) e dal dottor Steven Jones. Queste potrebbero essere state generate soltanto dal metallo fuso, sostiene Szamboti. I test britannici sulla resistenza agli incendi mostrano che le strutture in acciaio sono molto più durevoli di quanto attestano le teorie del NIST sui crolli, aggiunge Szamboti. Mentre i cosiddetti “Cardington Test” britannici sono stati conservati, l’acciaio del WTC è stato distrutto.
L’esclusione per principio dello scenario ‘eretico’ della demolizione indotta non può che bloccare certi tipi d’indagine. Se i test del NIST sui materiali autentici sono sostituiti da modellizzazioni virtuali – dove la fantasia ha galoppato – i risultati hanno troppe strade segnate.
Dovremmo fare in proposito delle “domande esigenti”, ha detto Szamboti.
La struttura di Cardington, pur priva di protezioni antincendio, sopravvisse a temperature doppie rispetto a quelle asseverate dal NIST, rammenta Chris Sarns. Il modello sugli incendi del NIST mostra degli incendi che bruciano più a lungo di quanto mostrino le foto, aggiunge Sarns. Dunque il NIST congettura molto ma spiega poco: nemmeno come una colonna che cede possa abbattere quelle a essa vicine.
La soluzione del NIST appare costruita per compiacere il suo cliente, ha detto Kamal Obeid, mentre gli ingegneri strutturali indipendenti avranno problemi lungo ogni passo del complesso meccanismo di collasso congetturato dal NIST. Obeid ritiene che le connessioni avrebbero ceduto prima che le sezioni che crollavano potessero abbattere le pesanti colonne del nucleo dell’edificio.
«Mentre i modelli computerizzati del NIST mostrano drammatiche distorsioni nei crolli delle più sottili colonne del perimetro, i video del vero edificio non mostrano nessun imbarcamento della struttura esterna che sia causato dai piani che invece il NIST afferma stiano crollando invisibilmente all’interno», hanno notato Obeid e Szamboti. Nel virtuale ci sono dunque immagini diverse da quelle realmente osservate. Forse è anche per questo che sono piaciute al mainstream informativo.
Fonte dell’immagine: NIST
In contrasto con gli effetti naturali e organici degli incendi ricordati da Gage (deformazioni graduali e crolli asimmetrici che seguono il sentiero della minor resistenza) il crollo visibile del WTC, fa notare Donly, è proceduto non lontano dalla velocità di caduta libera, senza nessuna apparente resistenza della struttura in acciaio. Molte colonne devono essere state tagliate in simultanea per far precipitare un edificio diritto verso il basso. Il rapporto FEMA 403, all’Appendice C, raccomandava ulteriori ricerche sulle prove di acciaio fuso che potevano avere cor
relazioni con la causa del crollo, ha commentato Donly, ma il NIST non prende in considerazione questa informazione.
Gage ha chiesto al NIST di concedere a dei ricercatori indipendenti le migliaia di foto e video dei suoi archivi sul WTC.
Come nel caso delle Torri Gemelle, non è inoltre spiegata la dinamica del crollo. Anche stavolta il rapporto ufficiale si ferma all’inizio del collasso senza provare a spiegare come la struttura esterna sia crollata praticamente a velocità di caduta libera attraverso il percorso di maggior resistenza (la struttura stessa).
C’è chi si accontenta di mettere sullo stesso piano i dati sperimentali e le speculazioni, senza tuttavia rilevare l’importante differenza che corre fra gli uni e le altre. Anche se sappiamo che gran parte delle prove fisiche è stata criminalmente spoliata.
Servirebbero indagini più approfondite e più indipendenti. Stiamo pur sempre parlando della vicenda imprescindibile che ha segnato l’esordio del secolo.
Fonte: http://pino-cabras.blogspot.com
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03.09.2008