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La Redazione

 

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IL CASO DI AMIR PERETZ

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A cura di Olimpia
Il 29 Novembre 2005
122 Views
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Socialismo nazionale contro capitalismo globale

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DI GILAD ATZMON

La recente elezione di Amir Peretz a presidente del Partito Laburista israeliano è molto più significativa di quanto molti commentatori sembrano voler ammettere. Per la prima volta il Partito Laburista è guidato da un ardente leader della classe operaia. Peretz è un uomo relativamente giovane cresciuto in un quartiere di case popolari a Sderot, località fatiscente nel sud di Israele, costruita soprattutto per gli ebrei di origine araba negli anni ‘50. A quell’epoca l’elite ebraica ashkenazita non poteva sopportare l’idea che ebrei arabi inondassero le loro metropoli messe in piedi da poco. La stragrande maggioranza degli ebrei arabi non faceva parte del panorama demografico israeliano fino a dopo la fondazione dello stato ebraico. Furono portati in massa in Israele tramite una consistente operazione di esodo, spesso forzato. L’idea dietro l’operazione era la necessità di aumentare la maggioranza della popolazione ebraica superando in numero la popolazione palestinese che si era rifiutata di scappare nel 1948.

Una volta arrivati in Israele, gli ebrei di origine araba venivano trattati piuttosto male e subito dopo il loro arrivo cominciavano a sentire la mano pesante della discriminazione predominante ashkenazita. La maggior parte dei nuovi immigrati venne scaricata in quartieri di case popolari nel deserto del Negev e in altre regioni poco attraenti. La loro funzione era servire la causa sionista sia in qualità di mano d’opera a buon mercato, sia semplicemente come scudi umani tra le città ebraiche europee emergenti e gli arabi ostili dall’altra parte.

Peretz è cresciuto a Sderot e negli anni ’80 è diventato sindaco della città. Nel 1995 è stato eletto a capo dell’Histadrut, il principale sindacato israeliano. Qualche giorno fa è entrato nel bel mezzo dello scenario politico israeliano, riuscendo ad espeller Shimon Peres, che, sebbene eterno, è il politico maggiormente sconfitto della storia moderna.

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La comparsa di Amir Peretz rappresenta una rivoluzione tale, che Sharon e il partito del Likud sono davvero in uno stato di panico. E non solo il Likud, ma anche lo Shas, il partito ortodosso sefardita, è estremamente preoccupato. È la prima volta che un sefardita laico dirige uno dei due maggiori partiti. Inoltre quest’uomo è uno straordinario essere umano e non un eroico generale veterano delle Forze di Difesa Israeliane, non è un ex assassino del Mossad e non ha le mani macchiate di sangue arabo. Non ha adottato il gergo pretenzioso ashkenazita e non è stato nominato da un politico ashkenazita come specchietto per le allodole per attirare gli ebrei di origine araba. È un semplice israeliano che è riuscito ad assumere la direzione del secondo partito israeliano per suo proprio diritto, ed è un ebreo arabo.

Peretz è nato in Marocco ed è immigrato in Israele all’età di quattro anni. Non ha mai negato le sue origini né ha cercato di assimilarsi al mondo israeliano ashkenazita. Mi permetterei di concludere che se esiste una remota speranza per l’integrazione degli ebrei nella regione, un uomo come Peretz potrebbe riuscirci. È un uomo come Peretz, arabo anche lui, che può trattare con rispetto i suoi vicini. Contrapposto al sogno globale di Shimon Peres di un ‘nuovo Medio Oriente’ nel quale Israele dispensa ricchezza agli arabi ‘inferiori’ c’è il messaggio di Amir Peretz al popolo israeliano, semplice e molto meno pomposo: quando avremo affrontato i nostro problemi sociali saremo pronti per parlare di pace con i nostri vicini. Questo messaggio in realtà è molto più profondo di qualsiasi altro manifesto politico israeliano che mi possa venire in mente. Tanto per cominciare è genuino. Per la prima volta un politico israeliano considera la pace come un significante ricco di significato piuttosto che un vuoto slogan.

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Per la prima volta un politico israeliano si rifiuta di pronunciare la parola ‘shalom’ tanto per il gusto di dirla. Il messaggio di Peretz poi, non è solo autentico, ma potrebbe anche essere un messaggio alla comunità europea: basta capitalismo globale. Invece di servire la politica dei grandi affari, è meglio occuparsi del proprio giardino. Questo messaggio potrebbe aiutare la confusa sinistra francese a risolvere l’attuale crisi. A meno che non si introduca una qualche forma di giustizia sociale nelle nostre discussioni nazionali, l’Europa diventerà un inferno. Senza dimenticare che per molti è già un inferno.

Non è un caso che Peretz abbia lanciato questo messaggio. Il deterioramento morale di Israele supera quello europeo. In quanto stato americanizzato ha sofferto per molti anni per l’impatto della politica globale. Israele non è che il microcosmo di una feroce battaglia culturale. In prima linea nel cosiddetto ‘conflitto culturale’, Israele è il posto dove si incontrano Oriente ed Occidente. Dove i coloni si incontrano con i colonizzati oppressi e dove i neri si incontrano con i bianchi. Iseaele è il dolore che il colonialismo occidentale ha sparso nel mondo arabo. Gli israeliani sono gli occupanti, ma allo stesso tempo soffrono loro stessi per essere i perpetratori di queste politiche maledette.

La società israeliana si sta disgregando sotto il fardello di molti interessi in conflitto fra loro. Da un lato possiamo distinguere le tracce liberali occidentali del capitalismo aggressivo e delle privatizzazioni. L’economia israeliana è gestita da grosse imprese, che hanno prodotto una società ossessionata dal consumismo. Dall’altro lato si osserva un divario economico in rapida ascesa tra ricchi e poveri, che ha portato a gravi disagi sociali. La vittoria di Peretz è una reazione diretta al capitalismo globale. L’eroe venuto dal basso sembra essere la risposta migliore al nemico globale senza volto.

E sono proprio il capitalismo aggressivo e gli interessi globali che potrebbero trasformare Amir Peretz nel prossimo Primo Ministro di Israele. È ormai diventato evidente che l’unico modo di affrontare il capitalismo globale è combatterlo a livello locale e sociale, ed è proprio quello che il Partito Laburista israeliano ha deciso di fare. Hanno saggiamente scaricato il loro vecchio globalizzatore Peres a favore di un uomo del popolo. Nelle prossime elezioni il popolo israeliano dovrà scegliere tra la visione di un capitalismo aggressivo del famigerato Netanyahu e l’appello alla trasformazione sociale e all’uguaglianza portato avanti da Peretz.

Mi permetto di supporre che sia questa l’intenzione dell’Europa. I disordini all’interno dei seggi posteriori dei laburisti, che hanno portato alla sconfitta di Blair nella Camera dei Comuni britannica meno di una settimana fa, indicano che sono le agitazioni locali che alla fine rovesceranno Blair, piuttosto che i suoi numerosi crimini di guerra in Iraq. A meno che la Francia non appoggi un’attitudine sociale sincera sta andando incontro ad una guerra civile. Se la sinistra parlamentare europea è interessata a salvare se stessa e l’Europa da una completa sconfitta verso valori americani di avidità ed egoismo radicale, potrebbe voler esaminare le mosse di Peretz nei prossimi mesi. La sinistra europea può sopravvivere a questa maledetta era, solo a patto che prenda immediatamente le distanze dalla politica dei grandi affari e che adotti una particolare strategia sociale rivolta ai singoli discorsi locali e alle questioni di quello che resta dello stato nazionale.

Gilad Atzmon
Fonte: http://www.gilad.co.uk/
Link: http://www.gilad.co.uk/html%20files/peretz.html
Novembre 2005

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Olimpia Bertoldini

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