IL 2012 PORTER LA GUERRA TRIBALE IN LIBIA?

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DI FRANKLIN LAMB
Countercurrents.org

Il tempo a Tripoli in questa settimana

di capodanno è inaspettatamente glaciale con le pesanti piogge

che allagano le strade, ricordandomi più una tetra Londra che

la costa meridionale magrebina del Mediterraneo. Il mio albergo fuori

dalla via Omar Muktar, gestito da una modesta famiglia, è pulito ed

economico, ma la mia stanza non ha riscaldamento a parte quello che

si può riuscire a ottenere con una sfilza di coperte turche in felpa.
Sia io che l’unico altro ospite registrato,

un ingegnere libico di Sirte la cui casa è stata incendiata dai ribelli

all’inizio di ottobre, stimiamo molto il proprietario dell’albergo

che ha riaperto ai primi di novembre dopo la chiusura che andava avanti

da marzo. È un’enciclopedia di conoscenze e di opinioni sulla “situazione

odierna”. Ma il proprietario dell’albergo e i suoi due figli che

parlano inglese non sono i soli che non possono tacere sulla realtà

della “nuova Libia” a quasi due mesi dalla sedicente vittoria della

NATO, che ha praticamente ridotto in macerie questo paese, da un punto

di vista militare, del Terzo Mondo con i più sofisticati arsenali del

Primo.

La mia fortuna in questo viaggio è

stata quella di ritrovare il mio migliore amico dei mesi che ho trascorso

in Libia la scorsa estate. “Ahmad”, che come quasi tutti i contatti,

era svanito senza lasciare traccia il 22 agosto dopo la presa di Tripoli

da parte delle truppe della NATO. Come gia sapevamo, quelli che avevamo

frequentato quest’estate erano fuggiti, sono stati imprigionati o

uccisi. “Ahmad” è riapparso a settembre con un’email

per spiegarmi dove si stesse nascondendo. Era sceso nella Libia del

sud in una piccola città sahariana che non figura sulle carte geografiche,

figuriamoci su Google Earth. Poi, dopo qualche settimana Ahmad è scomparso

di nuovo quando si è avventurato per fare visita alla famiglia vicino

Tripoli. Era stato tradito dagli amici per i soldi delle milizie, è

stato arrestato, torturato e imprigionato senza imputazione solo sapevano

che la sua famiglia sosteneva Gheddafi. Nell’ultima settimana di prigionia

di Ahmad, che è terminata solo perché una delle guardie era un suo

compagno di classe, lui e più di altri cento – tra cui Sheik Khaled

Fantouch, tutti detenuti in una grande stanza di una prigione improvvisata

a Misurata – non hanno ricevuto niente da mangiare e si sono divisi

le bottiglie d’acqua per sopravvivere.

La vita in Libia è diventata

per tutti più difficile, visitatori stranieri compresi. Un esempio:

tornando all’estate, prima del 21 agosto, se ci si trovava di fronte

sul marciapiede qualcuno pesantemente armato e corrucciato era una buona

idea sussurrare “Allah, Muammar, Libya, al bas” (“è tutto quello

che ci serve!”) e c’erano buone possibilità di essere salutati

calorosamente. Ora è molto più complicato. Più di 55 milizie dei

ribelli, per un totale di oltre 30.000 combattenti armati, controllano

parti di Tripoli, alcune con una lasca protezione e direzione di Belhaj,

il Comandante Militare di Tripoli del CNT. Belhaj, prima in Al Qaeda,

ha trascorso qui sette anni di prigione quando gli Stati Uniti e il

Regno Unito lo spedirono al regime di Gheddafi seguendo un programma

di catture forzate. Il suo partito, che si è formato all’interno

della Fratellanza Musulmana, probabilmente vincerà le elezioni del

prossimo giugno. È nella terza più potente milizia di Tripoli. La

più grande è guidata da Salh Gait, da Tripoli, e secondo il suo vice

ha 5.000 combattenti e altri si stanno aggiungendo.

In questi giorni, in Libia è una buona

idea memorizzare il nome della maggiore milizia locale e dei suoi

leader, e così, quando si viene avvicinati da qualche soggetto

poco amichevole e pesantemente armato si possono sfregare i due diti

indice e dire il nome del capo aggiungendo “Mieh, mieh”, “Bene,

bene”. Si vuole evitare di dire il nome sbagliato della milizia e

del leader perché oggi c’è una strana calma a Tripoli dopo

alcune settimane fitte di schermaglie poco riportate sulla stampa.

Poco riportate per la seguente ragione.

Il governo di transizione sbandiera con quotidianità la nuova libertà

della stampa, parlando dell’esistenza di 43 nuovi giornali o riviste.

A prima vista sembra una cosa positiva e ogni settimana il numero varia

quando i finanziatori locali e stranieri non riescono a recapitare i

soldi promessi o altri iniziano a pubblicare un quotidiano o un settimanale.

La cosa da rimarcare “sulla nuova

Libia libera, sui nuovi media liberi” è che è al 100% solidale

col “nuovo governo”. Mi è stato detto che solo in parte viene dalla

paura delle conseguenze che verrebbero da non seguire il copione di

un sostegno generalizzato per il CNT. Un altra ragione, secondo un ambasciatore

occidentale che ha risposto a questo post, è che i nuovi media

provengono dalla miriade di milizie e hanno un problema psicologico

nel criticare i problemi che sembrano lievitare giorno dopo giorno.

Ahmad puntualizza: “Erano così

vicini alla NATO e ai ribelli che non vogliono ammettere che si erano

sbagliati su molte questioni e allora ignorano quello sta avvenendo

davanti ai loro occhi.

Ho assistito ieri a un esempio in Piazza

Verde. Il proprietario dell’albergo mi ha spiegato che quasi tutti

continuano a chiamarla Piazza Verde invece di Piazza dei Martiri secondo

la ridenominazione del CNT “perché

è stata la Piazza Verde per decenni e cosa c’è di sbagliato in quel

nome? Se dici a qualcuno di incontrarsi in

‘Piazza dei Martiri’, la cosa sembra stupida. Cosa succederebbe

se il nuovo governo egiziano desse un altro nome a Piazza Tahrir? La

gente in Egitto lo accetterebbe?”

Ieri sono stato sorpreso dall’assistere

a due ben nutrite manifestazioni contro il governo indette alle opposte

estremità di questo grande spazio. Una era organizzata da due donne

che avevo conosciuto durante l’estate che erano e apertamente sono

ancora sostenitrici del regime di Gheddafi. La prima guidava la scorsa

estate un gruppo di donne avvocato e l’altra un gruppo di donne. Questa

dimostrazione chiedeva la cittadinanza per i mariti e i bambini delle

mogli e delle madri libiche. La stessa lotta che prosegue da decenni

in Libano.

L’altra dimostrazione, tenuta da

una signora avvocato che avevo visto parlare a una conferenza al Corinthia

Hotel pochi giorni prima della caduta di Tripoli, era organizzata da

un gruppo che chiedeva giustizia per quelli che erano scomparsi e che

a decine sono stati confinati nelle prigioni segrete delle milizie in

tutto il paese. Secondo la ricerca del suo comitato, oltre ai 7000 e

più lealisti di Gheddafi che sono stati imprigionati dal CNT – l’80%

identificato per nome -, il Comitato per la Giustizia degli Scomparsi

afferma che sono più di 35.000 i libici reclusi segretamente dalla

milizia che sono fuori dal controllo e talvolta persino ignoti al fondamentalmente

esautorato CNT. Ahmad ritiene corretti questi dati da quello che ha

potuto capire in prigione e mi ha spiegato che, se mi avesse portato

in una scuola nei pressi dell’albergo prima della riapertura del 7

gennaio, se si cammina di notte senza il rumore del traffico si possono

sentire le grida delle guardie e le urla dei prigioni.

A me sembra che, almeno per il momento,

le manifestazioni vengono permesse anche se c’è una pletora di osservatori

che controllano tutto e tutti capiscono quali sono quelli del CNT e

delle forze di sicurezza della milizia.

Ahmad è appena arrivato a prendermi

e mi ha informato che nessuna manifestazione è stata riportata

sui giornali di questa mattina grazie ai nuovi media libici,

così magnanimi da non fare mai critiche al nuovo governo.

La signora che guida l’altro consesso

ha proposte varie questioni che il suo gruppo vuole sollevare. Una è

il fatto che molte donne sono scomparse dalle vie e che non se ne sente

più parlare. Lei sospetta che alcune siano finite nelle case che prima

erano dei parenti di Gheddafi e dei sostenitori del regime. Ritiene

che solo a Tripoli più di novanta di queste case – tutte in zone pregiate,

spesso sul mare – siano state saccheggiate da varie gang dei

ribelli e derubate dei beni che si possono ora trovare in vendita nei

suk. Vedendo la distruzione di queste proprietà, molti membri della

milizia hanno avuto un’idea migliore. Perché tornare a Bengasi, Misurata

o in qualsiasi altro posto quando possono vivere qui a Tripoli in un

relativo lusso? Sono centinaia gli uomini delle milizie che stanno facendo

questo, secondo “Mara”, l’attivista per le donne. “Sono ben

armati, vivono di una piccola paga della milizia, ma più

che altro di svariati delitti, stanno iniziando a riparare quello che

hanno prima distrutto e si sono trasferiti per rimanerci, tanto da affittare

stanze ai nuovi arrivati”. Mara ha aggiunto, “Se vedono una

casa vuota, specialmente se è bella, ritengono, spesso giustamente,

che fosse dei parenti, dei funzionari o dei sostenitori di Gheddafi

e pensano quindi che sia a loro disposizione. E se la prendono. E sfidano

chiunque, le altre milizie e l’inesistente nuovo governo a cercare

di farli sgomberare. Non hanno alcuna intenzione di tornare da dove

sono venuti, tanto meno di posare le armi. Al contrario, si stanno accaparrando

sempre più armi ed esplosivi, sia per la sicurezza che per aumentare

il proprio potere contrattuale in campo politico. Sembra proprio che

la Libia sia terreno di conquista per molte operazioni, sia locali che

provenienti dall’estero.” La stessa signora mi ha detto che

la popolazione di Tripoli è aumentata di un milione e i locali vogliono

che gli “estranei” ritornino alle loro città e che permettano ai

veri residenti di Tripoli di prendersi cura della propria. Gli estranei

aggiungono problemi al traffico e provocano problemi di sicurezza, tanto

che le persone non escono la sera.

Alcuni degli invasori di queste case

hanno spostato le proprie famiglie dalle altre zone della Libia, altri

sono accusati dai gruppi di tutela delle donne di tenere recluse le

lavoratrici domestiche straniere e di aver sequestrato ragazze nelle

strade e di averle schiavizzate nei propri rifugi.

Ma molti sono infuriati perché

il nuovo “governo” non riconosce neppure l’esistenza del problema,

visto che non ha alcun desiderio di assistere a un’indagine della

Corte Penale Internazionale sui crimini delle due parti, e non vuole

controllori che vadano in giro a fare domande.

I libici all’interno del paese e

quelli che cercano sicurezza nelle nazioni vicine si stanno sempre più

affidando alle dieci maggiori tribù per porre fine a questa situazione

e a tanti altri problemi.

Un problema che si pensa sia sul punto

di esplodere con violenza viene dalle aree di Bani Wallid e Sirte, dove

la NATO e le forze locali hanno ucciso molti civili di cui nessun gruppo

a sostegno dei diritti umani è venuto a conoscenza. Un comandante di

una milizia locale ha spiegato a me e altri due colleghi qualcosa che

ha appreso mentre stava aiutando a gestire una prigione segreta: “Anche

se un anno fa erano già presenti divisioni intra-tribali o geografiche,

ora sono 500 volte peggiori. Le tribù

si stanno armando e hanno dato al governo diverse scadenze sugli impegni

per ricostruire le abitazioni e le aziende distrutte, per aiutare le

famiglie senza casa, per togliere le armi dalla strada e rispedire le

bande armate nei posti di provenienza. Al momento il governo non ha

fatto niente e la gente è sempre più

arrabbiata.”

Uno dei problemi che crea più

attrito è l’aumento generalizzato dei prezzi, a parte l’elettricità

che, secondo le mie fonti, nessuno sta pagando in tutta la nazione dallo

scorso febbraio. Ma le interruzioni del servizio sono analoghe a quelle

dei bombardamenti della NATO. La mancanza di soldi è un problema per

i cittadini a cui non è consentito prelevare più di 750 dinari al

giorno. Il denaro è ancora relativamente scarso e, oltre ai 7 miliardi

che sono stati portati via dalle banche libiche dagli ex funzionari

e dagli uomini d’affari la scorsa primavera, altri 8 sono stati ritirati

durante l’estate dai cittadini in preda al panico prima che venisse

imposto dal governo di Gheddafi il limite di 500 dinari al mese.

Mi è stato suggerito, sia nelle

nazioni vicine che in Libia dai rappresentanti delle Tribù, che la

guerra potrebbe già arrivare il 1° marzo: “La nostra

storia, la nostra cultura, la nostra dignità, sono in pericolo.

È responsabilità delle Tribù ripulire il paese da questi fuorilegge

come abbiamo fatto con i colonizzatori italiani.”

Nel corso di una riunione in un paese

confinante, un lealista di Gheddafi ha spiegato: “Conosciamo le

tribù che hanno collaborato con la NATO e che hanno svenduto i nostri

diritti di nascita. Era successa la stessa cosa con gli italiani e negli

anni con le compagnie petrolifere straniere. Lotteremo per rimettere

in sella il popolo libico, sapendo che il regime di Gheddafi ha fatto

degli errori, ma anche che il sostegno oggi va dal 90% nelle aree della

Tribù Wafala come a Bani Walid a quasi il 60% a Tripoli. Lui non tornerà,

ma lo faranno molte delle sue buone politiche, enshallah.”

**********************************************

Fonte: Will 2012 Bring Tribal War To Libya?

01.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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