DI FRANKLIN LAMB
Countercurrents.org
Il tempo a Tripoli in questa settimana
di capodanno è inaspettatamente glaciale con le pesanti piogge
che allagano le strade, ricordandomi più una tetra Londra che
la costa meridionale magrebina del Mediterraneo. Il mio albergo fuori
dalla via Omar Muktar, gestito da una modesta famiglia, è pulito ed
economico, ma la mia stanza non ha riscaldamento a parte quello che
si può riuscire a ottenere con una sfilza di coperte turche in felpa.
Sia io che l’unico altro ospite registrato,
un ingegnere libico di Sirte la cui casa è stata incendiata dai ribelli
all’inizio di ottobre, stimiamo molto il proprietario dell’albergo
che ha riaperto ai primi di novembre dopo la chiusura che andava avanti
da marzo. È un’enciclopedia di conoscenze e di opinioni sulla “situazione
odierna”. Ma il proprietario dell’albergo e i suoi due figli che
parlano inglese non sono i soli che non possono tacere sulla realtà
della “nuova Libia” a quasi due mesi dalla sedicente vittoria della
NATO, che ha praticamente ridotto in macerie questo paese, da un punto
di vista militare, del Terzo Mondo con i più sofisticati arsenali del
Primo.
La mia fortuna in questo viaggio è
stata quella di ritrovare il mio migliore amico dei mesi che ho trascorso
in Libia la scorsa estate. “Ahmad”, che come quasi tutti i contatti,
era svanito senza lasciare traccia il 22 agosto dopo la presa di Tripoli
da parte delle truppe della NATO. Come gia sapevamo, quelli che avevamo
frequentato quest’estate erano fuggiti, sono stati imprigionati o
uccisi. “Ahmad” è riapparso a settembre con un’email
per spiegarmi dove si stesse nascondendo. Era sceso nella Libia del
sud in una piccola città sahariana che non figura sulle carte geografiche,
figuriamoci su Google Earth. Poi, dopo qualche settimana Ahmad è scomparso
di nuovo quando si è avventurato per fare visita alla famiglia vicino
Tripoli. Era stato tradito dagli amici per i soldi delle milizie, è
stato arrestato, torturato e imprigionato senza imputazione solo sapevano
che la sua famiglia sosteneva Gheddafi. Nell’ultima settimana di prigionia
di Ahmad, che è terminata solo perché una delle guardie era un suo
compagno di classe, lui e più di altri cento – tra cui Sheik Khaled
Fantouch, tutti detenuti in una grande stanza di una prigione improvvisata
a Misurata – non hanno ricevuto niente da mangiare e si sono divisi
le bottiglie d’acqua per sopravvivere.
La vita in Libia è diventata
per tutti più difficile, visitatori stranieri compresi. Un esempio:
tornando all’estate, prima del 21 agosto, se ci si trovava di fronte
sul marciapiede qualcuno pesantemente armato e corrucciato era una buona
idea sussurrare “Allah, Muammar, Libya, al bas” (“è tutto quello
che ci serve!”) e c’erano buone possibilità di essere salutati
calorosamente. Ora è molto più complicato. Più di 55 milizie dei
ribelli, per un totale di oltre 30.000 combattenti armati, controllano
parti di Tripoli, alcune con una lasca protezione e direzione di Belhaj,
il Comandante Militare di Tripoli del CNT. Belhaj, prima in Al Qaeda,
ha trascorso qui sette anni di prigione quando gli Stati Uniti e il
Regno Unito lo spedirono al regime di Gheddafi seguendo un programma
di catture forzate. Il suo partito, che si è formato all’interno
della Fratellanza Musulmana, probabilmente vincerà le elezioni del
prossimo giugno. È nella terza più potente milizia di Tripoli. La
più grande è guidata da Salh Gait, da Tripoli, e secondo il suo vice
ha 5.000 combattenti e altri si stanno aggiungendo.
In questi giorni, in Libia è una buona
idea memorizzare il nome della maggiore milizia locale e dei suoi
leader, e così, quando si viene avvicinati da qualche soggetto
poco amichevole e pesantemente armato si possono sfregare i due diti
indice e dire il nome del capo aggiungendo “Mieh, mieh”, “Bene,
bene”. Si vuole evitare di dire il nome sbagliato della milizia e
del leader perché oggi c’è una strana calma a Tripoli dopo
alcune settimane fitte di schermaglie poco riportate sulla stampa.
Poco riportate per la seguente ragione.
Il governo di transizione sbandiera con quotidianità la nuova libertà
della stampa, parlando dell’esistenza di 43 nuovi giornali o riviste.
A prima vista sembra una cosa positiva e ogni settimana il numero varia
quando i finanziatori locali e stranieri non riescono a recapitare i
soldi promessi o altri iniziano a pubblicare un quotidiano o un settimanale.
La cosa da rimarcare “sulla nuova
Libia libera, sui nuovi media liberi” è che è al 100% solidale
col “nuovo governo”. Mi è stato detto che solo in parte viene dalla
paura delle conseguenze che verrebbero da non seguire il copione di
un sostegno generalizzato per il CNT. Un altra ragione, secondo un ambasciatore
occidentale che ha risposto a questo post, è che i nuovi media
provengono dalla miriade di milizie e hanno un problema psicologico
nel criticare i problemi che sembrano lievitare giorno dopo giorno.
Ahmad puntualizza: “Erano così
vicini alla NATO e ai ribelli che non vogliono ammettere che si erano
sbagliati su molte questioni e allora ignorano quello sta avvenendo
davanti ai loro occhi.”
Ho assistito ieri a un esempio in Piazza
Verde. Il proprietario dell’albergo mi ha spiegato che quasi tutti
continuano a chiamarla Piazza Verde invece di Piazza dei Martiri secondo
la ridenominazione del CNT “perché
è stata la Piazza Verde per decenni e cosa c’è di sbagliato in quel
nome? Se dici a qualcuno di incontrarsi in
‘Piazza dei Martiri’, la cosa sembra stupida. Cosa succederebbe
se il nuovo governo egiziano desse un altro nome a Piazza Tahrir? La
gente in Egitto lo accetterebbe?”
Ieri sono stato sorpreso dall’assistere
a due ben nutrite manifestazioni contro il governo indette alle opposte
estremità di questo grande spazio. Una era organizzata da due donne
che avevo conosciuto durante l’estate che erano e apertamente sono
ancora sostenitrici del regime di Gheddafi. La prima guidava la scorsa
estate un gruppo di donne avvocato e l’altra un gruppo di donne. Questa
dimostrazione chiedeva la cittadinanza per i mariti e i bambini delle
mogli e delle madri libiche. La stessa lotta che prosegue da decenni
in Libano.
L’altra dimostrazione, tenuta da
una signora avvocato che avevo visto parlare a una conferenza al Corinthia
Hotel pochi giorni prima della caduta di Tripoli, era organizzata da
un gruppo che chiedeva giustizia per quelli che erano scomparsi e che
a decine sono stati confinati nelle prigioni segrete delle milizie in
tutto il paese. Secondo la ricerca del suo comitato, oltre ai 7000 e
più lealisti di Gheddafi che sono stati imprigionati dal CNT – l’80%
identificato per nome -, il Comitato per la Giustizia degli Scomparsi
afferma che sono più di 35.000 i libici reclusi segretamente dalla
milizia che sono fuori dal controllo e talvolta persino ignoti al fondamentalmente
esautorato CNT. Ahmad ritiene corretti questi dati da quello che ha
potuto capire in prigione e mi ha spiegato che, se mi avesse portato
in una scuola nei pressi dell’albergo prima della riapertura del 7
gennaio, se si cammina di notte senza il rumore del traffico si possono
sentire le grida delle guardie e le urla dei prigioni.
A me sembra che, almeno per il momento,
le manifestazioni vengono permesse anche se c’è una pletora di osservatori
che controllano tutto e tutti capiscono quali sono quelli del CNT e
delle forze di sicurezza della milizia.
Ahmad è appena arrivato a prendermi
e mi ha informato che nessuna manifestazione è stata riportata
sui giornali di questa mattina grazie ai nuovi media libici,
così magnanimi da non fare mai critiche al nuovo governo.
La signora che guida l’altro consesso
ha proposte varie questioni che il suo gruppo vuole sollevare. Una è
il fatto che molte donne sono scomparse dalle vie e che non se ne sente
più parlare. Lei sospetta che alcune siano finite nelle case che prima
erano dei parenti di Gheddafi e dei sostenitori del regime. Ritiene
che solo a Tripoli più di novanta di queste case – tutte in zone pregiate,
spesso sul mare – siano state saccheggiate da varie gang dei
ribelli e derubate dei beni che si possono ora trovare in vendita nei
suk. Vedendo la distruzione di queste proprietà, molti membri della
milizia hanno avuto un’idea migliore. Perché tornare a Bengasi, Misurata
o in qualsiasi altro posto quando possono vivere qui a Tripoli in un
relativo lusso? Sono centinaia gli uomini delle milizie che stanno facendo
questo, secondo “Mara”, l’attivista per le donne. “Sono ben
armati, vivono di una piccola paga della milizia, ma più
che altro di svariati delitti, stanno iniziando a riparare quello che
hanno prima distrutto e si sono trasferiti per rimanerci, tanto da affittare
stanze ai nuovi arrivati”. Mara ha aggiunto, “Se vedono una
casa vuota, specialmente se è bella, ritengono, spesso giustamente,
che fosse dei parenti, dei funzionari o dei sostenitori di Gheddafi
e pensano quindi che sia a loro disposizione. E se la prendono. E sfidano
chiunque, le altre milizie e l’inesistente nuovo governo a cercare
di farli sgomberare. Non hanno alcuna intenzione di tornare da dove
sono venuti, tanto meno di posare le armi. Al contrario, si stanno accaparrando
sempre più armi ed esplosivi, sia per la sicurezza che per aumentare
il proprio potere contrattuale in campo politico. Sembra proprio che
la Libia sia terreno di conquista per molte operazioni, sia locali che
provenienti dall’estero.” La stessa signora mi ha detto che
la popolazione di Tripoli è aumentata di un milione e i locali vogliono
che gli “estranei” ritornino alle loro città e che permettano ai
veri residenti di Tripoli di prendersi cura della propria. Gli estranei
aggiungono problemi al traffico e provocano problemi di sicurezza, tanto
che le persone non escono la sera.
Alcuni degli invasori di queste case
hanno spostato le proprie famiglie dalle altre zone della Libia, altri
sono accusati dai gruppi di tutela delle donne di tenere recluse le
lavoratrici domestiche straniere e di aver sequestrato ragazze nelle
strade e di averle schiavizzate nei propri rifugi.
Ma molti sono infuriati perché
il nuovo “governo” non riconosce neppure l’esistenza del problema,
visto che non ha alcun desiderio di assistere a un’indagine della
Corte Penale Internazionale sui crimini delle due parti, e non vuole
controllori che vadano in giro a fare domande.
I libici all’interno del paese e
quelli che cercano sicurezza nelle nazioni vicine si stanno sempre più
affidando alle dieci maggiori tribù per porre fine a questa situazione
e a tanti altri problemi.
Un problema che si pensa sia sul punto
di esplodere con violenza viene dalle aree di Bani Wallid e Sirte, dove
la NATO e le forze locali hanno ucciso molti civili di cui nessun gruppo
a sostegno dei diritti umani è venuto a conoscenza. Un comandante di
una milizia locale ha spiegato a me e altri due colleghi qualcosa che
ha appreso mentre stava aiutando a gestire una prigione segreta: “Anche
se un anno fa erano già presenti divisioni intra-tribali o geografiche,
ora sono 500 volte peggiori. Le tribù
si stanno armando e hanno dato al governo diverse scadenze sugli impegni
per ricostruire le abitazioni e le aziende distrutte, per aiutare le
famiglie senza casa, per togliere le armi dalla strada e rispedire le
bande armate nei posti di provenienza. Al momento il governo non ha
fatto niente e la gente è sempre più
arrabbiata.”
Uno dei problemi che crea più
attrito è l’aumento generalizzato dei prezzi, a parte l’elettricità
che, secondo le mie fonti, nessuno sta pagando in tutta la nazione dallo
scorso febbraio. Ma le interruzioni del servizio sono analoghe a quelle
dei bombardamenti della NATO. La mancanza di soldi è un problema per
i cittadini a cui non è consentito prelevare più di 750 dinari al
giorno. Il denaro è ancora relativamente scarso e, oltre ai 7 miliardi
che sono stati portati via dalle banche libiche dagli ex funzionari
e dagli uomini d’affari la scorsa primavera, altri 8 sono stati ritirati
durante l’estate dai cittadini in preda al panico prima che venisse
imposto dal governo di Gheddafi il limite di 500 dinari al mese.
Mi è stato suggerito, sia nelle
nazioni vicine che in Libia dai rappresentanti delle Tribù, che la
guerra potrebbe già arrivare il 1° marzo: “La nostra
storia, la nostra cultura, la nostra dignità, sono in pericolo.
È responsabilità delle Tribù ripulire il paese da questi fuorilegge
come abbiamo fatto con i colonizzatori italiani.”
Nel corso di una riunione in un paese
confinante, un lealista di Gheddafi ha spiegato: “Conosciamo le
tribù che hanno collaborato con la NATO e che hanno svenduto i nostri
diritti di nascita. Era successa la stessa cosa con gli italiani e negli
anni con le compagnie petrolifere straniere. Lotteremo per rimettere
in sella il popolo libico, sapendo che il regime di Gheddafi ha fatto
degli errori, ma anche che il sostegno oggi va dal 90% nelle aree della
Tribù Wafala come a Bani Walid a quasi il 60% a Tripoli. Lui non tornerà,
ma lo faranno molte delle sue buone politiche, enshallah.”
Fonte: Will 2012 Bring Tribal War To Libya?
01.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE