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La Redazione

 

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IDEE PER UNA MANOVRA FINANZIARIA EQUA

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A cura di supervice
Il 8 Settembre 2011
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DI DOMENICO DE SIMONE
domenicods.wordpress.com

La situazione dei conti degli Stati europei è a un bivio. Il debito pubblico continua a salire, la ripresa non arriva né ci sono segnali di una inversione di tendenza, le manovre finanziarie sono tutte improntate al rigore dei conti pubblici, il che è giusto, ma trovano denaro soprattutto aumentando le tasse sul reddito, cosa che, in una situazione di stagnazione recessione come quella che sta passando l’Europa intera dalla crisi del 2007, ha effetti assolutamente deleteri sia sul piano economico che sul piano sociale.

Il cancelliere tedesco Merkel ed il Premier francese Sarkozy, hanno avvertito che il momento è straordinario e che sono necessari provvedimenti straordinari per porvi rimedio. Hanno, pertanto, proposto l’istituzione a livello europeo, con l’idea di estenderne poi l’applicazione a tutto il mondo, della Tobin tax, un’imposta sulle transazioni finanziarie che va colpire e regolamentare soprattutto la speculazione, riducendo drasticamente quel vortice di transazioni che hanno portato i volumi delle attività finanziarie nel mondo ad oltre 651.000 miliardi di dollari, diverse volte il PIL del mondo, e generando flussi di imposta decisamente rilevanti anche in presenza di una drastica riduzione dei volumi.

Il messaggio di Merkel e Sarkozy è chiaro: la finanza ha generato il problema e la finanza deve risolverlo con le sue risorse. Anche perché nella società non ce ne sono altre sufficienti per avviare una soluzione definitiva, ovvero una consistente riduzione del debito che non porti con sé una recessione che comporterebbe, al contrario, una ulteriore crescita del debito. E per giunta, le risorse del mondo finanziario sono notevoli.

Chi ha letto i miei scritti sa che propugno da tempo una tassazione sulle attività finanziarie, anche ben più estesa della Tobin Tax, ed un sistema finanziario che ci faccia uscire dalla spirale perversa del debito. Non ne parla quasi nessuno, ma non è difficile capire che è profondamente ingiusto un sistema fiscale che tassi con aliquote che raggiungono anche l’80% il reddito delle persone fisiche, mentre le rendite finanziarie pagano al massimo la cedolare secca del 12,50%. È chiaro che un sistema siffatto comporta un trasferimento di ricchezza continuo dal mondo del lavoro a quello della finanza, che con il tempo diventa sempre più veloce e consistente.

Lo strumento principale che ritengo sia necessario introdurre è il denaro a tasso negativo insieme al reddito di cittadinanza, per sostenere allo stesso tempo ed in maniera equilibrata gli investimenti e la domanda da questi generata ed uscire dalle ingiustizie e dagli squilibri causati dall’economia del debito, e pertanto ogni imposta che colpisca la ricchezza finanziaria va nella direzione giusta.

Tuttavia, l’introduzione di una Tobin Tax è un buon inizio per riformare il sistema finanziario. Le polemiche sul fatto che una Tobin applicata in un solo paese sarebbe inefficace sono assolutamente sterili. In Inghilterra si applica da anni una stamp tax dello 0,5% sull’acquisto di azioni quotate che genera entrate per circa 8 miliardi di euro l’anno e non mi sembra che il mercato inglese abbia subito gravi conseguenze da questa imposizione fiscale.

Una Tobin Tax dello 0,5% su ogni transazione finanziaria applicata al mercato italiano, potrebbe generare ricavi di imposta per oltre 5 miliardi di euro l’anno, considerando anche l’ipotetica riduzione degli scambi indotta dall’applicazione della tassa. Naturalmente l’imposta dovrebbe poi essere armonizzata con quella che sarà stabilita a livello europeo, poiché è fuori di dubbio che, nonostante le resistenze fortissime delle lobbies finanziarie, alla fine la tassa verrà istituita. Non solo perché è ragionevole, oggi come lo era quarant’anni fa quando per la prima volta fu formulata da James Tobin, ma soprattutto perché non c’è un’alternativa seria per sopperire alla mancanza di mezzi finanziari da parte degli Stati europei, anche di quelli più virtuosi sul piano della correttezza della spesa pubblica come Francia e Germania.

Ma le imposte sulla ricchezza finanziaria non si esauriscono con la Tobin Tax. I dati italiani sono che il totale degli strumenti finanziari supera i 12.000 miliardi di euro e di questi, oltre 800 miliardi sono i depositi liquidi.
Questo comporta che un’imposta dello 0,1% (uno per mille) sugli strumenti finanziari genera un gettito certo di 12 miliardi di euro. Il gettito è assicurato dal fatto che tutti gli strumenti finanziari considerati sono in forma elettronica nelle banche che, in ipotesi di applicazione, fungerebbero da sostituti di imposta.

Ritengo che l’applicazione della Tobin Tax debba essere accompagnata da altre imposte sulla ricchezza finanziaria, articolate in modo tale da indurne i possessori ad effettuare investimenti adatti a rilanciare l’economia. E se la Tobin Tax riduce, anche in misura considerevole, la speculazione finanziaria, essa non garantisce alcunché su un diverso utilizzo della ricchezza. Paradossalmente, anzi, i possessori di liquidità potrebbero trattenerla senza effettuare alcun acquisto, in attesa dell’occasione giusta per un’operazione che gli assicuri un risultato utile al netto della tassa. In altri termini, il rischio è che la Tobin Tax rafforzi la trappola della liquidità in cui le economie occidentali, con maggiore (Giappone) e minore (Europa in genere) livello si sono cacciate. Occorre quindi affiancare alla Tobin Tax delle imposte che inducano i possessori di ricchezza finanziaria ad investirla in modo da rilanciare l’economia, da colpire la rendita passiva e la speculazione e premiare gli investimenti. A prescindere dal momento contingente che richiede uno sforzo straordinario per il riequilibrio dei conti, deve essere necessariamente tenuta in considerazione la necessità di rilanciare gli investimenti che lo svolgimento della crisi ha fortemente penalizzato. Si può quindi ipotizzare un meccanismo di recupero dell’imposta versata per gli investimenti che generano occupazione aggiungendo a questo recupero anche un contributo per l’investimento. Il meccanismo potrebbe essere articolato in questo modo.

Ipotizziamo un’imposta generale straordinaria sul possesso degli strumenti finanziari dello 0,3% che, insieme alla Tobin sulle transazioni finanziarie dovrebbe generare un flusso di 46 miliardi in due anni, sufficienti a coprire le necessità della manovra. Questa imposta potrebbe anche non essere limitata alla contingenza attuale che richiede interventi straordinari, ma si può pensare ad istituirla stabilmente in una misura tra lo 0,05% e lo 0,1%, al fine di generare flussi di cassa da utilizzare per gli investimenti.
Allo stesso tempo ipotizziamo un’imposta sul possesso di denaro liquido pari al 2% annuo, imposta da esigere giornalmente in proporzione alle somme detenute sui conti. Il denaro liquido ammonta a oltre 800 miliardi di euro e l’applicazione giornaliera dell’imposta consisterebbe in un prelievo dello 0,0055% al giorno, in pratica 55 euro per ogni milione depositato. Di fatto è una tassa impercettibile, che però può essere completamente annullata ed essere trasformata in contributo dello Stato sugli investimenti con le modalità seguenti.

Un’imposta del genere dovrebbe essere applicata su tutti i conti correnti, ma di fatto andrebbe a colpire le grandi concentrazioni di capitali per indurle all’investimento. Infatti, il cittadino che possiede un deposito liquido di 100.000 euro per la propria tranquillità, può ben sopportare un’imposta di 2.000 euro l’anno o di 5 euro al giorno senza stracciarsi le vesti. Oltretutto il piccolo risparmiatore non possiede in genere più di 10/20.000 euro liquidi sul conto “per ogni evenienza” e, per effetto degli interventi che descriverò appresso, non andrebbe di fatto a soffrire alcuna perdita dall’applicazione dell’imposta.

Un investitore, persona fisica o giuridica, investe in una attività di una azienda non quotata (poiché in tal caso sconta la Tobin dello 0,5%) una somma che ipotizziamo di € 10.000.000. L’investimento può avvenire sia mediante un aumento di capitale di una società esistente, sia mediante il conferimento di capitali liquidi in un’attività condotta da persone, sia mediante la costituzione di un nuovo soggetto giuridico o comunque una qualsiasi iniziativa imprenditoriale.
Versa anticipatamente il 2% a titolo di imposta sull’investimento e poi va a recuperare l’imposta versata sull’Irpef che deriva dai nuovi posti di lavori creati con l’investimento. Il meccanismo potrebbe essere automatico, poiché il datore di lavoro è anche sostituto di imposta e invece di versare l’Irpef alla Agenzia delle Entrate, la tratterrebbe nella misura prevista dalla norma, ipotizziamo il 70% dell’imposta. Questa operazione potrebbe durare per tutto il tempo necessario a recuperare un multiplo dell’imposta versata da stabilire in base alla natura dell’investimento.
Il multiplo potrebbe essere stabilito da quattro a otto volte l’imposta versata a seconda del settore di investimento: per la cultura, l’ambiente e il turismo si potrebbe ipotizzare il multiplo più alto, ad esempio, ma la questione può essere definita meglio affidando l’istituzione dei multipli in un periodo predeterminato ad un regolamento da emanare dal Ministero dell’Economia e che vada a premiare i settori più in crisi. In questo modo, perché il recupero dell’imposta ed il contributo siano realizzati, occorre creare posti di lavoro stabili e duraturi. Lo Stato non soffrirebbe una riduzione del gettito perché questo meccanismo genera nuovi posti di lavoro per i quali non c’era alcun gettito, che invece viene alla luce anche se in misura ridotta per il tempo necessario al recupero dell’imposta e del contributo.

Il timore che un’imposta sui depositi di c/c possa causare una corsa agli sportelli a prelevare contante è del tutto insussistente, poiché le restrizioni sull’uso del contante e sui prelievi sono tali da scoraggiare qualsiasi iniziativa del genere. D’altra parte le banche applicano già una sorta di imposta ai prelievi in contante, sia allo sportello (da 1 a 3 euro per operazione) sia al bancomat (in genere un euro) e non sembra che questo prelievo forzoso – e del tutto ingiustificato da parte delle banche – abbia scatenato ondate di panico o di proteste. A tal proposito si potrebbe anche regolamentare per legge tale prelievo e trasformarlo per buona parte in imposta, considerando che le banche non affrontano in pratica alcun costo a fronte di tali versamenti.
Allo stesso modo mi sembra eccessivo ipotizzare una fuga all’estero dei capitali per evadere questa imposta. Un prelievo di 200 euro annui su un conto corrente che ne tiene in media 10.000 non appare una buona ragione per andare a spendere migliaia di euro per il trasferimento e la gestione all’estero del conto, senza considerare i rischi derivanti dall’illecito che si perpetrerebbe, mentre per quanto riguarda i depositi milionari, il meccanismo di incentivo agli investimenti potrebbe invece, attirare capitali e fondi di investimento.
Faccio notare che un’imposta generalizzata sui depositi liquidi, anche con il meccanismo di sgravio sopra descritto, avrebbe sempre un gettito pari al 2% delle somme depositate e non si ridurrebbe mai se non in caso di una crisi talmente grave da ridurre il totale degli strumenti finanziari e della liquidità.
È anche ovvio che un’imposta del genere favorisce l’aumento della velocità di circolazione della moneta e gli operatori sarebbero indotti ad anticipare i pagamenti proprio per evitare di essere assoggettati all’imposta. Un aumento della velocità di circolazione è proprio un effetto desiderabile in una situazione di stagnazione tendente alla recessione come quella che stiamo vivendo.

Questa imposta ed il contributo agli investimenti potrebbe essere accompagnata da una previsione di riduzione proporzionale della spesa pubblica in funzione della ipotetica riduzione di gettito per i nuovi posti di lavoro creati. Ad esempio, se con l’imposta si creano nuovi posti pari al 2% del totale degli occupati, la spesa pubblica dovrebbe essere ridotta del minor gettito teorico per l’Irpef dei nuovi dipendenti pari all’1,4% del totale delle tasse che lo Stato ricava dall’applicazione dell’Irpef.
In realtà, come dicevo sopra, è probabile che un’imposta del genere non comporti alcuna riduzione di gettito, poiché appunto, favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro, ma in ogni caso potrebbe essere un buon modo per introdurre il principio per cui ad ogni riduzione del gettito debba corrispondere una riduzione della spesa pubblica. Un utilizzo più incisivo dell’imposta sulla liquidità giacente, potrebbe essere quello di costituire contemporaneamente un conto per ciascun cittadino, identificato tramite il Codice Fiscale e gestibile come una carta prepagata, sul quale lo Stato, esaurita la fase di emergenza, faccia confluire un parti uguali il ricavato dell’imposta.
Nell’ipotesi che abbiamo formulato, ciascuno dei sessanta milioni di cittadini, bambini e pensionati inclusi, riceverebbe annualmente la somma di 266 euro che sarebbe un aiuto consistente per le fasce più povere della popolazione e per sua natura sarebbe quasi interamente destinato al consumo. Per una famiglia di quattro persone, infatti, si tratterebbe di un contributo di oltre 1,000 euro all’anno che per i redditi bassi è una cifra tutt’altro che trascurabile.

I conti sarebbero gestiti direttamente dal Ministero dell’Economia in convenzione con il sistema bancario, per cui il prelievo delle somme potrebbe essere effettuato presso qualsiasi bancomat o sportello a costi convenzionati (e ovviamente, molto ridotti). In pratica, il tesserino del Codice Fiscale, potrebbe fungere anche come carta di credito ricaricabile solo dal Ministero dell’Economia ed utilizzabile solo in Italia (o in Europa). Queste erogazioni vanno a favore di tutti i cittadini e non solo di determinate categorie, sia per introdurre un principio di reddito di cittadinanza, sia per il notevole risparmio di costi che comporta una gestione generalizzata.
Riepilogando:

1) Un’imposta straordinaria dello 0,3% su tutti gli strumenti finanziari che genera una entrata di oltre 36 miliardi di euro;
2) Una Tobin Tax su tutte le transazioni finanziarie pari allo 0,5% che comporta una entrata annua di almeno 5 miliardi di euro.
3) Un’imposta del 2% sulla detenzione di liquidità sui conti correnti che comporta una entrata di 16 miliardi di euro l’anno. Questa imposta può essere recuperata e si trasforma in un contributo da quattro a otto volte l’imposta versata per gli investimenti che generano occupazione. Il contributo viene recuperato direttamente dal datore di lavoro sull’Irpef dei nuovi dipendenti. L’obiettivo di questa imposta è il rilancio degli investimenti, mediante il meccanismo di recupero dell’imposta e del contributo, e di sostegno alla domanda soprattutto di beni primari.

A tal fine:
4) Istituzione di una carta prepagata per ciascun cittadino, mediante l’utilizzo del tesserino del Codice Fiscale, sulla quale il Ministero delle Finanze versa periodicamente il ricavato dell’imposta di cui al punto 3).
5) Riduzione proporzionale della spesa pubblica per il minore gettito teorico per l’Irpef derivante dall’applicazione dell’imposta.

Dalle imposte previste nei punti 1) e 2) può derivare un gettito di 46 miliardi, sufficienti a coprire la previsione di manovra finanziaria necessaria per giungere al pareggio dei conti di bilancio. Dall’imposta di cui al punto 3) deriva un rilancio degli investimenti ed un supporto alla domanda.

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Fonte: Idee per una manovra finanziaria equa

03.09.2011

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