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La Redazione

 

I PROGRESSI DEL 99% AMERICANO E IL COLLASSO DELLA CLASSE MEDIA

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A cura di supervice
Il 18 Dicembre 2011
82 Views

DI BARBARA EHRENREICH E JOHN EHRENREICH
Huffington Post

Una classe si crea quando alcuni

uomini, per via di esperienze comuni (ereditate o condivise), provano

e articolano un’identità di interessi tra loro, e contro altri uomini

i cui interessi sono differenti (e generalmente opposti) ai loro.
E.P. Thompson, The Making of the English Working Class

Gli “altri

uomini” (e, naturalmente, donne) nell’odierna struttura di classe

statunitense sono quelli che dell’1% di più alta distribuzione della

ricchezza, i banchieri, i manager degli hedge fund, e i CEO presi di

mira dal movimento Occupy Wall Street. Sono stati sempre presenti

in una forma o nell’altra, ma sono emersi come un gruppo distinto

e visibile, informalmente definito quello dei “super-ricchi

negli anni recenti.
Gli stravaganti livelli di consumo

hanno attratto l’attenzione su di loro: jet privati, svariate

ville da 5.000 metri quadri, dessert al cioccolato da 25.000

dollari decorati con polvere d’oro. Ma fino a che la classe

media poteva accantonare denaro per l’iscrizione ai college

e saltuari migliorie della propria abitazione, sembrava grezzo lamentarsi.

Poi è arrivato il collasso finanziario del 2007-2008, seguito dalla

Grande Recessione e l’1% a cui affidavamo le nostre pensioni, la nostra

economia e il nostro sistema politico si è rivelato essere una banda

di incoscienti e vari narcisisti, se non di sociopati.

Ma ancora, fino a un mese fa, il 99%

non era ancora un gruppo capace di (come dice Thompson) articolare “l’identità

dei propri interessi”. Conteneva, e ancora contiene, la

gran parte della gente ricca “ordinaria”, insieme ai professionisti

della classe media, gli agricoltori, i camionisti e i minatori, così

come la gente molto più povera che fa le pulizie, la manicure alle

unghie e che si cura dell’erba dei facoltosi.

Era suddivisa non solo da queste classi

differenti, ma più visibilmente dalla

razza e dall’etnia, una

divisione che si è in

effetti acuita dal 2008.

Gli afro-americani e i latini di tutti i redditi hanno perso in modo

sproporzionato le proprie case nel 2007 e nel 2008, e hanno in modo

sproporzionato perso il lavoro con la successiva ondata di licenziamenti.

All’inizio del movimento Occupy, la classe media nera era stata

devastata. Infatti, gli unici movimenti politici che erano sorti dal

99% prima di Occupy sono stati il movimento dei Tea Party

e, dall’altra parte dello spettro politico, la resistenza alle restrizioni sulla contrattazione collettiva

in Wisconsin.

Ma Occupy non sarebbe nato se larghe

parti del 99% non avessero iniziato a scoprire qualche interesse comune,

o almeno a mettere da parte alcune delle divisioni presenti tra loro.

Per decenni la frattura più stridente promossa all’interno del

99% era quella tra quella che la destra chiama “élite liberale

– composta da accademici, giornalisti, figure dei media, eccetera

– e quasi tutti gli altri.

Come brillantemente spiegato dall’articolista dell’Harper’s Magazine

Tom Frank, la destra è riuscita a portare le sue rivendicazioni verso

il populismo, prendendo di mira questa “élite liberale

che – godendo, secondo loro, di una spesa governativa senza freni

che richiede a sua volta livelli oppressivi di tassazione – sostiene

le politiche sociali “redistributive” e i programmi che riducono

le opportunità per la classe media bianca, che crea ancora più regole

(per, ad esempio, proteggere l’ambiente) che riducono i posti di lavoro

e promuovono innovazioni controculturali perverse come il matrimonio

tra gay. L’élite liberale, reiteravano gli intellettuali conservatori,

guardano dall’alto gli americani “ordinari” della classe media

e lavoratrice, considerandoli insipidi e politicamente scorretti. L’“élite”

era il nemico, mentre i super-ricchi erano come tutti gli altri, solo

un po’ più “concentrati” e forse un po’ meglio interconnessi.

Naturalmente, l’“élite liberale

non ha alcun senso sociologico. Non tutti gli accademici o le figure

dei media sono liberali (Newt Gingrich, George Will, Rupert Murdoch).

Molti manager di medio livello ben formati e molti ingegneri altamente

specializzati hanno sempre preferito il latte macchiato alle Red Bull,

ma non sono mai stati presi di mira dalla destra. E come potevano far

parte della nefasta élite gli avvocati, quando le loro spose assunte

negli studi legali delle grandi aziende ne erano estranee?

Uno scivolo ben ingrassato, non

certo una rete di sicurezza

L’“élite liberale” è

sempre stato una categoria politica mascherata da una connotazione sociologica.

Ciò che ha dato supporto alla presenza di un’ipotetica élite liberale

– almeno per un po’ di tempo – , è dato dal fatto che la maggioranza

di noi non ha mai incontrato un membro della vera élite, quell’1%

che è, in gran parte, segregato nella propria bolla di aerei privati,

comunità recintate e proprietà murate.

Le figure dell’autorità che la gran

parte delle persone possono incontrare nel loro quotidiano sono insegnati,

medici, lavoratori del sociale e professori. Questi gruppi (insieme

ai manager di medio livello e altri impiegati delle grandi aziende)

occupano una posizione molto più basa nella gerarchia di classe. Formano

quello che descrivemmo in un saggio del 1976 come “classe professionista

manageriale”. Quando lo scrivemmo, sulla case della nostra esperienza

nei movimenti radicali degli anni ’60 e ‘70, c’era un risentimento

reale e perdurante tra la classe lavoratrice e i professionisti della

classe media. Questi risentimenti, che la destra populista deviò abilmente

verso i “liberali”, ha contribuito in modo significativo

al fallimento della precedente epoca di ribellione nel costruire un

movimento progressista duraturo.

Come poi avvenuto, l’idea di una “élite liberale” non poteva

sopravvivere alle depredazioni dell’1% alla fine degli anni ’00.

In prima battuta, è stata eclissata dalla scoperta della vera élite

stanziata a Wall Street e dei suoi crimini. Raffrontati a questa, i

professionisti e i manager, per quanto irritanti, non sono che

pesci piccoli. Il medico o il preside della scuola possono essere prepotenti,

il professore e il lavoratore del sociale possono essere troppo rilassati,

ma solo l’1% ha portato via le case.

C’era, inoltre, un altro problema

ineludibile incastonato nella strategia populista della destra: anche

dal 2000, e sicuramente dal 2010, la classe di persone che può qualificarsi

come parte dell’“élite liberale” era sempre messa peggio.

I tagli di spesa al settore pubblico e le riorganizzazioni ispirate

alle multinazionali stavano decimando i ranghi degli accademici ben

pagati, che venivano sostituiti da professori aggiunti che lavorano

su redditi di pura sussistenza. Le aziende editoriali stavano restringendo

i propri organici e i fondi a disposizione. Gli studi legali hanno iniziato a delocalizzare le loro pratiche routinarie in India. Gli

ospedali trasmettevano i raggi X ai radiologi stranieri più a buon

mercato. I finanziamenti si sono prosciugati per le istituzioni nonprofit

nelle arti e nei servizi pubblici. Da qui arriva la figura iconica del

movimento Occupy: i laureati dei college con decine di

migliaia di dollari di debiti

per prestiti studenteschi

e un lavoro da 10 dollari l’ora, o anche senza un lavoro.

Queste tendenze erano presenti anche

prima del botto della crisi finanziaria, ma ha palesato il suo impatto

e le sue tetre conseguenze economiche per risvegliare nel 99% una preoccupazione

sempre più forte di un pericolo condiviso. Nel 2008 l’intenzione

di “Joe

the Plumber” di guadagnare

un quarto

di milione di dollari l’anno

aveva ancora qualche debole bagliore di plausibilità. Dopo un paio

di anni di recessione, comunque, l’improvvisa mobilità verso il basso

è diventata un’esperienza comune negli Stati Uniti, e persino alcuni

dei più affidabili esperti neoliberisti dei media hanno iniziato

ad annunciare che qualcosa stava andando di traverso al Sogno Americano.

Le persone prima agiate hanno perso

le loro uova d’oro quando i prezzi degli immobili sono caduti a strapiombo.

I manager e i professionisti benestanti di mezz’ètà si sono

feriti scoprendo che la loro anzianità li rendeva repellenti come potenziali

impiegati. I debiti per le cure sanitarie hanno portato le famiglie

della classe media alla bancarotta. Il vecchio motto conservatore –

che non è saggio criticare (o tassare) i ricchi perché un giorno potresti

essere uno di loro – ha assunto un nuovo significato, in cui la classe

dove è più probabile migrare non è quella dei ricchi, ma quella dei

poveri.

C’è stata un’altra cosa scoperta

da molti appartenenti alla classe media: che il percorso in discesa

verso la povertà poteva raggiungere velocità sconvolgenti. Uno dei

motivi per cui la concezione del 99% ha preso piede in America invece

che, diciamo, in Irlanda o in Spagna è perché gli Americani sono particolarmente

vulnerabili ai dissesti economici. C’è veramente poco stato sociale

per frenare una caduta libera familiare o individuale. I sussidi di

disoccupazione non durano più di sei mesi o un anno, anche se in recessione

vengono talvolta estesi dal Congresso. Al momento, ancora con simili

prolungamenti, raggiungono solo la meta dei disoccupati. Il welfare

è stato totalmente abolito quindici anni fa e le assicurazioni sanitarie

sono tradizionalmente connesse all’avere un impiego.

Infatti, appena gli Americani hanno

iniziato a slittare a ritroso, sono entrate in azione una serie di forze

per accelerare la caduta. Una stima del 60% di aziende statunitense

ora controllo

le valutazioni creditizie dei candidati

e la discriminazione verso i dipendenti è tanto diffusa da aver iniziato

a preoccupare il Congresso. Persino la bancarotta è una condizione

proibitivamente costosa e spesso tremendamente difficile da ottenere.

Il non riuscire a pagare le tariffe o le tasse imposte dal governo può

portare, con una concatenazione di eventi sfortunati, a un mandato di

arresto o a macchiarsi la fedina penale. Mentre le altre nazioni una

volta ricche hanno una rete di sicurezza, l’America offre solo uno

scivolo ben ingrassato, che porta verso l’indigenza a una velocità

allarmante.

Le ragioni del 99%

Gli accampamenti di Occupy che

hanno ravvivato quest’inverno circa 1.400 hanno fornito una vivida

dimostrazione del maggiore senso di unità del 99%. C’erano migliaia

di persone – non potremmo mai sapere il numero esatto – di estrazioni

totalmente differenti, che

hanno vissuto all’aperto

nelle strade e nei parchi, in modo molto simile a come hanno sempre

fatto i più poveri: senza elettricità, riscaldamento, acqua o bagni.

In questa situazione, hanno fatto in modo di creare delle comunità

di autogestione.

Le assemblee pubbliche hanno radunato

un insieme senza precedenti di freschi laureati, giovani professionisti,

gente più adulta, operai licenziati e una ridda di senza casa cronici

per quelle che sono stati, nella maggioranza dei casi, scambi costruttivi

e civili. Quella che all’inizio era una diffusa protesta contro le

ingiustizie economiche è diventata un vasto esperimento di formazione

di classe. Il 99%, che poteva essere solo una categoria puramente ipotetica

solo pochi mesi fa, inizia a voler darsi una propria esistenza.

Questa senso di unità coltivato

negli accampamenti potrà sopravvivere quando il movimento Occupy

passerà a una fase più decentralizzata? Ogni sorta di divisione di

classe, razziale e culturale persiste all’interno di questo 99%, compresa

la diffidenza tra i membri dell’ex “élite liberale” e

le persone meno privilegiate. Sarebbe sorprendente se così non fosse.

L’esperienza di vita di un giovane avvocato o di un lavoratore del

sociale è davvero differente da quella di un operaio il cui lavoro

raramente gli consente interruzioni biologiche vitali, come il mangiare

o l’andare in bagno. I cerchi coi tamburi, le riunioni di gruppo e

le maschere rimangono cose esotiche per almeno il 90% delle persone.

I pregiudizi della “classe media” nei confronti dei senza casa,

alimentati da decenni di demonizzazione della povertà da parte della

destra, hanno ancora una forte presa.

Qualche volta queste differenze hanno

portato a scontri negli accampamenti di Occupy, ad esempio sul

ruolo dei senza casa cronici di Portland o l’uso della marijuana a

Los Angeles, ma sorprendentemente, malgrado tutti gli allarmi ufficiali

sulle minacce alla salute e alla sicurezza, non abbiamo assistito a

un’altra “Altamont”: niente sparatorie e quasi nessuna violenza.

In effetti, gli accampamenti hanno dato vita ad alcuni convergenze impensabili:

persone dal retroterra confortevole hanno imparato la sopravvivenza

di strada dai senza casa, un famoso professore di scienze politiche

ha confrontato i processi decisionali orizzontali e verticali con un

lavoratore delle poste, militari in uniforme che si sono fatti vivi

per difendere gli occupanti dalla polizia.

Le classi esistono, come ha detto Thompson,

ma esistono ancora di più quando le persone sono preparate a nutrirle

e a costruirle. Se il “99%” diventerà qualcosa di più di un meme

stiloso, se diventerà una forza per cambiare il mondo, alla fine dovrà

per forza confrontarsi con alcune delle divisioni di classe e razziali

presenti all’interno. Ma la cosa va fatta con pazienza, con rispetto,

e sempre con un occhio puntato alla grande iniziativa successiva, alla

prossima marcia, o all’occupazione, o alla lotta contro gli sgomberi,

a seconda di cosa richiederà la situazione.

**********************************************

Fonte: The Making of the American 99% and the Collapse of the Middle Class

15.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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