DI GERALD CELENTE
Lee Rockwell
“Leggete tutto quello che c’è
da leggere!” Non potete leggere tutto! I media sono pieni di notizie di come siano tornati tra noi i giorni felici della borsa. Dopo un inizio tempestoso, giugno si è chiuso e luglio è iniziato con gli indici benchmark degli Stati Uniti che rastrellano i migliori guadagni settimanali da due anni a questa parte: l’indice della produzione USA è inaspettatamente aumentato, e i Greci assillati dal fardello del debito
sono stati salvati ancora una volta, accatastando un nuovo debito impagabile sul vecchio debito ancora non pagabile.
Sì, c’era un po’ di preoccupazione,
ma, come ha riportato il New York Times il 25 giugno, “Due
anni di recupero ufficiale, e l’economia si sta ancora comportando
come un aereo che sta rullando sulla pista in attesa del via. Pochi
economisti stanno preventivando un ritorno vero e proprio della recessione
[…] gli analisi si aspettano in larga parte che l’economia si risollevi
nella seconda metà.”
Gli economisti avevano preventivato
per giugno una forte crescita dell’occupazione. Ma due settimane dopo,
quando sono usciti i dati, il Bureau of Labor Statistics ha riportato
che erano stati creati solo 18.000 posti di lavoro, non i 125.000 previsti
[…] da quegli stessi economisti che non stavano “preventivando
un ritorno vero e proprio della recessione.”
Allo stesso modo, senza perdere un
colpo, il Times ha cambiato la sua musica, scrivendo nuove righe
per rimpiazzare le vecchie frasi che non saranno mai costretti a rimangiarsi:
Lo scarso numero
di posti di lavoro indica che la ripresa è in fase di stallo
Contro le previsioni
sul lavoro degli economisti, la disoccupazione si avvicina al 9.2%
Per il secondo mese
consecutivo, pochi posti di lavoro sono stati aggiunti a giugno, mettendo
in allarme per il fatto che la ripresa economica
è incerta […] Il governo ha anche rivisto al ribasso il piccolo incremento
del mese precedente di 25.000 nuovi posti di lavoro, meno della metà
della stima originaria. (The New York Times, 9 luglio 2011)
“I dati lugubri sull’occupazione
abbattono la ripresa USA” e “La preoccupazione cresce sul
lavoro” sono i rispettivi titoli del Financial Times e del
Wall Street Journal del 9 luglio, che dissipano tutta l’aria di
ottimismo che aveva recentemente spirato nei mercati azionari.
“Occupazione!” Più
che gli ordinativi per l’industria, il PIL, i profitti aziendali,
le vendite al dettaglio, i beni durevoli… l’occupazione era l’unico
dato che contava. Non c’era modo di distogliere l’attenzione dai
18.000 posti di lavoro, per la gran parte con bassi contributi sanitari,
nel messaggio pieno di speranza trainato dalla previsione dei 125.000
impieghi di quasi tutti gli economisti.
L’equazione era semplice; più gente
non ha lavoro, meno consumano. E negli Stati Uniti, dove la spese dei
consumatori è pari a circa il 70 per cento del PIL, senza un incremento
della loro spesa, l’economia era di nuovo diretta verso la recessione.
Nel corso della notte, un duro report
sull’occupazione si è tolto di mezzo due anni di propaganda del governo
e di complicità dei media. Nell’aprile del 2010, il vicepresidente
Joseph Biden promise: “Andremo a creare tra i 250.000 e i 500.000
posti di lavoro al mese.” E nell’agosto del 2010, il Segretario
al Tesoro, Timothy Geithner, ha dichiarato che le “azioni intraprese
all’apice [della crisi] per stimolare l’economia hanno contribuito
ad arrestare la caduta libera, prevenendo un collasso ancora più profondo
e indirizzando l’economia sulla via della ripresa.”
Ma quasi un anno più tardi, parlando a “Meet the Press“, due giorni dopo la pubblicazione
dei dati devastanti sull’occupazione, la nuova e rivista previsione
di Geithner era questa: “Oh, credo che [la ripresa] ci metterà
ancora del tempo. È un periodo davvero difficile. E io penso che per
molte persone sarà davvero dura, più dura di qualsiasi cosa di cui
abbiamo avuto esperienza nella nostra vita, per i tempi a venire.”
Come la vanagloria di Biden, a lungo
sepolta e mai riesumata, l’affermazione di Geithner, un’evidente
contraddizione della sua prima proiezione, non è stata contraddetta
e le è stato steso il tappeto rosso dai ruffiani del “Meet
the Press“.
Non c’era, e non c’è mai stato,
nessun “ritorno alla recessione”. Come il Trends Research
Institute aveva previsto dall’inizio della Grande Depressione
e del “Panico del 2008”, tutte queste “iniziative audaci”
orgogliosamente citate da Geithner non erano che un Prozac finanziario,
cerottini costati svariati triliardi di dollari, palliativi, placebo
e insabbiamenti ben impacchettati con il nome di TARP, American Recovery
and Reinvestment Act, QE2, e così via. Il massimo che si
può dire è che le “iniziative audaci” hanno solo portato
alla Grande Depressione un breve condono, e questo è tutto.
Lo schema Ponzi globale Era
una dissimulazione, non un recupero. E se gli Stati Uniti potrebbero
essere i primi, non è l’unica nazione a cercare di intrallazzare
in modo fraudolento per uscire dalla crisi e tornare in salute. Come
i salvataggi USA, il pacchetto di sopravvivenza per la Grecia, lodato
come un tappabuchi di successo solo la scorsa settimana, non è riuscito
neppure a garantire che il sistema bancario greco rimanesse a galla
e nemmeno che non vada in default.
Ora anche l’Italia ha preso il contagio.
La più grossa tra i PIIGS (acronimo per Portogallo, Irlanda, Italia,
Grecia e Spagna) e la terza più grande economia dell’eurozona con
un debito pubblico pari al 120 per cento del PIL, l’Italia sta riempiendo
di sangue le pagine del suo bilancio. Prendere somme a prestito per
pagare il suo carico dovuto agli interessi e imporre misure di austerità
draconiane per contenere la spesa pubblica riusciranno, se va bene,
a produrre un minimo di sollievo per la crisi finanziaria o, se va male,
fomenteranno una rivoluzione. (Vedi “Off With Their Heads, 2.0, Trends Journal, Autunno 2010)
Poi c’è la Cina, che fu terrorizzata
quando il “Panico del 2008” fece saltare la sua economia trainata
dalle esportazioni e, come l’Occidente, ha utilizzato consistenti
misure di stimolo e il credito facile per evitare una contrazione economica
ancora più alta. Anche se la crisi della Cina è diversa da quelle
occidentali per il fatto che ha una vasta riserva di moneta e il suo
debito è interno e limitato ai mutui per le case, si tratta sempre
di debito e dovrà essere ripagato.
E, diversamente dall’Occidente, che
ha pompato trilioni solo per tenere le economie a galla, le infusioni
degli svariati trilioni di yuan cinesi hanno creato una bolla immobiliare
immensa e pronta a esplodere. Ma questa volta, così come in Occidente,
non ci saranno a disposizione altre manovre fiscali o monetarie per
dare una boccata d’ossigeno alle loro economie ansimanti.
E se così è per gli Stati Uniti,
per l’Europa e per la Cina, lo stesso vale per il resto del mondo.
Dall’India a Israele, dal Brasile al Bangladesh, dal Cile alla Russia,
nessun paese riuscirà a scampare dalle ricadute economiche e pochi
sfuggiranno alle conseguenze politiche.
Invece, malgrado le informazioni economiche facilmente disponibili e la dimostrazione delle previsioni fallaci e delle politiche fallimentari dei governi, i media mainstream continuano a convincere il pubblico con le bugie più grasse. Fornendo una copertura ai politici e agli uomini della finanza, i ruffiani delle stampa mondiale con la loro schiera di esperti “dignitosi”, sono complici nel tramutare egregiamente un palese insabbiamento in una “ripresa”.
Post scriptum: Dopo essere disceso a 1.480 dollari meno di due settimane fa, mentre sto scrivendo l’oro si sta avvicinando a 1.600 dollari. Ritengo questo rialzo un riconoscimento del più grande collasso finanziario e socioeconomico che abbiamo previsto dall’avvio del “Panico del 2008″. Manteniamo la nostra previsione dell'”Oro a 2.000 dollari” e, in relazione a come si dispiegherà la crisi e dalle risposte elaborate dai governi e dalle banche centrali, 2.000 dollari potrebbe essere solo un tetto temporaneo prima che schizzi ancora più in alto.
Fonte: http://lewrockwell.com/celente/celente74.1.html
14.07.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE