DI ALEXANDER SALITZKI
strategic-culture.org
Il 10 aprile, in un’intervista con l’osservatore politico e conduttore della CNN Fareed Zakaria, l’ex Segretario di Stato James Baker, mentre parlava degli odierni cambiamenti globali, ha detto ciò che segue: “La più grande sfida che gli Stati Uniti stanno affrontando non sono le rivolte nel mondo arabo. E’ la bomba del debito.” Ha anche osservato che senza un dollaro forte saranno destinati a diventare gli Stati Uniti di Grecia. Io credo che potremmo anche continuare con la lista dei problemi che non preoccupano gli Stati Uniti, cominciando dai diritti umani, la libertà e altre cosette ‘fondamentali’. Tutto ciò riguarda in qualche modo anche il terrorismo.
L’abbassamento avvenuto questo giovedì del rating di S&P delle obbligazioni emesse dagli USA era qualcosa di logico, anche se avvenuto con ritardo. L’emissione addizionale di titoli da parte del Tesoro dell’autunno 2010 è stata una misura disperata della Federal Reserve che ha seguito la mancanza di interesse per i titoli del Tesoro tra gli investitori.
Allo stesso tempo, potrebbe essere una buona pubblicità per le agenzie di rating e avrà una certa influenza in futuro, visto che sono inevitabili i cambiamenti del sistema valutativo nel turbinoso mondo finanziario.
Ci sono tre opzioni principali per rafforzare il dollaro. La prima è la riduzione dei costi e l’incremento delle esportazioni (una raccomandazione tipica del FMI). Dovrà essere aggiunta anche la rilocalizzazione della produzione. La seconda opzione è l’indebolimento delle divise e delle posizioni economiche dei paesi competitori. La terza opzione consiste nell’usare le risorse di altri paesi per sostenere il dollaro.
Il lavoro odierno riguarda tutte e tre le opzioni. Per quanto concerne la prima, non ci sono sviluppi possibili. Per quanto riguarda la seconda, notevoli risultati sono stati raggiunti se consideriamo gli attacchi avvenuti nel corso del tempo all’Euro, allo Yen, al Rublo e in parte allo Yuan. L’esportazione di titoli tossici era la diversione preferita da Wall Street, considerando gli ultimi anni. Se analizziamo un periodo di tempo più lungo, usando un’espressione di Jozeph Stiglitz, potremmo dire che gli Stati Uniti hanno “esportato le crisi”. È stato proprio questo il caso durante gli ultimi trent’anni di deregulation(1).
Negli ultimi sei mesi l’esportazione di «hot money» (N. d. T. ‘hot money’ è un termine che indica i fondi che vengono spostati o allocati con estrema rapidità e per durate anche brevissime, in cerca del massimo profitto) e di inflazione sono stati aggiunti a questa lista. La terza opzione per rafforzare il dollaro riguardava ovviamente il Medio Oriente e adesso anche l’Africa settentrionale e occidentale.
La comunità globale può e deve rimproverare gli Stati Uniti per la soppressione dei competitori, per l’esportazione à la Trotsky delle rivoluzioni, per aver disseminato rivolte senza senso, per aver frenato lo sviluppo sociale e economico e aver violato la sovranità di altri paesi. Ma allo stesso tempo, considerando la causa principale – il dollaro – del comportamento distruttivo dell’«egemonia perduta» e dovremmo comunque cercare una interazione costruttiva con l’Impero del Bene(N. d. T. da intendersi con la missione salvifica degli USA nella storia) e un sistema per una sua graduale riabilitazione.
I paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sono forti non perché sono moralmente integerrimi (come si fa a essere giusti nel mondo dei soldi?), ma perché sono stati in grado di ridurre l’uso della divisa statunitense, in modo graduale e in alcuni casi sostenuto. Sia Wall Street che Washington dovranno considerare con attenzione le proposte di riforma del sistema finanziario internazionale avanzate dai paesi BRICS.
E’ improbabile che avremo un’idea chiara delle correlazioni delle forze nell’economia globale confrontando il PIL dei paesi BRICS con quello dei paesi sviluppati, utilizzando l’odierno sistema delle valute.
Il risultato ottenuto in questo caso, per i primi il 18% del PIL mondiale, lo stesso per gli Stati Uniti, ammonta a un 36%, ma in Cina e in India i prezzi sono rispettivamente due o tre volte più bassi che negli Stati Uniti. In secondo luogo, sarebbe opportuno sottrarre circa 1/3 dal PIL statunitense; negli USA il 40% di tutti i profitti vanno a arricchire il settore finanziario e una futura contrazione di questa somma è altamente probabile. Il rimanente (circa il 12%) è la quantità media ponderata delle materie prime e dei servizi esportati dagli Stati Uniti. E’ improbabile che possano costare di più.
In base alle più realistiche stime delle potenzialità economiche, il libero fluire delle risorse finanziarie verso i paesi BRICS farà semplicemente esplodere l’odierno sistema delle valute. Ma queste nazioni non ne hanno bisogno. Non hanno nessuna fretta di seppellire le loro economie, che scoppiano di salute, nella melma finanziaria che viene dall’estero. Inoltre, l’esperienza degli Stati Uniti, che hanno perso competitività nella produzione industriale, è un avvertimento evidente. Qui possiamo vedere il paradosso della globalizzazione finanziaria: attraendo in modo selettivo gli investitori stranieri, si limita la convertibilità della loro moneta.
Come conseguenza, le richieste degli USA si indirizzano principalmente verso la Cina, da quando si vocifera di una «piena» convertibilità dello Yuan. Infatti, il dollaro non è per niente convertibile.
Nell’iniziare la riforma del sistema finanziario globale, il Fondo Monetario Internazionale ha già ammesso la necessità di regolare e limitare il flusso di hot money e un’importante disposizione è stata ratificata questo mese. Non dovremmo escludere che l’introduzione di limitazione alle circolazione di denaro nelle ‘fortezze’ finanziarie sia preferita ai default nazionali.
È ovvio che la svalutazione del dollaro, che si è generata negli anni e solo adesso è venuta alla superficie, non può comportare alcuna mossa avventata. Il settore delle valute è quello dove la pazienza e il conservativismo sono i benvenuti.
Gli Stati Uniti dovrebbero riflettere sulla crisi della propria valuta. «Il Grande Furto» dei contribuenti americani nel tentativo di salvare Wall Street e la nazionalizzazione dei loro debiti (paragonabile, secondo Stiglitz, alle privatizzazioni di Yeltsin nell’Unione Sovietica) non è l’unica ragione della crisi.
Il crescente scontento in Europa nei riguardi di un’economia sottomessa alla finanza e i risultati ottenuti in Asia da banchieri e regolatori affidabili stanno a poco a poco formando un consenso mondiale sul bisogno di una profonda riforma del sistema finanziario globale. Quando l’interazione dei paesi BRICS nel settore delle valute diventerà più intenso, il peso degli interessi di questi paesi crescerà di conseguenza.
La via d’uscita per la crisi del dollaro probabilmente risiede nelle correlazioni tra il settore reale dell’economia e quello dell’economia virtuale negli Stati Uniti.
Sarebbe strano dubitare della capacità dei paesi dotati di grandi risorse materiali, tecnologiche e umane di elaborare una strategia economia adeguata, prendendo in considerazione la situazione dell’intero pianeta.
Il riflusso di denaro dal settore finanziario (prima che venga bruciato del tutto) nell’economia reale è possibile. Adesso potrete leggere un episodio della vita frenetica di Hong Kong negli anni della crisi asiatica del 1997-1998. Alcuni broker, che avevano perso quasi tutti i loro fondi, decisero di investire il resto del proprio denaro in un allevamento di maiali e sono riusciti rapidamente a fare buoni profitti, fornendo carne al catering del settore pubblico.
Mi chiedo se quelli che stanno costruendo il centro finanziario a Mosca conoscono questo episodio della storia dell’ex-colonia britannica? E i libri di Stiglitz, li avranno letti?
(1) Joseph P. Stiglitz – Freefall: America, Free Markets, and the Sinking of the World Economy. Mosca, Elmo, 2011
Alexander Salitzki
Fonte: http://www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2011/04/21/can-brics-soften-dollar-crisis.html
21.04.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE