DI GEORGE MONBIOT
The Guardian
I grandi magazzini improvvisamente si lanciano in una competizione ecologista. Ci possiamo fidare?
Sbatti la testa contro una porta, finché non inizi a chiederti se è effettivamente una porta e se mai si aprirà. Improvvisamente si apre, e ti ritrovi a volare nello spazio infinito. La conversione ecologista dei grandi magazzini è stupefacente, meravigliosa, disorientante. Se Tesco e Walmart sono diventati amici della Terra, allora di nemici ce ne sono ancora?
Questi erano i colossi della distribuzione più arroganti. Hanno letteralmente schiacciato i loro fornitori, i loro concorrenti e anche coloro preposti a regolamentarli. Hanno devastato le economie locali, letteralmente costretto i contadini a spaccarsi la schiena, obbligato i loro contraenti ad abbassare gli stipendi, e ignorato ogni protesta con la superbia nata dalla certezza di essere impossibili da sfidare. Per loro, almeno così sembrava, non c’erano altre leggi se non quelle del mercato, nessun luogo era troppo prezioso per non essere distrutto, e nessuno dei loro costi non poteva non finire per gravare sulle spalle di qualcun altro.Noi ambientalisti ci eravamo fatti una certa idea del mondo, che sembrava ripetutamente confermata dall’esperienza. Le grandi corporation distruggono l’ambiente. Sono i nemici della società. Più grandi diventano, meno è possibile controllarli con il potere della democrazia o quello dei consumatori. Le politiche di scala permettono loro di tiranneggiare i governi, snobbare gli standard, ridefinire il mondo affinché gli calzi a pennello.
Abbiamo anche riconosciuto che questo era un processo dialettico. Come gli affari iniziarono a operare su un contesto globale, così si poterono fare le campagne contro di loro. Migliorando le comunicazioni globali e assicurandosi che tutti noi potessimo parlare il loro linguaggio, ci hanno aiutato a confrontarci con loro in modo più efficace.
Ma nessuno poteva credere che questo cambiamento potesse avvenire così in fretta. Fra gli anni Ottanta e Novanta ci hanno spazzato via come polvere. Poi, come risultato di una serie di poderose campagne negli USA e in Europa contro lo sfruttamento dei lavoratori , alcuni dei grandi distributori di abbigliamento e articoli sportivi iniziarono a comportarsi in modo diverso. Poco dopo, le compagnie del settore energetico iniziarono ad annunciare grandi investimenti in tecnologie rinnovabili (senza però, sfortunatamente, alcun corrispondente disinvestimento in combustibili fossili). Ma i grandi magazzini hanno operato questo processo più velocemente di chiunque altro. Gli attivisti per la difesa dell’ambiente ne sono in parte responsabili (basti sentire come i direttori continuano a tenere sotto controllo i nomi dei gruppi di pressione verdi); anche così, tuttavia, la loro improvvisa conversione ci lascia stupefatti.
Può imbarazzare come, per chi come noi non aveva minimamente creduto all’idea di ‘corporate social responsibility’ [responsabilità sociale delle aziende n.d.r.], alcune di queste compagnie oggi affermino di imporsi degli standard di comportamento ancora maggiori di quelli che qualunque governo oserebbe affibbiargli. Marks and Spencer, per esempio, ha promesso di rinunciare al diossido di carbonio, e di smettere di smaltire i rifiuti nelle discariche entro il 2012, e di smettere di stoccare pesce, legno o carta non provenienti da fonti sostenibili (1). Tesco ha promesso di attaccare a tutti i suoi prodotti una carbon label, ovvero un’etichetta che riporti l’emissione di diossido di carbonio durante la produzione del bene in questione(2). Walmart ora afferma che tutti i suoi punti vendita americani funzioneranno con energia proveniente da fonti rinnovabili.
Ancora, questi standard sono addirittura più alti di quelli che il governo britannico ha adottato per sé stesso. M&S ha giurato di usare sistemi per lo smaltimento di diossido di carbonio (pagando altre persone per svolgere questo compito al posto loro) solo se non dovesse avere altra scelta (4). Il governo stesso li usa come prima scelta (5). Può essere vero, come insistono i neoliberisti, che i mercati possono riuscire a cambiare il mondo là dove i governi hanno fallito?
Se è così, ciò riflette il fallimento della democrazia così come il successo del mercato. Tenuti a bada da forze sia reali sia immaginarie, i politici non sono riusciti a confrontarsi con successo con la crisi ambientale, così come non sono riusciti a sconfiggere la disuguaglianza sociale, o anche solo a sfidare il potere della Casa Bianca, dei padroni dei media, delle corporation, o delle banche. La scelta tra due marche rivali di produttori di margarina sembra essere diventata più importante e decisiva della scelta fra Laburisti e Conservatori.
È anche vero che l’effetto Walmart è qualcosa di reale. Quando una gigantesca compagnia opera un tale cambiamento del suo orientamento strategico di fondo, l’impatto è percepito in tutto il mondo. Una decisione positiva di un colosso risuona molto più fortemente di mille decisioni prese dai suoi piccoli concorrenti.
Ma quelli di noi che hanno combattuto per l’ambiente e contro le grandi corporation non sono ancora disoccupati. Ci sono molti motivi per festeggiare i recenti annunci, ma ce ne sono anche molti per sospettare. Tesco, per esempio, si è impegnata in modo coraggioso, e in futuro dovrebbe onorare tali impegni. Ma al momento questi sono infestati da contraddizioni ed evasioni.
Nel suo discorso di martedì, il presidente dell’azienda, Sir Terry Leahy, ha parlato delle nuove sofisticate tecniche di refrigerazione che Tesco userà, e che permetteranno alla catena di ridurre il consumo dei gas serra chiamati idrofluorocarbonati. Ma non ha mai menzionato la famosa tecnologia ambientalista chiamata “porta”. Come puoi affermare che i tuoi punti vendita sono sostenibili se i frigoriferi e i refrigeratori non hanno porte?
L’addetto stampa di Tesco non è stato in grado di dirmi se i risparmi energetici che l’azienda ha promesso (50% al metro quadro entro il 2010) verranno misurati da esperti indipendenti. Se questo non dovesse accadere, la promessa non avrebbe senso – ogni azienda può affermare quello che vuole, se chi controlla è nel suo libro paga.
Leahy ha annunciato che risponderà a una delle maggiori lamentele dei gruppi ambientalisti riducendo la distanza che i prodotti di Tesco si trovano a dover percorrere per arrivare a destinazione, specialmente se in volo. In un certo numero di casi (non è stato specificato in quanti) si passerà dall’autostrada alla ferrovia. Ma non è stato detto niente riguardo alla riduzione dei viaggi da parte dei clienti. Lo shopping rappresenta il motivo del 20% dei viaggi in macchina in Inghilterra, e del 12% della distanza totale percorsa (8). Chiudendo i loro punti vendita fuori città e sostituendoli con grandi magazzini e grandi distributori, le catene di supermercati potrebbero allo stesso tempo ridurre i costi energetici dei loro edifici e (secondo le statistiche governative) tagliare il traffico causato dallo shopping del 70%.
Oggi la Competion Commission pubblicherà i primi risultati della sua inchiesta sul dominio sul mercato dei grandi magazzini. Una delle questioni è l’indagine sulla cosiddetta “land bank” accumulata da Tesco – un immenso portafoglio di siti in cui la compagnia sembra insediarsi finché non ottiene i permessi per costruire. Molti di questi sono fuori città. Se Tesco li porta a sviluppo, potrà trascinare in strada ancora più auto. Lo shopping fuori città è incompatibile con il concetto di sostenibilità.
Questa, forse, è la ripida scala del mondo degli affari. Walmart e Tesco possono cambiare il mondo con un colpetto di penna, ma una decisione che non prenderanno mai di propria volontà è di ridurre il loro predominio sulle economie locali. Sarà sempre più duro per le piccole aziende avere a che fare con i colossi globali piuttosto che col locale barbiere o macellaio; l’economia di Tesco continuerà a favorire i grandi, distanti fornitori rispetto all’uomo della strada. E che ne sarà del senso della comunità che i piccoli, indipendenti negozi aiutano a sviluppare, e che incoraggia la gente a fare amicizie vicino a casa? Se le “miglia d’amore” sono le più imprevedibili cause di cambiamenti climatici, allora dobbiamo iniziare a coltivare il maggior spirito di comunità possibile
Ma c’è una contraddizione ancora maggiore di questa, che è stata trascurata sia dai supermercati sia da molti dei loro critici. “Il movimento ambientalista,” ci dice Terry Leahy, “deve diventare un movimento di massa nel consumo ambientalista.” (10) Ma perché non consumare di meno? “Meno” è l’unica cosa che i grandi magazzini non possono venderci. Poiché ulteriore efficienza sarà difficile da ottenere, la loro crescita in futuro supererà tutte le loro riduzioni nell’uso di energia. Questo non è solo il problema di Tesco: le alternative economiche del movimento ambientalista rimangono deboli.
I grandi distributori competono per convincerci che sono più verdi dei loro rivali, e questo dovrebbe renderci felici. Ma abbiamo sempre bisogno dei governi, e degli attivisti.
Bibliografia:
1. Marks and Spencer,15th January 2007. Plan A. http://www2.marksandspencer.com/thecompany/plana/index.shtml
2. Sir Terry Leahy, 18th January 2007. Green Grocer? Tesco, Carbon and the Consumer. Text of speech sent to me by Tesco.
3. Jonathan Birchell, 22nd January 2007. Sun Rises over Wal-Mart’s Power Policy. Financial Times.
4. Marks & Spencer, 15th January 2007. Marks & Spencer launches “Plan A”- £200m ‘eco-plan’.
Link
5. See Department of Trade and Industry, July 2006. The Energy Challenge – Energy Review, pp 13 & 51. http://www.dti.gov.uk/files/file31890.pdf
6. Sir Terry Leahy, ibid.
7. Trevor Datson, 19th January 2007.
8. Department for Transport, 2005. Transport Statistics Bulletin, Section 7, Table 7.2.
http://www.dft.gov.uk/stellent/groups/dft_transstats/documents/page/dft_transstats_039338.pdf
9. S. Cairns et al, 2004. Home shopping. Chapter in Transport for Quality of Life, p324. Report to the Department for Transport. The Robert Gordon University and Eco-Logica London, UK.
http://www.dft.gov.uk/stellent/groups/dft_susttravel/documents/page/dft_susttravel_029756.pdf
10. Sir Terry Leahy, ibid.
George Monbiot
Fonte: http://environment.guardian.co.uk/
Link
23.01.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FYLO