ALLE PROTESTE PER L’INVASIONE DELLA PRIVACY NEI LORO APPARECCHI
Democracy Now!
I giganti della tecnologia Sony, Apple and Google hanno tutti affrontato grandi scandali nelle settimane recenti che sollevano una serie di domande che riguardano la privacy nell’era digitale. L’iPhone di Apple è stato progettato per tenere segretamente traccia dell’ubicazione
dell’utente senza che ne sia a conoscenza, e lo stesso vale per il
sistema Android di Google per gli smartphone.
PlayStation Network di Sony ha reso noto al pubblico il proprio record di più di 100 milioni di clienti. Parleremo con Mark Rotenberg, direttore esecutivo dell’Electronic Privacy Information Center che nota, in aggiunta all’invasione della privacy, che queste aziende private stanno in sostanza facendo meglio del governo per quanto concerne la pubblica sorveglianza, creando una registrazione personale dettagliata che potrebbe essere poi utilizzata dalle forze dell’ordine.
JUAN GONZALEZ: I
giganti della tecnologia, Sony, Apple e Google, nelle ultime settimane
sono stati tutti coinvolti da grandi scandali che sollevano una serie
di questioni riguardo la privacy
nell’era digitale. Giovedì, l’Amministratore delegato di Sony,
Howard Stringer, si è per la priva volta scusato a causa della rottura
della sicurezza su PlayStation Network
che ha esposto i dati personali di oltre 100 milioni di clienti.
Nel frattempo, Apple
sta ancora rispondendo delle conseguenze della scoperta che il suo popolare
iPhone è stato progettato per tenere segretamente traccia dell’ubicazione
dell’utente e per immagazzinare le informazioni sull’apparecchio
per un anno, senza che chi lo sta usando ne sia a conoscenza. Ancor
prima, durante la settimana, Apple ha rilasciato un nuovo software
che riduce la quantità delle informazioni che riguardano l’ubicazione
dell’apparecchio.
AMY GOODMAN: Google
è sotto osservazione per alcuni dei suoi prodotti, tra cui il sistema
Android che registra il luogo di utilizzo degli utenti degli smartphone.
Si unisce a noi qui
a Washington, Marc Rotenberg, direttore esecutivo dell’Electronic
Privacy Information Center.
Le rivelazioni nelle
scorse settimane – iniziando dall’iPhone, sono proprio notevoli.
MARC ROTENBERG: Sì,
è incredibile, Amy. Quello che stiamo imparando è che le aziende,
che stanno raccogliendo queste informazioni sensibili, non hanno fatto
proprio un bel lavoro per tutelarle. E, in qualche caso, le brecce sono
senza precedenti. Quella di Sony, per esempio, riguarda 100 milioni
di utenti dei loro servizi di rete.
AMY GOODMAN: Ci
può spiegare esattamente cosa stava facendo Apple? Ci spieghi il programma.
Ci spieghi quali sono le informazioni che gli iPhone registrano riguardo
i nostri spostamenti.
MARC ROTENBERG: Bene,
la situazione si sta già facendo complessa. Ma, in termini semplici,
negli ultimi due anni molte persone hanno apprezzato il valore dei dati
che indicano la propria ubicazione. E tra questi ci sono, naturalmente,
gli utenti di questi apparecchi. Ti piace sapere dove ti trovi. Ora
tutti i cellulari hanno un servizio GPS, o almeno gli smartphone
ce l’hanno, che ti permette di individuare la tua posizione. Ma questo
ha un valore anche per i pubblicitari, perché ci sono persone che sono
interessate nel consigliarti un ristorante in base alla tua ubicazione.
E circa un anno fa,
quando Apple stava lavorando allo sviluppo della sua nuova versione
del software che avrebbe abilitato queste applicazioni, pensarono
a lungo alle implicazioni sulla privacy. Credo che hanno fatto
un buon lavoro solo in parte. Volevano che gli utenti sapessero che
i loro dati venivano immagazzinati, quelli relativi ai luoghi, e che
sarebbero stati comunicati a altre aziende che li avrebbero potuti usare
per le applicazioni. Hanno inserito alcune nuove opzioni sugli apparecchi.
Hanno sempre parlato dell’importanza della protezione della privacy.
Quello che gli è
sfuggito, comunque, era che l’apparecchio in sé stava immagazzinando
tutte le informazioni associate all’ubicazione dell’utente. E stava,
in effetti, costruendo questa tabella gigantesca basata sugli hotspot
Wi-Fi e sulla collocazione dei trasmettitori per i cellulari, per mezzo
dei quali Apple è capace di determinare dove si trovi il telefono.
Ora, quelle informazioni non si sarebbero dovute mai trattenere.
La storia prende una
piega peggiore, perché proprio la modalità di progettazione
fa in modo che le informazioni venivano salvate sul PC dell’utente
quando l’apparecchio veniva sincronizzata al computer. Venivano archiviate
in una forma non criptata e ciò vuol dire che chiunque avrebbe potuto
prelevarle. E quando due ricercatori, solo poche settimane fa, hanno
capito questo, hanno realizzato una brillante visualizzazione dei dati,
permettendo in modo semplice alle persone di vedere sullo schermo tutte
le informazioni che Apple possedeva su di loro per poter tracciare l’ubicazione
dei loro apparecchi negli ultimi due anni, allora, in quel momento,
l’allarme è scattato. Penso che quello sia stato l’apice, un momento
significativo per l’industria riguardo questi aspetti della privacy.
JUAN GONZALEZ: E
dove venivano archiviati, solo sui cellulari e i computer, o erano anche
trasmessi in una qualche maniera e immagazzinati dalla stessa Apple?
MARC ROTENBERG: Esatto.
Anche questo è una parte molto importante della storia. Una delle cose
che Apple e Google e altri stanno facendo è cercare di costruire un’enorme
mappa delle ubicazioni degli hotspot
Wi-Fi e dei trasmettitori per i cellulari negli Stati Uniti e in tutto
il mondo. Fanno questo perché effettivamente rende il servizio un po’
più efficiente. Inoltre le solleva dal dover pagare altre compagnie
per avere quelle informazioni. E così tengono simultaneamente traccia
dell’ubicazione dell’utente che l’apparecchio è in grado di rilevare,
la inseriscono nei loro database
così da avere un quadro più definito delle posizioni di tutti questi
hotspot per permettere ai loro clienti di connettersi.
Ma credo che ci sia
un altro aspetto della privacy
di cui non è stato parlato abbastanza, ma che richiede comunque una
certa attenzione. Alcuni di questi hotspot Wi-Fi possono essere
avere presupposte commerciali. Ci possono essere dei coffee shop
e altri luoghi che stanno offrendo al pubblico l’opportunità di essere
online. E sono ovviamente pubblici. Non credo che ci sia un problema
nel raccogliere questi dati. Ma alcuni di questi hotspot
sono in effetti dei router di residenze private che le persone
realizzano in casa propria, una rete wireless per collegare un ufficio,
una cucina e una stanza da letto. Non credo che la maggior parte delle
persone si aspetti che questo tipo di informazioni vengono raccolte
da queste aziende, ma poi è quello che è successo negli ultimi due
anni. E credo che anche questo meriti una qualche attenzione.
JUAN GONZALEZ: E
allora, ovviamente, c’è allora la possibilità da parte del governo
di ottenere queste informazioni se volesse indagare…
MARC ROTENBERG: Sì.
JUAN GONZALEZ: …i possibili spostamenti di chiunque stia usando un iPhone o un cellulare Android, giusto?
MARC ROTENBERG: Sì.
Bene, credo che ci sia un altro aspetto critico, perché molte persone
che parlano di privacy su Internet e sulle nove tecnologie hanno
la tendenza di tracciare una linea netta tra le attività del governo
e quelle del settore privato, e semplicemente assumono che il settore
privato non abbia una grande importanza in materia di sorveglianza.
Ma io credo che quello che abbiamo visto negli ultimi due anni è proprio
l’esatto opposto. In altre parole, il settore privato, attraverso
la progettazione di questi apparecchi, può fare molta parte del lavoro
di sorveglianza di solito svolta dal governo. Sarebbe stato impossibile,
ad esempio, per il governo costruire il tipo di archivi che si stanno
costruendo oggi nel settore privato sui dati delle ubicazioni. E, naturalmente,
una volta che questi database sono stati costruiti, allora si
possono realizzare delle perquisizioni, un mandato di cattura, forse
una lettera dalla national security. Ma ci sono varie tecniche
che il governo adotta per aver accesso a quei dati e ciò costituisce
parte della ragione per cui tutti crediamo con fermezza che queste aziende
dovrebbero ridurre al minimo la raccolta di dati personali. Dovrebbero
semplicemente tenere meno informazioni sul modo in cui le persone usano
questi apparecchi.
AMY GOODMAN: Marc
Rotenberg, un dibattito si terrà a Capitol Hill. Abbiamo solo dieci
secondi, ma cosa ne pensa della PlayStation e di Sony che non ha rivelato
che i 100 milioni loro utenti avevano le loro informazioni sulle carte
di credito, sulla loro privacy, totalmente esposte e non glielo
hanno comunicato per più di una settimana? Ha circa dieci secondi per
rispondere.
MARC ROTENBERG: Un’altra
storia straordinaria. Credo che la questione importante è che c’è
parecchio da fare per responsabilizzare le compagnie che offrono questi
servizi nel proteggere la privacy. È un qualcosa che oggi il
consumatore, l’utilizzatore di Internet non è in grado di fare da
solo.
AMY GOODMAN: Marc
Rotenberg, la vogliamo ringraziare voi dell’Electronic
Privacy Information Center per essere stati con noi.
MARC ROTENBERG: Prego.
Fonte: http://www.democracynow.org/
Link: http://www.democracynow.org/2011/5/6/tech_giants_sony_apple_google_face
06.05.2011
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da SUPERVICE