PER L’EUROPA UN CAMPO DI BATTAGLIA MORTALE
DI OLAFUR ARNARSON, MICHAEL HUDSON E GUNNAR TOMASSON
Counterpunch
Il problema delle insolvenze dei prestiti
bancari, specialmente quelli garantiti dal governo come i prestiti agli
studenti e i mutui della Fanny Mae, ha riportato all’attenzione la
questione su quale dovrebbe essere il “valore di mercato”
di questi debiti obbligazionari. Il valore di mercato dovrebbe rispecchiare
ciò che i debitori sono in grado di pagare (ovvero pagare senza andare
in bancarotta)? Oppure è corretto da parte delle banche e persino dei
“fondi avvoltoio” spremere tutto ciò che possono dalle tasche dei
propri debitori?
La risposta dipenderà principalmente
dal grado in cui i governi sosterranno le pretese dei creditori. La
definizione legale di quanto sia lecito “ottenere” sta divenendo
una questione politica che pone in conflitto i governi nazionali, il
Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea e le altre
agenzie finanziarie mettendo contro le banche e i fondi avvoltoio alla
popolazione con poca liquidità.
Consideriamo per primo il caso dell’Islanda,
dove tale importante questione sta ora esplodendo. Il paese in questo
momento soffre una seconda ondata della crisi economica e finanziaria
derivata dal collasso del suo sistema bancario avvenuto nell’ottobre
del 2008. Quella crisi ha causato una significativa perdita di risparmi
non solo per i cittadini locali, ma anche per i creditori internazionali
come Deutsche Bank e Barclays e i loro clienti istituzionali.
Invischiati con i prestiti e le obbligazioni
delle banche fallite, gli investitori esteri delle vecchie banche hanno
venduto le loro obbligazioni per pochi spiccioli a compratori che nei
loro siti web si definiscono “specializzati in operazioni pericolose”
ma sono più comunemente noti come “fondi avvoltoio” (rumors
insistenti suggeriscono che alcuni di questi soggetti stiano lavorando
con i precedenti proprietari delle banche islandesi fallite operando
tramite banche offshore nei paradisi fiscali e che siano sotto
indagine da parte delle autorità competenti).
Nel momento in cui quei bond
furono messi sul mercato, il governo islandese possedeva il 100% delle
tre nuove banche. Rappresentando l’interesse nazionale, lo Stato islandese
progettava di girare ai debitori anche il grado di svalutazione con
cui rilevò i titoli dalle vecchie banche. Questa è la definizione
di “valore di mercato”: il più basso prezzo di mercato in quel
dato momento. Si intendeva tener conto della reale capacità dei proprietari
e degli imprenditori di ripagare i prestiti che erano divenuti “impagabili”
dal momento che la valuta locale era crollata e i prezzi delle importazioni
cresciuti di conseguenza.
Il Fondo Monetario Internazionale entrò
in scena nel novembre del 2008, consigliando al governo di ricostruire
il sistema bancario in maniera che contemplasse le misure per assicurare
il valore di mercato del patrimonio e ottimizzare il recupero dei crediti.
Il Governo creò tre nuove banche “buone” dalle rovine degli istituti
di credito falliti, trasferendo i prestiti dalla vecchie alle nuove
banche con uno sconto del 70% al fine di rispecchiare appunto il valore
di mercato dei tassi di interesse e degli asset obbligazionari,
stabilito attraverso il parere di una commissione super partes.
Gli “avvoltoi” divennero poi proprietari
di due delle tre banche islandesi. Su consiglio del FMI, all’epoca
il governo sottoscrisse un accordo così approssimativo e privo di vincoli
che concesse agli istituti di credito una licenza di caccia nei confronti
dei proprietari e degli imprenditori islandesi. I fondi agirono cooptando
il modus operandi che le agenzie finanziarie e le banche americane
utilizzano quando acquistano debiti tossici come quelli legati al credito
al consumo, i prestiti bancari o i mancati pagamenti da parte dei clienti,
obbligazioni che tali operatori acquistano al prezzo stracciato del
30% incalzando poi i debitori al fine di spremergli tutto ciò che possono,
con le buone o con le cattive.
Questi “accattoni” del sistema
finanziario sono la rovina di molti stati. Ma il pericolo ora è rappresentato
dalla loro scalata internazionale al vertice del potere fino al punto
di essere nella posizione di schiacciare intere economie con il conforto
della legalità.
Il caso islandese ha una sua speciale
peculiarità. Per legge i mutui islandesi e molte altre tipologie di
credito al consumo sono legati all’indice dei prezzi e quindi all’inflazione
galoppante. I creditori hanno il diritto non solo di richiedere il 100%
del valore nominale dei titoli ma possono anche aggiungervi l’adeguamento
all’inflazione. Migliaia di proprietari di case affrontano ora la
povertà e la perdita della proprietà poiché i loro debiti, in alcuni
casi, sono più che raddoppiati a causa del crollo della valuta locale
e della conseguente inflazione. Ma il FMI, il governo islandese e la
Corte Suprema hanno sostenuto l’indicizzazione dei tassi d’interesse
usurai delle principali tipologie di prestiti per timore che il ristrutturato
sistema bancario andasse di nuovo in malora.
Questo non era ciò che ci si
aspettava. Nel 2009 il governo di sinistra in carica negoziò un
accordo con i creditori per collegare i pagamenti dei prestiti alla
nuova valutazione scontata. Su suggerimento del FMI, il governo consegnò
nelle mani dei creditori delle vecchie banche il controllo dei
tassi di interesse dei debiti delle nuove banche. Lo scopo era quello
di limitare al minimo il costo di rifinanziamento del sistema bancario
e non quello di far crollare l’economia. I prestiti furono trasferiti
dalle vecchie alle nuove banche dopo il collasso del 2008 con uno sconto
del 70% per rispecchiare il loro ormai svalutato prezzo di mercato.
Questa riduzione doveva essere trasferita ai debitori (proprietari di
case e piccoli imprenditori) che vedevano gonfiarsi i propri debiti
a causa dell’indicizzazione dei prestiti all’inflazione dei prezzi
al consumo.
Ma la sopravvivenza dell’economia
non è il principale interesse degli aggressivi fondi di investimento
che avevano preso il posto delle banche creditrici degli istituti islandesi.
Invece di trasferire le riduzioni delle valutazioni ai proprietari ed
agli altri debitori, essi stanno rivalutando verso l’alto il capitale
dei prestiti. Le loro assurde pretese stanno comprimendo l’economia
all’interno di un vestito che le sta stretto. La ristrutturazione
del debito invece di prendere la piega che si sperava sta preparando
la scena per una nuova crisi bancaria.
Qualcosa si deve pur fare. Ma per l’economia
islandese, non certo per i fondi avvoltoio. Il FMI insiste affinché
il governo si astenga dall’intervenire, mentre il gradimento degli
islandesi nei confronti dell’esecutivo è crollato a circa il 10%
della popolazione a causa della sua incapacità di destreggiarsi di
fronte alle sparate dei nuovi creditori.
Le nuove banche hanno tagliato i debiti
delle maggiori aziende le cui costanti operazioni finanziarie hanno
loro consegnato il ruolo di vacche da mungere per i fondi avvoltoio.
Per quanto riguarda invece i mutui, acquistati al 30/50% del loro valore
nominale, essi sono stati rivalutati fino al 100%. Le aspettative dei
proprietari sono evaporate in un istante. Il governo non è intervenuto
accettando l’affermazione da parte delle banche di non disporre delle
risorse sufficienti per garantire un significativo aiuto nei confronti
dei proprietari mutuanti. In tal modo i giganteschi impagabili debiti
rimangono su i libri contabili a prezzi di trasferimento che sono una
manna per i predatori finanziari e che condannano i debitori ad un decennio
o più di equity negativa.
Completato il lavoro preparatorio,
per i fondi avvoltoio è ora arrivato il momento di monetizzare
attraverso la vendita dei titoli ai nuovi prezzi di mercato entro la
fine dell’anno. Le nuove banche hanno mantenuto a galla le proprie
vacche grasse, ovvero le grandi aziende, camuffando le loro equity tramite
titoli di credito al consumo che non possono essere pagati se non al
costo di mandare in bancarotta l’economia.
C’è la netta sensazione che il governo
islandese sia stato inibito dall’agire come un onesto broker dal momento
che le lobby bancarie hanno lavorato con degli insider trading, sostenuti
dal FMI, per procurare ricchi profitti ai creditori.
Il problema sta assumendo dimensioni
mondiali. Molti paesi europei e anche gli Stati Uniti affrontano il
problema del fallimento dei loro istituti di credito e della crisi del
sistema bancario. Come risponderanno il FMI e la BCE? Prescriveranno
le stesse ricette del modello islandese di collaborazione fra i governi
e i fondi di investimento? O dovrebbero consentire ai governi di esercitare
il potere per resistere ai profittatori internazionali dei fondi avvoltoio
comminando loro sanzioni in risposta alle loro assurde richieste?
La pericolosa politica che affronta
l’Europa
Una crisi economica è l’equivalente
finanziario di una conquista militare. Essa rappresenta un opportunità
per le elite finanziarie di ottenere profitti prima che giunga il tempo
dei pignoramenti. Costituisce per loro una possibilità per rubare la
scena alla politica ed affermare le proprie istanze divenute ormai inesigibili
e falsamente riferite a un modello di mercato. La retorica populista
è manovrata ad arte per spostare il generale e diffuso malcontento
nei confronti della finanza ed utilizzarlo per scatenare i cosiddetti
“perdenti” l’uno contro l’altro e non verso i veri colpevoli.
Questo è l’obiettivo cui tutti
questi anni di propaganda finanziaria hanno mirato. I neoliberisti hanno
persuaso l’opinione pubblica a credere che le banche servano ad “oliare
le ruote del commercio” ovvero fornire il flusso di credito vitale
che porta nutrimento alle parti attive dell’economia. Solamente durante
condizioni di crisi come questa le banche possono guadagnare da ciò
che è divenuto un fittizio accumulo di posizioni debitorie. L’ eccessiva
crescita dei mutui, crediti d’impresa, prestiti agli studenti, carte
di credito revolving ed altre tipologie di debito è fasulla in quanto
in condizioni normali non c’è modo che i debiti vengano onorati.
I pignoramenti non sono sufficienti
poiché la maggior parte delle proprietà in America ha subito
un equity negativa fino ad un quarto del proprio valore originario.
E in Irlanda il valore di mercato delle proprietà immobiliari copre
solamente il 30% del valore nominale dei mutui. Così si rende necessario
il salvataggio. Le banche scambiano i loro debiti tossici con il governo
in cambio di debito pubblico. La Federal Reserve ha sistemato più di
due trilioni di dollari di swap di proprietà delle amiche banche. Le
banche hanno ricevuto titoli di stato o depositi liquidi delle banche
centrali in cambio dei loro debiti tossici accettati al loro valore
nominale anziché a quello di mercato.
Almeno negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna, la banca centrale può stampare tanta valuta locale quanta
è necessaria per pagare gli interessi e garantire la liquidità
dei titoli di stato. Le agenzie governative possono quindi sostenere
la posizione dei creditori che affrontano faccia a faccia i debitori
insolventi.
Oppure compiere un’altra scelta. Le
agenzie governative possono cercare di incassare l’intero ammontare
del debito (o almeno il massimo possibile) come nel caso della Fanny
Mae e della Freddie Mac negli Stati Uniti oppure possono vendere i debiti
tossici ai fondi avvoltoio ad una frazione del loro valore nominale.
Dopo il collasso del settembre 2008,
il governo islandese sostituì gli istituti di credito falliti con nuove
banche di sua proprietà create dalle ceneri delle vecchie. Gli obbligazionisti
originari delle banche islandesi avevano svenduto i loro titoli nei
mercati a prezzi stracciati. I compratori erano i fondi avvoltoio. Allo
stesso tempo questi ultimi divennero i proprietari di fatto delle vecchie
banche dal momento che gli azionisti furono spazzati via. Ad ottobre
l’autorità monetaria governativa nominò i nuovi consigli d’amministrazione
per controllare le banche. Furono costituite tre nuove banche e contestualmente
tutti i depositi, i mutui e gli altri prestiti bancari furono trasferiti
a queste nuove e più robuste banche con un considerevole sconto. Queste
nuove banche ricevettero l’80% degli asset mentre il restante 20%
rimase di proprietà delle vecchie banche.
Dopo di che ai proprietari delle vecchie
banche fu dato il controllo delle nuove (87% e 95% rispettivamente).
I proprietari di queste nuove banche sono considerati avvoltoi non solo
per il notevole sconto a cui ricevettero gli asset finanziari e i crediti
delle vecchie banche, ma soprattutto perché avevano già ottenuto il
controllo delle vecchie banche a prezzi stracciati.
Il risultato è che il governo
invece di mantenere il controllo delle nuove banche lasciando andare
in bancarotta le vecchie si è tenuto in disparte ed ha consentito ai
fondi avvoltoio di raccogliere i frutti di quelle immense fortune ed
ora minaccia di far cadere a picco l’Islanda in una cronica austerità
finanziaria. Col senno di poi nulla di tutto ciò era necessario. La
domanda è: che cosa può fare ora il governo per uscire dal casino
in cui si è cacciato dando ingenuamente ascolto ai consigli del FMI?
Negli Stati Uniti le banche che hanno
ricevuto denaro federale dal programma TARP (Troubled Asset Relief Program)
si riteneva dovessero rinegoziare i crediti con gli intestatari dei
mutui al fine di ridurre il valore dei debiti al prezzo di mercato e/o
in proporzione alla capacità di pagamento dei debitori. Questo non
fu fatto. Ugualmente in Islanda si supponeva che i fondi avvoltoi, compratori
dei debiti tossici delle vecchie banche, dovessero trasferire la riduzione
del valore dei titoli ai debitori. Neanche questo fu fatto. Infatti
le principali tipologie di prestiti continuarono ad essere valutati
verso l’alto mantenendo il tipico modello islandese di indicizzazione,
progettato per salvare le banche dalle perdite – in altre parole questo
significa mandare in sofferenza l’intera economia, persino condannarla
ad un fatale attacco di austerità, al fine di ottimizzare le entrate
dei banchieri e salvare i loro profitti. Tutto ciò significa per gli
avvoltoi ottenere un immensa fortuna da debiti tossici comprati per
pochi spiccioli.
Questo è anche il futuro dell’Europa?
Se così, l’attuale crisi finanziaria rappresenterà una manna dal
cielo per i fondi avvoltoio e per le banche in generale. Mentre nei
secoli passati i crack finanziari hanno spazzato via i profitti e le
pretese dei creditori (titoli, prestiti etc.) che rappresentano il rovescio
della medaglia dei “cattivi” prestiti, oggi stiamo vedendo che tali
debiti tossici sono mantenuti sui libri contabili ma le banche e i proprietari
dei titoli che hanno fornito prestiti inesigibili sono salvaguardati
a spese dei contribuenti.
Non è così che ci si aspettava
funzionasse la democrazia guidata dal riformismo parlamentare nel 20esimo
secolo. All’inizio del 21esimo secolo si riteneva che i partiti socialdemocratici
e laburisti prendessero le redini del sistema bancario portando il mercato
del credito lungo un percorso di pubblica utilità. Ma oggi, dalla Grecia
all’Islanda, i governi stanno agendo addirittura come esattori per
conto del sistema finanziario – come ben esprime il movimento
“Occupy Wall Street” (l’1% dei ricchi non il 99% dei poveri).
L’Islanda costituisce la prova generale
per questo furto di sovranità. Il Fondo Monetario Internazionale e
il governo islandese hanno tenuto una conferenza a Reykjavik il 27 ottobre
per festeggiare questo apparente successo nella ricostruzione dell’economia
e del sistema bancario islandese.
Negli Stati Uniti, la crisi che il
Capo di Stato Maggiore di Obama Rahm Emanuel festeggiò come “troppo
bella per lasciarsela scappare” sarà coperta diminuendo la spesa
per la sicurezza sociale e la sanità non appena l’orologio dell’apocalisse
comincerà a correre e la super commissione del Congresso formata da
12 membri (con il Presidente Obama che si riserva il 13esmo voto in
caso di contesa) raggiungerà l’accordo per far pagare alla working
class i debiti di Wall Street. Il piano di austerità greco serve appunto
come prova generale per gli Stati Uniti, con il Partito Democratico
a giocare il ruolo del Partito Socialista greco che sta sostenendo le
misure di austerità arrivando fino al punto di espellere dalle proprie
fila i leader laburisti che si oppongono al loro diabolico doppio gioco.
Fonte: Vulture Funds Gorge on Stricken Economies
14.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCO SCURCI