Crisi e lotta di classe nell’Eurozona
DI VICENTE NAVARRO
Counter Punch
Per comprendere la situazione nei paesi
alla periferia dell’Unione Europea – quattro paesi all’interno dell’Eurozona,
Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna -, dobbiamo capire il contesto
politico che hanno in comune. Tutti sono stati governati da dittature
fasciste o simil-fasciste (Spagna, Portogallo e Grecia) o da regimi
autoritari di destra (Irlanda) per gran parte del periodo che va dalla
fine degli anni ’30 – inizio degli anni ’40 fino ai tardi anni ’70.
Questa storia è generalmente ignorata nelle analisi che parlano di
questi paesi.Comunque, condividono una storia che
ne ha determinato la natura, una variabile critica per capire il comportamento
economico di questi paesi. I loro stati sono stati molto repressivi.
Anche oggi questi paesi hanno il più grande numero di poliziotti ogni
10.000 abitanti dell’UE a 15. Un’altra caratteristica comune è il loro
livello molto basso delle entrate redditi statali e le loro politiche
fiscali altamente regressive. Le entrate dello stato sono molto più
basse della media UE-15: approssimativamente 34% del PIL in Spagna,
37% in Grecia, 39% in Portogallo e il 34% in Irlanda, paragonati alla
media dell’EU a 15 del 44%, al 54% della Svezia, il paese dell’UE-15
in cui la sinistra ha governato più a lungo. Le basse entrate fiscali
sono il risultato di politiche estremamente regressive. La classe dei
più ricche e la classe media dell’alta borghesia non pagano imposte
allo stesso livello e intensità di quelle della maggior parte dei paesi
centrali e settentrionali dell’UE a 15, la conseguenza di una storia
di governo dei partiti di estrema destra. Ci sono stati ovviamente dei
progressi da quanto sono terminate le dittature. Ma il dominio delle
forze conservatrici nella politica e nella vita civile di questi paesi
spiega perché le loro entrate fiscali siano ancora così basse.
Per questo i settori pubblici in Portogallo,
Irlanda, Grecia e Spagna sono estremamente sottosviluppati. E i welfare
state hanno fondi scarsi e molto limitati, sia per i trasferimenti
(pensioni) e servizi pubblici (cure mediche, istruzione, servizi di
asili nido, servizi di assistenza a domicilio, servizi sociali
e altri). Ci sono altri indicatori che suggeriscono la stessa tendenza.
Un esempio è dato dalla spesa sociale e pubblica in percentuale del
PIL, che è più bassa in questi paesi della media dell’UE-15 (27%):
in Spagna il 22,1%, in Grecia il 25,9%, in Portogallo il 24,3% e in
Irlanda il 22.1% (paragonato al 29,3 della Svezia). Un altro esempio
è fornito dalla percentuale della popolazione adulta che lavora nel
settore pubblico del welfare state, ancora più basso della media
dell’UE-15 (15%): Spagna, 9%; Grecia, 11%; Portogallo, 7% e Irlanda,
12% (paragonati alla Svezia, 25%). In effetti, la percentuale della
Grecia sarebbe tre punti più alta, perché includerebbe il personale
militare, che rappresenta circa il 30% degli impiegati pubblici.
La specificità dei regimi politici
Quindi, in questi quattro paesi non
è stata data nella letteratura economica molta attenzioni al fatto
di essere stati governati da forze ultra-conservatrici. L’influenza
di queste è stata enorme. È anche importante da enfatizzare che le
forze conservatrici in questi paesi periferici sono diverse da quelle
delle nazioni settentrionale e centrale dell’UE-15. Non appartengono
a tradizioni democratiche perché sono eredi di regimi fascisti o autoritari.
Anche oggi, dopo circa trenta anni di democrazia, queste forze continuano
a essere molto influenti nei quattro stati, anche quando sono governati
da partiti democratiche e socialdemocratici. Per fornire un esempio,
la Corte Suprema di Spagna ha portato il giudice Baltasar Garzon, che
era un membro della Corte, in tribunale per aver osato indagare sui
crimini commessi dal regime di fascista del generale Franco. Non è
ben compreso fuori dalla Spagna quanto siano ancora influenti all’interno
dello stato spagnolo le forze di estrema destra. Dominano la cultura
politica in molti modi differenti, anche con il controllo dei media
più diffusi. Non ci sono media di sinistra o di centro-sinistra
in Spagna, o negli altri paesi di questo gruppo.
Il dominio dello stato da parte di
forze ultra-conservatrici ha notevoli conseguenze oltre al livello basso
di entrate statali, alle politiche fiscali regressive e al sottosviluppo
del welfare state. Il reddito di lavoro, espresso in percentuale
del reddito nazionale, è in calo dal 1992, quando queste politiche
sono state perfezionate (anche da governi socialdemocratici) per poter
entrare nell’Eurozona. Questa diminuzione nei redditi è avvenuta
più rapidamente in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna rispetto alla
media dell’UE-15, ed è stato particolarmente forte in Spagna, con
un calo dal 70% al 61% del reddito nazionale, nonostante un aumento
nella percentuale della popolazione adulta occupata.
Come già indicato, una conseguenza
del dominio delle forze conservatrici, con un forte limite alle riforme
pubbliche, approvato e poi perfezionato dai governi socialdemocratici
fin dai primi anni ’80 -, è data dalle politiche fiscali regressive,
e per questo l’impatto degli interventi statali sulla redistribuzione
dei redditi è stato molto limitato. Ad esempio, in Spagna, fino alla
fine del 2009 il livello di povertà (il 60% del reddito medio) è calato
solamente di 4 punti dopo la realizzazione degli interventi statali:
dal 24% al 20% dopo questi trasferimenti. La media dell’UE-15 è diminuita
dal 25% al 16%, la percentuale di povertà in Svezia dal 27% a 13%.
Il ribasso delle percentuali di povertà dovuta ai trasferimenti pubblici
in Spagna è il più basso dell’UE-15. Un altro indicatore dell’impatto
limitato degli interventi redistributivi statali è dato dai coefficienti
Gini di tutti e quattro paesi, che sono più alti dell’UE-15, mentre
la media è del 29,2. Il coefficiente Gini della Spagna è del 31,3,
lo stesso dell’Irlanda, quello della Grecia è del 34,3 e il Portogallo
ha il più alto con il 36,8.
Come la crisi è venuta a crearsi
Un’altra caratteristica di questo gruppo
di paesi è l’accettazione da parte dei partiti socialdemocratici al
governo della maggior parte delle politiche neoliberiste adottate per
l’introduzione dell’UEM. Questa accettazione è stata comune a tutti
i partiti socialdemocratici dell’Unione Europea. E, in effetti, questi
partiti hanno fatto parte del consenso per le politiche neoliberiste
sviluppiste, a cui ci si riferisce di solito col nome di “consenso
di Bruxelles”, la versione europea del “consenso di Washington”.
Seguendo questa linea, sia i partiti al governo liberal-conservatori
che quelli socialdemocratici hanno ridotto le tasse, particolarmente
per le classi più abbienti. È stato proprio il candidato dei
socialisti nelle elezioni spagnole del 2004 (diventato poi primo ministro),
Jose Luis Rodriguez Zapatero, che promise di ridurre tasse nel caso
di una sua elezione, dicendo che abbassare le tasse era una causa principe
della sinistra. L’intellettuale più in vista del partito socialista
spagnolo in quel periodo era Jordi Sevilla, un economista che scrisse
nel suo libro, “Il Futuro del Socialismo”, che “la sinistra aveva
smesso di alzare le tasse e di incrementare la spesa pubblica”, dicendo
questo dal paese dell’UE-15 con il più basso livello di entrate fiscali
e con il welfare state più sgangherato.
La riduzione delle tasse negli ultimi
15 anni ha portato a un deficit pubblico e strutturale che è
stato mascherato dalla rapida crescita economica dovuta alla bolla dell’edilizia,
a sua volta provocata dal centro industriale bancario-immobiliare. Quando
la bolla è scoppiata arrestando l’economia, il deficit pubblico
e strutturale è apparso in tutta la sua dimensione. I deficit
pubblici in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna erano il risultato
del declino delle entrate statali, non dell’espansione delle spese
pubbliche. Questo è il motivo per cui le politiche statali di questi
governi sono assolutamente sbagliate. Stanno tagliando la spesa pubblica,
presumendo, erroneamente, che la causa del passivo sia dovuta a una
sua crescita abnorme.
Argomenti usati per giustificare i tagli alla spesa pubblica
Lo slogan più utilizzato per
giustificare questi tagli è: “Il paese ha vissuto oltre le sue
possibilità”. Personaggi politici importanti di questi quattro
paesi affermano che il loro settore pubblico è più grande
di quanto riescano a sostenere. Ma i dati segnalano un’altra cosa.
In Spagna, ad esempio, il PIL pro capite è il 94% della media
dell’UE-15, ma la spesa sociale e pubblica pro capite è solamente
pari al 72% della media dell’UE-15. Visti questi dati, lo stato spagnolo
dovrebbe avere 66.000 miliardi di euro in più, e quindi la Spagna dovrebbe
avere le risorse necessarie. Il problema è che lo stato non le raccoglie,
perché le sue politiche fiscali sono molto regressive e l’evasione
è tanto diffusa nei gruppi ad alto reddito e nelle grandi aziende economiche
e finanziarie. Va detto che in Spagna il settore bancario è il maggiore
responsabile dell’evasione fiscale. È stato scoperto quest’anno
che il signor Botin, il banchiere più in vista del paese (presidente
del Banco di Santander, la terza banca al mondo per utili, dopo due
banche cinesi) aveva 2 miliardi di euro in un conto bancario in Svizzera
non dichiarato, fino a che due informatori della banca non ne hanno
parlato alla stampa. Frodi simili sono una pratica generalizzata. Gli
ispettori delle tasse del Ministero dell’Economia spagnolo stimano
in 88,6 miliardi di euro la somma che lo stato non raccoglie a causa
dell’evasione fiscale.
Come e quando la crisi si è intensificata
Prima di una crisi finanziaria c’era
una crisi economica, dovuta fondamentalmente ai ribassi dei redditi
da lavoro in percentuale del reddito nazionale. Le politiche neoliberiste
si sono sviluppate dagli anni ’80 (ancor di più nel corso degli ultimi
quindici anni e implementate da varie tendenze politiche, tra cui la
socialdemocratica, in Spagna, Grecia, e Portogallo) hanno avuto un forte
effetto sulla distribuzione dei redditi, accelerando la concentrazione
delle entrate nelle classi più agiate. Il calo delle entrate derivanti
dal lavoro hanno diminuito il potere di acquisto delle classi popolari,
costringendole a indebitarsi per mantenere il loro standard di vita.
E il credito era relativamente facile da ottenere, perché i valori
immobiliari stavano aumentando e venivano offerti mezzi diversificati
per avere un prestito offrendo la casa in garanzia. La crescita del
settore creditizio (e finanziario) era dovuta al ribasso del reddito
da lavoro. Ma questo stesso ribasso stava creando un grosso problema
per la domanda e per i profitti limitati generati nell’economia.
Con questa redditività limitata
nell’economia produttiva, i super-ricchi, i ricchi e l’alta borghesia
hanno investito nei settori che avevano i ritorni più alti, specialmente
negli immobili. La deregolamentazione del settore bancario (e quella
dei piani regolatori edilizi) nel corso degli anni ’90 ha provocato
la bolla dell’immobiliare, provocata dalle industria bancaria e edilizia.
In Spagna questo settore era il motore principale della crescita economica
ed è stato fu sostenuto da autorità centrali e locali, visto che gli
enti locali erano finanziati principalmente dalle tasse di proprietà.
A incentivare l’espansione del settore
edilizio è stato anche l’afflusso di immigrati, la cui popolazione
è aumentata dal 4% al 10% solamente in dieci anni. L’edilizia ha
raggiunto il 10% del PIL e questo settore ha generato la gran parte
(molto mal pagata) dei lavori. Il “miracolo” spagnolo della
creazione di posti di lavoro era basato sui grandi investimenti di un
settore speculativo dell’economia. Ed è stato provocato dal debito.
Questa è la causa dell’enorme debito privato spagnolo, che è stato
facilitato dall’introduzione dell’euro, molto più stabile nell’economia
della moneta che è andato a sostituire. L’introduzione dell’euro
ha notevolmente incrementato le dimensioni del settore finanziario nei
quattro paesi periferici dell’eurozona. Quando la bolla è scoppiata,
tutta l’economia a credito si è fermata.
Le origine politiche del debito
pubblico
In questi quattro paesi si è
intrecciata un’alleanza tra le classi più abbienti (i super-ricchi,
i ricchi e l’alta borghesia, le cui tasse sono state ridotte negli
ultimi quindici anni) e le banche da un lato, e lo stato dall’altro.
Il frutto di questa alleanza è stata la riduzione delle tasse che hanno
creato il deficit pubblico e strutturale, mascherato dalla crescita
economica all’interno della bolla.
Il ribasso delle entrate fiscali (conseguenze
dei tagli alle imposte) ha costretto gli stati a prendere a prestito
le somme mancanti dalle banche, dove i ricchi hanno depositato i propri
soldi risparmiati grazie alla riduzione delle tasse. L’indebitamento
degli stati e il bisogno di prendere denaro in prestito di riferisce
chiaramente alla riduzione delle tasse. Quando l’economia si è fermata
in seguito allo scoppio della bolla, il deficit pubblico e strutturale
divenne evidente. Il passivo in percentuale del PIL è aumentato sostanzialmente
in tutti e quattro paesi dal 2007 al 2009. La Spagna è passata da un
surplus dell’1,9% del PIL nel 2005 a un passivo dell’11,1% nel 2009,
la Grecia da un deficit del 6,4% nel 2007 al 15,4% del 2009, con l’Irlanda
passata dallo 0% al 14% nello stesso periodo. In tutti questi paesi
la crescita rapida del deficit di bilancio era dovuta alla natura estremamente
regressiva delle entrate fiscali. Siccome la gran parte del prelievo
era sui redditi da lavoro e sul consumo, quando l’occupazione è diminuita
e il consumo è precipitato, il deficit pubblico è salito alle stelle.
Soluzioni mai prese in considerazione
La risposta neoliberista a questa situazione,
che comporta tagli per la spesa pubblica, sta peggiorando la situazione
perché riduce la domanda. I sindacati hanno descritto giustamente il
neoliberismo come l’ideologia delle banche e dei grandi datori di lavoro.
I media più forti sostengono questa dottrina, basata più sulla
fede che sulla pratica. Alla radice del problema è il potere di classe
e il suo compimento attraverso lo stato.
Se Spagna realizzasse le stesse politiche
fiscali della Svezia, lo stato spagnolo ricaverebbe 200 miliardi di
euro in più di quanto fa ora. Con quei miliardi potrebbe creare cinque
milioni di nuovi posti di lavoro (in modo particolare nel welfare
state sottosviluppato, nel servizio sanitario nazionale, nell’istruzione,
negli asili nido e in altri servizi sociali). Se fosse impiegata in
questi servizi una su quattro delle persone in età lavorativa (come
accade in Svezia) invece di uno su dieci (come ora in Spagna) in Spagna
si creerebbero 5 milioni di posti di lavoro, eliminando la disoccupazione:
5 milioni sono più o meno il numero di persone attualmente senza lavoro.
Un secondo punto è che lo stimolo
fiscale realizzato nel 2008 dalla maggior parte dei governi di questo
gruppo di paesi era fondamentalmente basato su tagli alle tasse e ai
trasferimenti. Solo una parte minuscola dello stimolo è andato alla
creazione di lavori (attraverso gli investimenti degli enti locali).
In nessuno di questi paesi si è incentivata l’economia con la creazione
di posti di lavoro. Inoltre, la riduzione del deficit è stata realizzata
tagliando la spesa pubblica, non aumentando le imposte. La Federazione
europea dei sindacati ha proposto metodi alternativi per ridurre il
deficit, in primo luogo aumentando le tasse, invertendo la tendenza
degli ultimi 15 anni. Comunque, il potere di classe è l’opposizione
più forte per queste politiche alternative. Un lavoratore dipendente
in Spagna paga il 74% delle tasse pagate da un suo collega in Svezia.
La quota rappresentata dall’1% dei redditi più alti è invece solo
del 20% rispetto alle tasse pagati dai loro omologhi svedesi. Questo
spiega benissimo le politiche fiscali estremamente regressive dei quattro
paesi periferici dell’Europa a 15 e l’enorme resistenza per il cambiamento
delle classi dominanti.
Il problema del debito pubblico è
quindi fondamentalmente politico, non economico o finanziario. La situazione
attuale è indifendibile perché le classi dominanti europee e i loro
alleati, il comando dell’UE (“la troika”: il Consiglio Europeo,
la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea) sta cercando di
ridurre il potere del lavoro usando l’argomento della “pressione
dei mercati finanziari”, il cui obbiettivo è quello di far accettare
al lavoro sacrifici enormi che le classi dominanti auspicano da molti
anni. In Spagna, per esempio, il governo socialista sta tagliando la
spesa pubblica che, oltre a colpire negativamente la crescita economica
riducendo la domanda, sta ferendo le classi popolari. I partiti alla
sinistra dei socialisti al governo hanno chiaramente evidenziato che,
per ogni taglio alla spesa pubblica il governo potesse ottenere molte
più entrate aumentando alcune imposte, che non colpirebbero la gran
parte della popolazione. Per di più, hanno dimostrato che le entrate
provocate da queste tasse potrebbero creare posti di lavoro nel settore
pubblico sottosviluppato, specialmente nel welfare state.
Un altro problema è che, a questo
punto, nessuna forza maggiore della sinistra ha chiesto l’uscita dall’euro.
Va spiegato che l’Europa è stata da sempre un punto di riferimento
per le forze democratiche e progressiste. Per esempio, in Spagna sotto
la dittatura fascista, Europa voleva libertà, democrazia e stato sociale.
L’attrazione per l’Europa ora sta calando, anche se non molto velocemente.
Per questo, la gran parte del dibattito è centrata sulla correzione
della regressività fiscale stato e sullo sviluppo di politiche espansive
per poter incentivare la crescita economica e la creazione di posti
di lavoro. In Spagna alcuni settori della sinistra non credono che questo
sia è possibile, prendendo il caso di Mitterrand come esempio che un
paese non può adottare politiche espansive. Deve essere dimostrato
che si tratta di qualcosa di sbagliato, anche le polizze espansive a
livello europeo aiuterebbero molto. Ma questo è assai improbabile che
accada, visto l’adesione delle maggiori istituzioni dell’UE a dogmi
neoliberisti.
Il movimento degli Indignados
Nel frattempo, è comparso un
movimento nuovo che ha sorpreso un po’ tutti. Inizialmente promosso
dai giovani disoccupati, ha attirato un sostegno enorme della maggioranza
della popolazione. Il suo obbiettivo primario è quello di denunciare
l’assenza della democrazia, in Spagna e ovunque in Europa, mostrando
come i governi stiano prendendo decisioni senza un mandato della popolazione.
Questo movimento sta andando alla radice del problema: la natura della
democrazia e quello che le istituzioni democratiche rappresentano. In
Spagna il governo è chiaramente preoccupato da questo movimento. Il
candidato del partito socialista al governo, sperando di succedere a
Zapatero (il presidente spagnolo con il minore gradimento popolare del
periodo democratico), ha richiesto un incremento della tassazione dei
banchieri e delle banche per cercare di risolvere i problemi fiscali
dello stato (È una cosa importante perché questa iniziativa proposta
è una risposta alla rabbia popolare contro il settore bancario e la
classe abbiente). È stato chiarito che la borghesia finanziaria e industriale
ha usato la “pressione dei mercati finanziari” per fare quello che
ha sempre desiderato: indebolire il lavoro. E quello che sta minacciando
davvero il palazzo è che tutti i sondaggi mostrano una simpatia enorme
per questo movimento popolare, anche per larga parte dei partiti conservatori.
Vedremo quello che potrà accadere.
Fonte: Crisis and Class Struggle in the Eurozone
19.08.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE