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La Redazione

 

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GUERRA ENERGETICA

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A cura di Das schloss
Il 23 Maggio 2006
110 Views
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DI MICHAEL HIRSH

La nascita della nuova elite dell’energia globale significa che i prezzi del petrolio e del gas non caleranno.

E’ il mantra della folla della globalizzazione. Nell’economia globale dei nostri giorni, ci dicono, tutto quello che importa realmente è quale paese produce i cervelli e le qualità migliori. Dopo tutto il mondo è piatto. Il campo di gioco è livellato. Falso, falso, falso. Quello che importa, lo stiamo imparando ora, è anche chi controlla le risorse energetiche mondiali. L’improvvisa recente decisione di Evo Morales, di nazionalizzare le industrie di gas naturale boliviane è stata solo l’ultima preoccupante mossa di una tendenza che esiste da tempo. Morales, presidente di sinistra eletto lo scorso Dicembre, è stato apparentemente influenzato dall’incontro che ha avuto all’ Havana lo scorso sabato col presidente venezuelano Hugo Chavez, che è stato lanciato al centro delle attenzioni internazionali facendo la stessa cosa con l’industria petrolifera del suo paese. Il presidente Chavez, seduto in cima ad una pila crescente di petrodollari, si è allegramente fatto sberleffi dei tentativi di Washington di rimetterlo in carreggiata. Similmente, il presidente Iraniano Mahmoud Ahmadinejad sta continuando ad arricchire uranio e si beffa dei ricatti dell’Occidente. Ovviamente crede di poterlo fare, forse per il fatto che nessuno ha mai minacciato di sospendere l’esportazione di petrolio dall’Iran come effetto delle sanzioni.

Lo zar potenziale di questa nuova elite dell’energia è Vladimir Putin. Avendo speso la miglior parte dei suoi sei anni in ufficio strappando il controllo delle vaste risorse di gas e petrolio della sua nazione, il presidente Russo sta ora usando il pugno di ferro coi poteri politici. Quando Putin ha parzialmente tagliato i rifornimenti dei gas all’Ukraina e di conseguenza all’ Europa Occidentale all’inizio dell’anno “soprattutto per imporsi sul presidente Ukraino Viktor Yuschenko perchè accettasse un prezzo inferiore” l’Unione Europea è entrata in una situazione di panico quasi totale. Secondo l’ Energy Charter Secretariat di Bruxelles, entro il 2020 l’Europa Occidentale prenderà la metà del suo fabbisogno energetico dalla Russia, che detiene il 28 % delle riserve mondiali di gas, più di qualunque altro paese al mondo. Improvvisamente gli europei si sono accorti che non ci sono poi molte fonti alternative. Il monopolio del gas controllato dal Kremlino di Putin, Gazprom, ha assunto il predecessore del Cancelliere tedesco Angela Merkel, cioè Goerhard Schroder, come consulente. Il vice amministratore generale di Gazprom, Alexander Medvedev, all’inizio del mese ad un forum economico ha ammesso che persino l’azienda di bandiera britannica, Centrica, poteva essere considerata un possibile obiettivo da rilevare. “Con la nostra attuale potenza finanziaria è molto difficile trovare una compagnia che non sia sulla nostra lista”.

Quindi cosa hanno a che fare tutte queste pompose geo-strategie con l’aumento dei prezzi ai distributori? Intanto l’incertezza creata da Iran, Iraq e Venezuela ha aggiunto un premio di rischio di 10-20$ al prezzo del petrolio al barile, secondo gli analisti di Wall Street. Anche le politiche energetiche non mostrano niente di buono per i prezzi futuri, come sembrava suggerire il Segretario all’Energia Americano Sam Bodman la settimana scorsa quando ha detto che gli Americani potrebbero doversi abituare a pagare 3$ in più al gallone per il gasolio.

Oggi, gli esperti di gas e petrolio in giro per il mondo sono in allarme, non tanto per la scarsità delle risorse, il fatto che abbiamo già raggiunto il “picco del petrolio” è assodato, bensì si preoccupano di chi controllerà le preziose risorse. All’aumentare della domanda di energia in tutto il mondo, ce n’è sempre meno disponibilità e sempre meno luoghi ancora da esplorare. Questo è dovuto in parte al crollo degli investimenti creato dal declino del prezzo del petrolio negli anni ’90. Ma anche perchè le corporazioni multinazionali come ExxonMobil (nonostante i profitti record) al momento possiedono solo il 6 percento delle risorse, contro l’esorbitante 77 percento che è attualmente posseduto da entità statali, secondo quanto riferito dal Petroleum Finance Corp., un gruppo di consulenza con base a Washington. Il controllo statale garantisce meno efficienza nella ricerca di nuovi pozzi di petrolio, e nell’estrazione e nella raffinazione del carburante. Inoltre, queste compagnie statali non divulgano quanto realmente possiedono, o quali siano i numeri reali di estrazione ed esplorazione. Questi sono diventati i nuovi segreti di stato.

Piano piano a Washington si sta cominciando a comprendere questo slittamento dei poteri mondiali. La botta dei prezzi subito dopo l’Uragano Katrina, per non parlare “dei numeri pesantissimi nei sondaggi riguardanti Bush”, ha portato gli ufficiali amministrativi a capire quanto fosse diventata fragile la sicurezza economica Americana per colpa dell’energia. Niente del genere era accaduto dall’embargo dell’OPEC del 1973. Fonti amministrative dicono che l’effetto Katrina, così come la preoccupazione per le mosse di Chavez, era alla base della sorprendente dichiarazione di Bush riguardo ad una America “petrolio dipendente”.

Allo stesso tempo, Ufficiali Americani sono arrivati a realizzare che c’è una profonda rabbia e inimicizia al Kremlino nei confronti degli Stati Uniti (specialmente per gli sforzi statunitensi per portare l’Ukraina e la Georgia all’Occidente), e che Putin ha un suo programma. Un esempio: anche se Mosca si è unita agli sforzi occidentali per affrontare Teheran sul programma nucleare, Russia e Iran fanno muro comune contro il tentativo Americano di costruire un oleodotto trans-caspico che dirotterebbe il petrolio fuori dal sistema russo di Baku, Azerbaijan.

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Putin ha cullato a lungo l’ambizione di usare le vaste risorse di gas e petrolio della Russia come strumento di potere. Alla metà degli anni ’90, dopo 15 anni al KGB, Putin è tornato a scuola, frequentando l’Istituto Minerario di San Pietroburgo. Ha scritto la tesi dal titolo “Verso una Compagnia Energetica Transnazionale Russa”. L’argomento: come utilizzare le risorse energetiche per ambiziosi piani strategici. C’è motivo di credere che il confronto così pubblicizzato di Putin con Mikhail Khodorkovsky, il precedente proprietario della defunta Yukos “l’ultima delle grandi aziende private dell’energia in Russia”, sia stato riguardo a qualcosa di più che lo strappare il potere politico alle così dette oligarchie, ex apparatchiks, funzionari, che guadagnarono il controllo delle risorse russe dopo il collasso dell’Unione Sovietica. Putin non è famoso per essere corrotto o particolarmente affamato di potere. Ciò di cui è affamato, e lo è stato dal 2000, è la restaurazione del potere e dell’influenza della Russia. Alcuni osservatori ritengono che il fragoroso arresto di Khodorovsky, che passerà i prossimi anni nei campi di lavoro della Siberia, sia avvenuto principalmente per prendere il controllo del settore energetico, piuttosto che per tagliare fuori un rivale politico.

Si sta cercando di dire che il petrolio e le risorse di gas sono divenute le nuove armi strategiche del 21esimo secolo. Ma per uno sguardo attento questo non è vero. Come ha imparato Putin dal suo tentativo fallito di tagliare fuori il gas dell’Ukraina, e come sta imparando anche Ahmadinejad, quando minacci di tagliare fuori i tuoi clienti l’unica cosa che tagli è il tuo naso. Devi vendere petrolio a qualcun altro; altrimenti il greggio è solo melma nera. Il controllo dell’energia conta veramente nell’accumulare ricchezza, e quindi potere ed influenza. Come dice l’ex sottosegretario di Stato Marc Grossman “La domanda è, che cosa ci stiano facendo con tutti quei soldi.”

L’amministrazione Bush può pensare di avere un asso nella manica in Iraq. Gli interessi statunitensi ovviamente giacciono nei vasti giacimenti di petrolio Iracheni, che si dice siano i più grandi del mondo. Il Ministero iracheno del petrolio ha firmato circa 40 memorandum di accordi, molti dei quali con compagnie americane, secondo fonti dell’industria. Grazie a questi, le grosse compagnie come ExxonMobil, Chevron e ConcoPhillips danno consulenza tecnica gratuita al ministro (una tipica strategia delle industrie per mettere un piede nella porta). Messo alla prova ad una consultazione congressuale in Marzo, il comandante della CENTCOM il Generale John Abizaid è stato franco nel suggerire che, mentre il petrolio non era la ragione per cui l’America è andata in guerra, fornisce però un valido motivo per restare. “Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno un interesse vitale in questa regione ricca di petrolio”, ha detto Abizaid. “Questo interesse consegue direttamente dal libero fluire di ricchezze e risorse dalle quali dipende la prosperità dei nostri paesi e di chiunque nel mondo.”

Ma dopo questi tre anni di rabbia esplosiva contro l’occupazione americana, sarebbe folle pensare che il governo Iracheno non sarà affetto dal morbo del nazionalismo che si sta diffondendo in tutto il mondo, in quella che sembra essere la crescita di antiglobalizzazione e sentimenti anti americani. “Credo che ci sia un’alta possibilità che le compagnie Americane abbiano una posizione significativa in Iraq,” dice J. Robinson West, capo della Petroleum Finance Corp. “D’altra parte credo che sia altamente improbabile che il settore petrolifero sarà dominato dalle compagnie Americane. Noi non siamo andati in guerra per il petrolio, e credo che dopo tutto questo tempo non vorremo che sembri che l’abbiamo fatto per questo.” Il portavoce della ExxonMobil Russ Roberts aggiunge, “Il petrolio Iracheno appartiene agli Iracheni, se gli Iracheni decideranno che vogliono l’aiuto delle compagnie internazionali per sviluppare le loro risorse, allora la ExxonMobil sarà certamente interessata a partecipare.”

Cosa significa tutto questo? “Benvenuti nell’era dell’insicurezza energetica,” dice West, ex ufficiale dell’amministrazione Reagan (e anche amico di Cheney, l’uomo che considerò interrompere la conservazione dell’energia un “merito personale”). “In tutto il mondo la produzione impennerà. Il risultato saranno prezzi astronomici, con un enorme, sostanziale shock economico. Non ci sarà più lavoro. Senza azione, la crisi porterà certamente a rivalità energetiche, se non a vere e proprie guerre energetiche. Vasti capitali si sposteranno, probabilmente via dagli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni la politica Statunitense ha scoraggiato la produzione ed incoraggiato il consumo. Se continuiamo ad esitare, pagheremo un prezzo terribile, l’equivalente economico di un uragano di categoria 5. Katrina era 4.”

Washington sembra essere altrettanto incompetente nel prepararsi alla crisi quanto lo è stata per Katrina. Come si è visto nelle ultime settimane, il congresso si sta ancora perdendo su proposte sciocche come un rimborso di 100 $ ai consumatori di gasolio. Ma i leader Repubblicani si tirano indietro quando si tratta di sostenere proposte che facciano una reale differenza, come ad esempio una nuova tassa sulla benzina che cambierebbe le abitudini nel consumo Statunitense e aumenterebbe seriamente gli standard del CAFE (corporate average fuel-economy), che richiede che i produttori di automobili raggiungere un chilometraggio medio. Con il Partito Repubblicano che affronta una dura lotta per il controllo del Congresso, misure del genere sono considerate troppo dannose politicamente. Ci sarà, comunque, molto più dolore per gli Americani alla fine di questa strada che mette tutto nelle mani di Putin e dei suoi alleati ricchi di energia.

Michael Hirsh
Fonte: http://www.msnbc.msn.com/
Link: http://www.msnbc.msn.com/id/12617717/site/newsweek/
3.05.06

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di AJRAM

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