DI KRISTEN CHICK
Information Clearing House
Le forze di sicurezza hanno ucciso
almeno 29 persone mentre le proteste di Piazza Tahrir entrano nel quarto
giorno. Gli Stati Uniti sono sotto attacco per aver appoggiato la giunta
militare malgrado la promessa di sostenere la democrazia e i diritti
umani.
Il tentativo degli Stati Uniti di posizionarsi
a sostegno della democrazia e dei diritti umani in Medio Oriente è
messo a repentaglio dalla percezione sempre più diffusa che Washington
appoggerà senza riserve la giunta militare egiziana nonostante la crescente
repressione.Questa considerazione si è rafforzata
ieri, dopo che la dichiarazione della Casa Bianca sugli scontri tra
manifestanti e forze di sicurezza sembrava incolpare allo stesso modo
entrambe le parti per gli scontri, in cui, da sabato, sono morti almeno
29 manifestanti.
Il portavoce della Casa Bianca Jay
Carney ha detto che gli Stati Uniti sono “profondamente preoccupati”
per la violenza e la “tragica perdita di vite” e ha
chiesto “moderazione a tutte le parti in causa, affinché
gli egiziani possano progredire per forgiare un Egitto forte ed unito.”
L’appello alla moderazione di “tutte
le parti“, dopo vari giorni di uso eccessivo della forza da
parte di poliziotti e soldati, è stato appreso con incredulità al
Cairo. Le forze di sicurezza hanno sparato non solo gas lacrimogeni
e pallottole di gomma, ma cartucce da caccia e munizioni di guerra contro
manifestanti che lanciavano pietre e bombe Molotov.
“Dovremmo smettere di morire?
È così che potremmo riuscire a moderarci?”, ha affermato con
sarcasmo la manifestante Salma Ahmed, mentre gli spari risuonavano in
tutta la piazza Tahrir.
Negli ultimi mesi gli ufficiali militari
dell’Egitto hanno aumentato gradualmente la repressione, torturando
impunemente, incarcerando i blogger, inviando più di 12mila persone
davanti ai tribunali militari, facendo un uso eccessivo della forza
contro i dimostranti, uccidendo decine di persone. Ma, mentre gli abusi
si susseguono, gli Stati Uniti si sono astenuti dal riprendere le forze
militari egiziani, ma gli 1,3 miliardi di dollari di aiuti concessi
dagli USA potrebbero essere sospesi se al Congresso prevarranno le critiche.
Il silenzio relativo di Washington ha dato l’impressione che gli Stati
Uniti siano ritornati alla politica dell’era Mubarak, chiudendo un
occhio di fronte agli abusi del suo a alleato per poter preservare le
relazioni.
“Non possiamo dare l’impressione
di aver dato un assegno in bianco al Consiglio Supremo delle Forze Armate
(SCAF)”, ha detto Michael Wahid Hanna, membro della Century
Foundation di New York: “Se non ci sarà
un cambio di rotta, gli Stati Uniti si troveranno in una posizione molto
difficile perché sembrerà che non abbiano appreso alcuna lezione dalla
Primavera Araba. E così torneremo da dove siamo partiti, appoggiando
la stabilità per il bene della stabilità
stessa, assistendo alla continuazione delle stesse pratiche che hanno
provocato le rivolte.”
Perché
gli Stati Uniti hanno evitato di criticare in pubblico
In maggio, mentre le rivoluzioni e
le sollevazioni si diffondevano nel mondo arabo, il presidente Obama
pronunciò un discorso, promettendo il suo appoggio alla lotta
per la libertà in tutta la regione: “Dopo decenni di accettazione
dello status quo nella regione, abbiamo l’opportunità
di far nascere le cose nel modo giusto. […] Gli Stati Uniti si oppongono
all’uso della violenza e della repressione contro i popoli della regione.”
Nei mesi seguenti gli USA rilasciarono
poche dichiarazioni in cui vennero criticati i processi militari e il
fatto che l’esercito non avesse revocato la legge di emergenza, uno
strumento di repressione odiato sotto la presidenza di Mubarak. Più
di recente, il tentativo dei militari di ottenere maggiori poteri e
di garantirsi di non dover rendere conto alla società civile portò
la Segretaria di Stato Hillary Clinton a pronunciare un avvertimento
indiretto ai generali.
Comunque, gli Stati Uniti si sono fatti
sentire davvero poco in pubblico per condannare la repressione e l’uso
della violenza da parte dei governanti egiziani. La reticenza è radicata
nella paura di perdere contatti e influenza col consiglio militare in
questi tempi delicati di transizione. Sembra anche che i funzionari
statunitensi abbiano deciso che i militari siano l’unico collante
che possa tener ferma una situazione instabile per quanto riguarda la
sicurezza, essendo l’Egitto confinante con l’alleato chiave, Israele,
e avendo il controllo del Canale di Suez, un corridoio marittimo fondamentale.
Alcuni egiziani sono dell’idea che
la politica degli USA di non voler correre rischi per preservare i contatti
è una ritirata. Il signor Hanna ha affermato che gli Stati Uniti hanno
un’influenza sufficiente per poter svolgere un ruolo più costruttivo
senza mettere in pericolo le relazioni con i governanti militari. E,
indipendentemente dalle possibilità, dovrebbe affermare chiaramente
che non approvano la repressione”, ha detto: “Penso che, anche
se le circostanze non consentono di ottenere un cambiamento politico
radicale o di poterlo influenzare,
è importante che mostriamo i nostri punti fermi, perché
è importante dire chiaramente quali sono le cose su cui non siamo d’
accordo.”
Una maggiore influenza nelle
conversazioni private?
I funzionari statunitensi hanno contatti
continui con i generali, e possono ritenere di poter esercitare una
maggiore influenza in privato, dove alcuni ritengono che abbiano di
recente incrementato i propri appelli.
Il portavoce aggiunto del Dipartimento
di Stato, Mark Toner, ha riferito in una dichiarazione scritta a Monitor,
rilasciata prima degli ultimi scontri, che gli Stati Uniti hanno parlato
del tema del diritto in conversazioni private avute con i dirigenti
egiziani.
“Come per qualsiasi
altro paese, stiamo inoltrando con regolarità
le nostre preoccupazioni sui diritti umani in Egitto, sia in pubblico
che in privato“, ha detto. Ci stiamo “anche impegnando
in aiuti all’Egitto mentre percorre la strada che porta alle elezioni
democratiche.”
Ma i funzionari degli USA hanno espresso
pubblicamente la propria fiducia nella capacità e nelle competenze
del consiglio militare per controllare il periodo di transizione.
Gli Stati Uniti “non possono ottenere
tutto ciò che desiderano“, ha detto Heba Morayef, una ricercatrice
di stanza al Cairo per Human Rights Watch. “Gli Stati
Uniti non possono mantenere il loro approccio degli ultimi mesi di totale
fiducia nei confronti dello SCAF e allo stesso tempo sollevare problematiche
su temi specifici come la legge di emergenza o i processi militari.
Dovranno fare una scelta tra l’appoggio allo SCAF e le voci che sono
a sostegno delle riforme.”
Ha definito la dichiarazione di lunedì
spaventosa. “Penso che quell’affermazione mostra una totale
mancanza di comprensione della situazione sul terreno, o ci indica qualcosa
di più sinistro, ossia, ancora una volta, un appoggio incondizionato
allo SCAF a costo delle vite dei manifestanti“, affermando
di credere alla prima interpretazione.
Gli egiziani agli Stati Uniti:
Via le mani dal nostro paese!
Non è chiaro se i funzionari
statunitensi abbiano preso in considerazione la percezione popolare
di simili dichiarazioni. Hanna del Century Foundation ritiene
che non riescano a comprendere come viene percepita la politica degli
USA nelle strade: “Ritengo che ci sia una forte distanza di
percezione che i responsabili politici degli Stati Uniti non riescono
a superare, perché non capiscono che fondamentalmente la gente vede
la sua politica come una replica dell’era Mubarak, che
è stato sostituito dallo SCAF.”
A complicare ancora di più l’atteggiamento
degli Stati Uniti, l’atteggiamento che prevale in Egitto è quello
di una decisa opposizione all’interferenza straniera. Molti egiziani,
stanchi di trent’anni durante i quali hanno pensato che Mubarak stesse
facendo il gioco degli USA a spese dell’interesse nazionale, speravano
che i nuovi dirigenti intraprendessero una via più indipendente dopo
la sollevazione. In questo contesto, molti non desiderano proprio sentire
alcun pronunciamento degli Stati Uniti.
“Rifiutiamo qualsiasi intervento
straniero”, ha detto Mohamed Abdullah, un manifestante di piazza
Tahrir, dopo che gli è stato chiesta cosa pensasse della posizione
degli USA verso i governanti del suo paese: “Vogliamo che gli Stati
Uniti ci lascino tranquilli, che si tengano in disparte.”
Fonte: US Backs Egypt’s Military as Tahrir Square Crackdown Continues
22.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE