DI VOLKER BAHL
Fonte: Nachdenkseiten.de
Un deficit fondamentale degli intellettuali tedeschi nel dibattito sull’attuale crisi europea è l’astrarsi dalle sua cause economiche e di conseguenza il non proporre soluzioni efficaci per disinnescare la minaccia di una crisi dell’euro. La crisi economica viene interpretata in alcuni interventi recenti di Jürgen Habermas e di Heribert Prantl, soprattutto come una crisi delle istituzioni. Questo approccio è troppo limitato. Le istituzioni europee e la loro legittimità democratica, infatti, sono sempre più subordinate al “protettorato” della dottrina economica dominante.
Sia il filosofo Jürgen Habermas che il giornalista e giurista Heribert Prantl in questi mesi hanno speso parole enfatiche a favore della sopravvivenza dell’Unione europea (e questo riceve certamente il mio pieno appoggio). Tuttavia, i due vanno alla ricerca di una soluzione alla crisi attuale seguendo una direzione a mio avviso poco promettente. E questo perché rimangono all’interno di una prospettiva limitata. Riducono la “più grande crisi economica mondiale” da ottant’anni a questa parte, a degli errori e dei difetti istituzionali. Questo modo di pensare il ruolo delle istituzioni che ignora il dinamismo economico sottostante ha una lunga tradizione soprattutto in Germania. Già di fronte alla grande crisi economica degli anni Trenta mancava nei paesi di lingua tedesca qualcuno che proponesse un’adeguata elaborazione della crisi economica, come invece fecero John Galbraith o Charles Kindleberger, tra gli altri, nei paesi anglosassoni. Anche le conseguenze politiche della crisi economica mondiale – almeno in Germania – sono state raramente analizzate da un punto di vista economico.
Così, in una recente conferenza all’Università Humboldt di Berlino sulla questione fondamentale di come potrebbe essere superata questa crisi finanziaria, economica e del debito dovuta alla deregolamentazione dei mercati finanziari, Habermas nel suo intervento si è limitato a parlare dei problemi istituzionali e di legittimazione all’interno dell’Unione europea, evitando di esprimersi riguardo ad un superamento politico-economico della crisi europea.
Per Habermas il problema sta in primo luogo nei deficit democratici e identitari di un “progetto d’élite” che hanno causato uno sbandamento anti-sociale dell’Europa; per Prantl il problema sono soprattutto le legislazioni economiche europee e il conflitto giurisdizionale della Corte di giustizia europea o, come ha dichiarato alla Süddeutsche Zeitung del 2/3 luglio 2011: “una separazione delle competenze tale per cui l’Unione europea si occupa di economia e di concorrenza e gli Stati-nazione delle politiche sociali non può funzionare se l’Unione europea propaganda soprattutto la libertà di mercato e di concorrenza e vengono messe in secondo piano le politiche sociali degli Stati membri, perché in questo modo le politiche sociali nazionali vengono considerate come ostacoli che devono essere spazzati via dal motto: facciamo largo alla libera circolazione dei servizi, delle merci e dei capitali ed eliminiamo tutto ciò che la disturba”. Secondo Prantl anche la Corte di giustizia europea del Lussemburgo sarebbe ferma a questo modo di pensare. Agirebbe e giudicherebbe spesso come fosse una corte Corte di giustizia della Comunità economica europea, senza essersi accorta che la Comunità “economica” europea si è nel frattempo trasformata in “Unione” europea. La libertà imprenditoriale apparterrebbe per essa – come nel primo capitalismo non regolamentato – alle libertà principali e fondamentali, perciò il diritto di sciopero sarebbe un disturbo che si giustifica solo in casi eccezionali. I diritti sociali fondamentali quindi, secondo Prantl, non trovano un tutore nella più alta corte dell’Unione europea.
Sul sito Nachdenkenseiten (da cui anche questo articolo è tratto n.d.t) è stato analizzato di recente in modo molto intelligente come la sinistra (marxista) finisca con il legarsi alle dottrine economiche di destra (neoliberali) non solo nello svalutare le azioni politiche, ma anche e soprattutto nel sostenere, come la scuola di pensiero economica dominante, che sia impossibile o comunque dannosa (per i mercati) la progettazione politica. Vige il motto:” L’economia determina comunque tutto, perciò le azioni politiche sarebbero non solo inutili, ma addirittura controproducenti.”[…]
Gli intellettuali, al contrario, vogliono incitarci a trovare una soluzione “naturale” alla crisi dell’euro e alla conseguente crisi dell’Unione europea all’interno delle categorie delle istituzioni politiche e venirne a capo o evitarla in futuro soprattutto con l’aiuto di una migliore legislazione e di un’adeguata giurisprudenza.
Sarebbe invece necessario risistemare questo pensiero istituzionale dalla testa ai piedi: tutte le proteste e l’indignazione possono avvicinarsi ai loro obiettivi democratici e sociali soltanto se l’attuale crisi potrà essere determinata politicamente attraverso delle adeguate soluzioni alla crisi economica – insieme naturalmente ai suoi presupposti istituzionali (ma sempre a patto di un tale mutamento di rapporti!). Questo richiederebbe una reazione politica (statale) ed economica adeguata all'”incertezza del mercato” (Keynes).
Un approccio puramente istituzionale risulta insufficiente. Senza un’analisi delle cause economiche e senza una critica delle soluzioni (economiche) scelte fino ad ora, c’è il pericolo che a partire da questa crisi prenda piede un'”azione di guerra” competitiva e che gran parte dell’Europa (come già la Grecia o il Portogallo) e infine l’intera Europa si trovi a sottostare al “protettorato” della dottrina economica propugnata dalla troika dell’FMI, della BCE e della Commissione europea. Le “istituzioni” politiche europee insieme alla loro legittimazione democratica diventerebbero a quel punto nella migliore delle ipotesi una farsa.
Nota di Wolfgang Lieb: Mentre Habermas e Prantl almeno sostengono l'”idea europea”, Hans Magnus Enzensberger sulle pagine della Frankfurter Allgemeine Zeitung fa i conti in maniera populista con la “burocrazia delle banane” di Bruxelles e si unisce al coro sciovinista degli Wilder, dei Le Pen o dei “Veri finlandesi”. Enzensberger vede Bruxelles come un “asino” e non ne può più della sua rottura “di scatole”. Tra i “rompiscatole” (il termine utilizzato è più forte n.d.t), oppure – come lo chiama lui – dietro al “mostro mite” di Bruxelles si nascondono però niente meno che i governi nazionali di Berlino, Parigi etc. La critica di Enzensberger è un esempio della miseria in cui gli intellettuali tedeschi sono recentemente affondati.
Fonte: Das Denken in Institutionen – Eine spezifisch deutsche Ideologie
25.08.2011
Articolo scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da EULALIA