GLI ECOLOGISTI SONO INTERESSATI A SAPERE CHI CONTROLLA LE RISORSE PETROLIFERE?

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DI MARK WEISBROT
Sin Permiso

Gli ecologisti si stanno rendendo conto di essere interessati a contrasti simili a quello esistente tra l’Ecuador e la Chevron Corporation. L’azienda petrolifera statunitense si è recentemente affidata a un collegio arbitrale internazionale per evitare di pagare una multa di svariati miliardi, promulgata dai tribunali ecuadoriani. La multinazionale dovrà pagare i danni causati dall’inquinamento di cui è responsabile? La maggior parte degli ecologisti pensa che questa sia la cosa più giusta.

Cosa dire invece delle lotte per il controllo delle risorse tra le gigantesche multinazionali petrolifere e i governi degli stati produttori di petrolio? Le persone che si preoccupano per l’ambiente e il cambiamento climatico hanno qualche tipo di interesse per queste battaglie? Sembra di sì, ma in molti ancora non lo hanno notato.Nel dicembre dell’anno scorso, la Exxon Mobil ha vinto una causa contro il governo venezuelano per gli attivi che quest’ultimo aveva nazionalizzato nel 2007. In realtà questa è stata una vittoria per il governo del Venezuela: la Exxon aveva fatto causa per 12 miliardi di dollari, ma ha ottenuto solo 908 milioni. Dopo aver sottratto i 160 milioni di dollari che la Corte aveva affermato spettassero al Venezuela, la Exxon ha concluso con una sentenza da 748 milioni di dollari. La decisione è stata presa da un collegio arbitrale della Camera di Commercio Internazionale (ICC). Il 15 febbraio il Venezuela ha pagato alla Exxon 250 milioni di dollari dando così per conclusa la questione.

Il caso è stato ritenuto importante tra gli analisti dell’industria petrolifera, ma non ha ricevuto molta attenzione altrove. Alcuni retroscena: la controversia è nata quando il governo venezuelano ha deciso di avere maggior controllo sull’estrazione del petrolio, in conformità con la legislazione. Nel 2005 comincia a negoziare con delle compagnie petrolifere straniere in modo da poter comprare sufficienti quantità di attivi per poter così ottenere maggior controllo. Quasi tutte le negoziazioni cominciate con le compagnie hanno avuto successo, solo con la Exxon e la ConocoPhililps è arrivato all’arbitrato (la ConocoPhilips sta ancora negoziando).

Di certo non è politicamente rilevante per nessuno stare dalla parte dell’OPEP (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) [OPEC, “Organization of the Petroleum Exporting Countries” nella dicitura inglese. N.d.r.], dei paesi ricchi, consumatori di petrolio. Ma la maggior parte degli ecologisti è disposta ad appoggiare alcune politiche, anche una carbon tax. Inoltre, gli ecologisti, dovrebbero riconoscere di avere un qualche tipo di interesse riguardo i contrasti esistenti per il controllo dei combustibili fossili e altre risorse naturali tra gli Stati produttori e le multinazionali.

La Exxon ha adottato l’esempio del Venezuela come strategia in modo che nessun governo possa provare ad infastidirla. Ha fatto ricorso ai tribunali europei per congelare 12 miliardi di dollari di attivi venezuelani. Ma è stato revocato tutto nel giro di poche settimane. È anche ricorsa ad un arbitrato con la Corte Penale Internazionale e con il collegio arbitrale internazionale della Banca Mondiale (ICSID, Centro Internazionale per il Regolamento delle Controversie relative ad Investimenti), quest’ultimo, rimasto ancora in sospeso. Tuttavia la Corte gli ha concesso molto meno di quello che il governo venezuelano aveva ipoteticamente offerto durante le trattative. La decisione è stata presa fortemente in considerazione dagli specialisti dell’industria petrolifera, ed è stata considerata dai paesi in via di sviluppo come una vittoria importante. Ma questa notizia non ha suscitato una particolare attenzione dei media.

Si tratta di un importante precedente. Anche se naturalmente, altri paesi continueranno ad avere dei conflitti con le compagnie petrolifere per il controllo delle risorse. Ma perché tutto ciò dovrebbe interessare agli ecologisti? Be’, per quelli come noi a cui piacerebbe veder diminuire l’accumulo dei gas serra nell’atmosfera, piacerebbe lasciare più petrolio nel suolo. Questa è la ragione per la quale la maggior parte degli ecologisti sostiene la carbon tax, perché farebbe aumentare il prezzo delle sue emissioni. L’ insistenza del Venezuela nel voler partecipare a questi progetti, è dovuta al fatto che in questo modo sarebbe in grado di controllare maggiormente la produzione. Il Venezuela fa parte dell’OPEP, ed è coerente con le norme dell’organizzazione. Se si desidera ridurre il cambiamento climatico, bisogna anche sapere se i governi che vogliono diminuire la produzione di petrolio, sono davvero in grado di farlo.

Un prezzo più alto del petrolio dovuto ad una ridotta produzione da parte dei paesi produttori riduce il consumo proprio come farebbe una carbon tax. Inoltre, incoraggia lo sviluppo di alternative, come le tecnologie solari ed eoliche, che diventano economicamente convenienti quando il prezzo del petrolio sale (certamente, prezzi più alti spingerebbero i paesi no OPEP a produrre più petrolio e i paesi OPEP ad imbrogliare nei cartelli. Una carbon tax non avrebbe lo stesso effetto, ma questo sarebbe un argomento che renderebbe la OPEP più forte e inclusiva).

I nostri avversari avrebbero sempre voluto inondarci di petrolio meno costoso, petrolio che ovviamente accelererebbe in larga misura il surriscaldamento globale. Prima che Hugo Chávez fosse eletto in Venezuela nel 1998, la compagnia petrolifera nazionale (PDVSA) condivideva quest’idea con Washington. Ma appena fu eletto, Chávez fece pressione (con successo) sulla OPEP perché riducesse la produzione, portando il prezzo del petrolio a 11 dollari al barile. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti in un rapporto del 2002 ha ammesso di aver difeso la qualifica e il rafforzamento istituzionale, e di aver sostenuto individui e organizzazioni invischiate attivamente nel colpo di stato militare che rovesciò (per un breve periodo) il governo del Venezuela. Questo stesso rapporto ha inoltre ammesso che “l’antipatia” di Washington nei confronti di Chavez era principalmente per via “della sua partecipazione negli affari dell’impresa petrolifera venezuelana e il potenziale impatto sui prezzi del petrolio”.

Mark Weisbrot è vicedirettore del Center for Economic Policy and Research (CEPR) a Washington. Ha conseguito un dottorato in economia presso l’università del Michigan. È coautore con Dean Baker del libro “Social Security: The Phony Crisis” (University of Chicago Press, 2000). Ha scritto numerosi articoli di ricerca sulla politica economica. È anche presidente della Just Foreign Policy.

Titolo originale: “¿Les interesa a los ecologistas quién controla los recursos del petróleo?”

Fonte: http://www.sinpermiso.info
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25.03.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HELEN CAROSI

 

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