DI ALFREDO ACERO
Alainet.org
Il tappeto a quadri verde e ocra della
Valle dello Yaqui nasconde con la sua bellezza la tragedia di questa
regione del nordovest del Messico, devastata dall’uso intensivo di agrotossici
utilizzati dal modello di agricoltura capitalista che nel corso di più
di mezzo secolo ha inquinato acqua, suolo e aria, e ha colpito mortalmente
la salute delle persone.
La valle si estende in una zona di
circa 225 mila ettari di terre irrigate per gravità a sud del
Sonora, dove si coltiva principalmente grano, mais, cotone, ortaggio
e foraggi. La regione, insieme alla Bassa California, apporta il 65
per cento della produzione annuale di grano del Messico.Sono nato e ho vissuto fino alla pubertà
in un piccolo paese di agricoltori in mezzo alle terre coltivate, a
sud di Ciudad Obregón. Varie volte vidi arrivare mio padre che tornava
dal lavoro coi sintomi di avvelenamento. Guidava macchinari agricoli,
tra cui trattori con sistemi per cospargere pesticidi, defolianti e
fertilizzanti. Morì di un cancro al cervello a 61 anni appena compiuti.
Il glioma maligno terminò la sua vita in meno di sei mesi di fronte
agli occhi impotenti dei suoi cari.
L’irresponsabilità criminale
delle imprese che fabbricano e diffondono gli agrotossici è una questione
aperta. Davanti alla mancanza assoluta di informazione tra lavoratori
agricoli, utilizzatori e popolazione in generale, un “Warning!”
non è sufficiente per allertare sul tipo di materiale che stanno utilizzando.
Dopo le applicazioni senza alcun tipo di protezione, i recipienti rimangono
abbandonati e i piloti lavano i serbatoi degli aeroplani lanciando i
residui su zone popolate.
In queste aree, appena raggiungono
la statura per portare i contenitori aspersori sulla schiena o la forza
necessaria per sostenere una bandiera che indichi la strada all’aeroplano
fumigatore, i bambini fanno anche alcuni lavori agricoli per qualche
pesos, rimanendo avvolti per ore in una nuvola di veleni. Anche
se non sono vittime di avvelenamento immediato, gli effetti nefasti
per l’accumulo delle esposizioni arriveranno non molto tempo dopo.
Per quanto mi riguarda, dalla mia infanzia
ho portato nella memoria olfattiva l’odore dei defolianti come una
macabra nostalgia.
Veleni nel latte materno
Si dice che è meglio per lo sviluppo
dell’infanzia essere alimentato con il latte del seno materno. Questa
verità medica indiscutibile non è certa per i bambini e le bambine
che sono cresciuti nella Valle dello Yaqui.
Da più due decenni è stata
documentata la presenza di pesticidi organoclorati nel latte materno
dei residenti della Valle, come documentò, ad esempio, uno studio del
1990 sulle madri lattanti di Pueblo Yaqui nel commissariato del municipio
di Cajeme. I risultati mostrarono che l’85,71 per cento dei campioni
analizzati evidenziò la presenza da 1 a 3 pesticidi. I composti rintracciati
furono: Aldrin, HCH, (lindano), DDT-tecnico e pp-DDE, rispettivamente
con una concentrazione media di 0,11, 0,17, 0,27 e 1,90 parti per milione.
L’indagine dimostrò che i livelli di lindano, DDT-tecnico e pp-DDE
erano presenti in concentrazioni superiori ai limiti stabiliti per il
latte dalla FAO e dall’OMS.
Vari studi posteriori non solo hanno
confermato questa drammatica scoperta, ma tre anni fa, in un altro studio
praticato anche in residenti di Pueblo Yaqui, si è riusciti a determinare
il passaggio dei pesticidi dalla placenta delle donne incinte ai neonati.
I campioni di sangue materno, di liquido amniotico e del cordone ombelicale
nelle donne analizzate contenevano i pesticidi alfa-HCH, gamma-HCH (lindano),
HCB, Dieldrin, Endrin e DDE.
I neonati allattati della stessa località,
a tre mesi di età, avevano nel sangue gli stessi pesticidi. Ai sei
mesi queste sostanze erano ancora presenti, ma alcune si erano trasformate
in prodotti di degradazione e le concentrazioni del lindano e del Dieldrin
avevano superato quelle rilevate nelle persone che avevano avuto una
normale esposizione.
Per completare il quadro, meno di tre
anni fa i valori ottenuti di metalli pesanti nei campioni di acqua provenienti
dalle comunità di Bácum, Pueblo Yaqui e Quetchehueca oltrepassarono
la quantità consentita dalle leggi messicane. Venne confermata anche
la presenza dei pesticidi organoclorati come il Malation e il Paration
metilico nell’acqua di drenaggio delle ultime due comunità agricole.
In base a vari studi accreditati, l’esposizione
cronica anche a basse dosi di agrotossici causa danni gravi alla salute
umana collegati alla comparsi di tumori, di alterazioni cromosomiche,
di malformazioni congenite, di affezioni al sistema nervoso e disturbi
al sistema endocrino, tra gli altri.
Poco tempo fa e senza molta convinzione,
alcune istituzioni governative e educative, pressate dall’opinione pubblica,
si sono dedicate a investigare, informare e fornire competenze, oltre
a realizzare discariche speciali per i contenitori avvelenati per poter
difendere l’idea dell’uso sicuro degli agrotossici. Il problema
è che questa idea non ha fondamento: né i lavoratori, né gli abitanti
delle zone rurali, né i consumatori dei prodotti dell’agricoltura industriale
possono trarsi in salvo dai veleni agricoli.
Una volta cosparsi, gli agrotossici
inquinano i fiumi, le falde freatiche, le coste, l’aria, il terreno
e gli alimenti. L’esposizione sugli esseri umani succede per inalazione,
ingestione e contatto.
Ogni anno ci sono in tutto il mondo
tre milioni di gravi intossicazioni a causa delle sostanze agrochimiche
e ne muoiono circa 300 mila persone.. Il 99 per cento di queste morti
avviene nei paesi meno ricchi.
Nobel per la Rivoluzione Verde
Questo disastro ambientale e umano
ha determinato in modo contraddittorio un Premio Nobel per la pace,
assegnato a Norman Ernest Borlaug, il ricercatore statunitense con le
cui tecniche di miglioramento genetico del grano, sviluppate su terreni
sperimentali con la concessione del governo messicano – in questo
caso il Centro di Ricerche Agricole del Nordest, nel cuore della Valle
del Yaqui – costituirono la base della Rivoluzione Verde.
Si trattava di un nuovo modello di
produzione agricola, favorito dalla metà del XX secolo per l’espansione
delle multinazionali agricoli, che utilizzava in modo intensivo semi
ibridi, fertilizzanti chimici, pesticidi, oltre alla meccanizzazione
estensiva del terreno. Quando finì la Seconda Guerra Mondiale, questa
fu il percorso imposto dal complesso militare-industriale per mantenere
i lauti profitti. Gli esplosivi furono convertiti in fertilizzanti azotati,
i gas mortali in pesticidi e i carri armati in trattori.
Da allora, l’utilizzo degli agrotossici
si diffuse in modo decisivo nell’agricoltura con la giustificazione
che l’incremento dei rendimenti avrebbe sconfitto la fame nel mondo.
Ma il suo uso si estese anche all’industria, nelle case e perfino nelle
campagne di salute pubblica per combattere malattie come la malaria.
Il business agricolo produsse
un cambio di approccio, ampliò la monocoltura, favorì la concentrazione
delle terre e consolidò il potere politico dei grandi produttori. Elevò
anche lo sfruttamento del lavoro, la migrazione dal campo alla città
e la disoccupazione rurale. Allo stesso tempo, incrementò il lucro
capitalista dei grandi proprietari terrieri e delle multinazionali dell’industria
chimica, metallurgica e biotecnologica. Fin dall’inizio contò su un
forte appoggio dell’apparato governativo e delle istituzioni scientifiche
e tecnologiche per imporre nuove regole per sovvenzionare le multinazionali
con il denaro pubblico.
Di pari passo con la creazione del
mito degli agrotitani – i sedicenti pionieri dell’impulso in valle
dell’irrigazione e della coltivazione – , la figura di Borlaug si elevò
fino a diventare una specie di santo laico dei grandi possidenti del
Sonora, che gli dedicarono strade, statue e riverenze a suo nome.
Chiesi a Borlaug, non molti anni prima
della fine della sua longeva esistenza, se la Rivoluzione Verde poteva
mantenere la promessa di vincere la fame nel mondo. Ammise che si era
arrivati al limite dell’incremento dei rendimenti e che era necessario
affrontare il problema con decisioni politiche. Si era agli inizi degli
anni ’90. Oggi le soluzioni alla crisi alimentare non possono più
giungere dalla tecnologia, ma dipendono da una trasformazione radicale
dei modelli di produzione, della distribuzione e del consumo di alimenti.
Ma Borlaug non ritenne importanti i
danni ambientali degli agrotossici legati all’apporto tecnologico
della sua rivoluzione.
Come esito, nel mondo ora abbiamo circa
venti grandi industrie che producono gli agrotossici, con un volume
di vendita che oltrepassa i 40 miliardi di dollari l’anno e una produzione
di 2,5 milioni di tonnellate di veleno. Le compagnie più potenti del
mercato sono Syngenta, Bayer, Monsanto, Dow Agrosciences e Du Pont.
L’America Latina è un importante e crescente mercato dove la fatturazione
per la vendita di agrotossici è cresciuta del 18,6 per cento tra il
2006 e il 2007 e del 36,2 per cento tra il 2007 e il 2008.
Un’indagine sui principali pesticidi
utilizzati nella Valle dello Yaqui, sulle quantità e l’impatto
sulla salute nel periodo 1995-1999 rilevò che gli agrotossici di maggiore
applicazione erano gli erbicidi (34%), i carbammati (27,53%), gli organofosforati
(27,53%), i fungicidi, gli organoclorati e i piretroidi. Il totale degli
ingredienti attivi riversati nella valle fu di 3.146 tonnellate e 616
chili.
Il 1998 fu l’anno in cui si usarono
più componenti, per un totale di 806 tonnellate e 123 chili. Per l’incidenza
di malattie vennero rilevate aplasia midollare, leucemia acuta, e linfoma
non Hodgkin. (Valenzuela Gómez, L. 2000. Tesi Professionale. ITSON.
Ciudad Obregón, Son.)
Un agronomo in attività, che ha preferito
rimanere anonimo, ha affermato che attualmente il pesticida più usato
è il glifosato prodotto da Monsanto e commercializzato qui come
Faena (Roundup in altre zone). Secondo uno studio recente, le formulazioni
i e prodotti metabolici del glifosato causano tuttora la morte di embrioni,
placente e di cellule ombelicali umano in vitro, anche in basse concentrazioni.
Nella Valle, secondo la fonte anonima, si continua ancora ad applicare
il Paration e il Malation. In primo – estremamente tossico – è
stato vietato in varie paesi dalla Convenzione di Rotterdam. Per quanto
riguarda il secondo, l’Amministrazione per la Sicurezza e la Salute
Occupazionale degli Stati Uniti ha stabilito un limite di 15 milligrammi
per metro cubo di aria assunto nel corso di una giornata lavorativa
di 8 ore, quindi 40 ore la settimana, una raccomandazione praticamente
impossibile da osservare.
Campagna di sensibilizzazione
Gli agrotossici possono essere definiti
come gli input dell’agricoltura industriale che sono elaborati
a partire da sostanze chimiche velenose sotto forma di insetticidi,
defolianti, erbicidi e fungicidi. Per la sua azione inquinante, si aggiungono
a in questa categoria i fertilizzanti chimici che degradano il terreno,
e i componenti si inseriscono nella catena alimentare negli estuari
e nelle baie. E devono occupare un posto anche i semi transgenici associati
all’uso intensivo dei pesticidi cancerogeni come il glifosato e alle
piante che producono il proprio insetticida.
A partire da questa definizione e con
le informazioni abbondanti che ci ragguagliano sulla forza del nemico,
alcuni giorni fa i rappresentanti di tutti i paesi che fanno parte del
Coordinamento Latinoamericano delle Organizzazioni del Campo (CLOC),
in una riunione tenuta nella scuola di abilitazione agricola della FENSUAGRO
a Viotá in Colombia, hanno analizzato questa problematica che è comune
a tutte le regioni: Cono Sur, regione Andina, America Centrale,
Nord America, Messico e Caraibi.
Si è deciso di lanciare una campagna
continentale chiamata “Gli agrotossici uccidono”. Una campagna
di educazione, di presa di coscienza e di indignazione che cerca di
sensibilizzare la società, per far estinguere il mito dell’uso sicuro
degli agrotossici e per lottare per la loro eliminazione definitiva.
La campagna deve attaccare il centro
dell’ideologia del business agricolo, colpire l’opinione pubblica
e arrivare nelle comunità e nelle famiglie. Deve essere una piattaforma
di unità tra ambientalisti, contadini, operai, studenti, consumatori
e per tutte quelli persone che desiderano una produzione di alimenti
sani che sia rispettosa dell’ecosistema.
Si deve spiegare a tutti i costi le
possibilità, la necessità e il potenziale dei nostri paesi per
la produzione di alimenti diversificati e salutari per tutte le persone,
in base all’agro-ecologia. Allo stesso modo, bisogna denunciare e responsabilizzare
le imprese che producono e commercializzano gli agrotossici, destando
nella società il bisogno di cambiare il modello agroalimentare che
produce cibo avvelenato, degradazione ambientale e lauti profitti solo
per alcuni.
Per questo si è proposto di dare
la responsabilità a un’organizzazione per ogni regione, nel caso
del Messico all’Unione Nazionale delle Organizzazioni Regionali Contadine
Autonome, integrando comitati e sottocomitati nelle diversi sub-regioni
con la partecipazione di tutte le organizzazioni della CLOC, oltre alla
nomina di una squadra di coordinamento continentale che conterà sulla
collaborazione dell’area di comunicazione della Segreteria Operativa
di stanza a Quito.
Il lancio della campagna è stato
programmato per 3 dicembre, giorno internazionale contro l’uso di pesticidi,
con un pre-lancio durante il Congresso Internazionale di Agroecologia
a L’Avana, in novembre.
È urgente iniziare a rompere il circolo
perverso di una produzione agricola dove la stessa multinazionale o
le sue filiali producono i semi, le sostanze tossiche e anche la falsa
medicina. E intanto ci portano i veleni in tavola.
Fonte: Los agrotóxicos matan
03.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE