GIOCHI DI POTERE IN MEDIO ORIENTE

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DI SOUMAYA GANNOUSHI

È diventato quasi impossibile parlare di islam o di musulmani senza far riferimento alle vaghe categorie costantemente ritoccate di moderazione ed estremismo.

Due anni fa la Rand Corporation, un think-tank vicino ai circoli che hanno potere decisionale a Washington ha pubblicato una relazione di 66 pagine intitolata Civil Democratic Islam: Partners & Resources (Islam civile e democratico: partner e risorse), che identificava tre elementi all’interno della miscela islamica, “quello tradizionalista, quello fondamentalista e quello modernista e laico”.
Il documento raccomandava una strategia per il consolidamento di questi ultimi, o comunque di coloro che sono “più vicini ai valori e alle politiche occidentali” e che sono integrati nell’ “ordine internazionale contemporaneo”.
La relazione non ha esitato ad esaltare una politica contro i fondamentalisti attraverso i cosiddetti tradizionalisti, a favore di coloro che vengono definiti modernisti laici.


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Le definizioni utilizzate non sono né imparziali né innocenti, ma sono pensate alla luce di partecipazioni e interessi stranieri. Nell’analisi dei conflitti che imperversano nella regione mediorientale non si può prescindere da questa strumentalizzazione, che trae profitto dai dissidi tra le parti, e le sfrutta tutte nel gioco più ampio delle strategie regionali e globali americane.

Ma come sta funzionando oggi questa strategia? Per trovare la risposta basta guardare l’Iraq. Nelle recenti elezioni tenute nel paese, i “modernisti” sono stati completamente battuti dagli islamici sciiti guidati dal grande aiatollah Ali al Sistani.

Hanno ottenuto una misera manciata di voti provocando una certa preoccupazione all’amministrazione americana. Mentre a Washington continuano coi giochetti, la guerra è finita e l’Iran ha vinto.

Dovunque ci saranno elezioni aperte e libere in altri paesi arabi, tenderà a ripetersi lo stesso scenario, il che potrebbe spiegare perché Washington sia sfiancata dalla trasformazione democratica nella regione araba.

Il problema della “democrazia araba” è che le forze che ne scaturiscono non sono i pupilli dell’occidente, ma forze cosiddette dalla linea dura: coloro che si impegnano per la sovranità della loro nazione oltre che per la loro terra e per le risorse.

Che lo status quo politico nel mondo arabo sia rimasto assolutamente immutato, non ha nulla a che fare con la cultura o la religione. È semplicemente il risultato di strategie di dominio che richiedono una democrazia addomesticata a servizio degli interessi nella regione.

Da ogni angolo della vivace e dinamica società civile egiziana si reclamano a gran voce riforme politiche e la fine della corruzione del regime di Mubarak in Egitto. Ma Washington e Londra preferiscono guardare dall’altra parte.

E neppure le fortissime pressioni esercitate sulla vicina Siria sono state concepite per dar vita ad una credibile alternativa democratica all’attuale decrepito governo di Damasco.

Nei corridoi di Washington e Tel Aviv si parla di un successore di Bashar al-Assad che proviene dalla minoranza appartenente alla setta alauita e che mantenga intatta l’attuale struttura del governo, ma che ne modifichi radicalmente la politica estera.

Questi cambiamenti orchestrati da quei poteri che hanno forti interessi nella strategica regione mediorientale possono solo peggiorare le cose: da regimi dispotici con un certo grado di indipendenza nazionale si passa a regimi tirannici fantoccio.

Nelle menti degli architetti della politica americana nella regione, l’equazione è fin troppo facile. Dal momento che la democrazia sembra non produrre l’alternativa desiderata, si esercitano pressioni a vari livelli sugli attuali governi, di fatto per modificare le loro politiche internazionali.


Questi governi di lunga durata, che sono espertissimi in brutalità ed inganno, hanno imparato a perfezione le regole del gioco: basta qualche ritocco cosmetico qua e là, canali di comunicazione spalancati con Tel Aviv e accordi di “libero commercio” con l’amministrazione americana e le sue multinazionali, per diventare socio a tutti gli effetti del club democratico americano. Questa è la politica perseguita attivamente in Egitto, Pakistan, Bahrain, Tunisia e Giordania, tanto per citarne qualcuno.

Non c’è niente di nuovo nella strategia di promuovere alcuni elementi islamici a spese di altri.

Le amministrazioni coloniali che si sono susseguite nel mondo arabo e islamico sono riuscite ad emarginare le masse musulmane e le loro istituzioni locali e a favorire le elite addomesticate ed occidentalizzate, alleate agli interessi e alle partecipazioni della dominazione straniera.

L’erosione dei tradizionali centri di studio ha creato un vuoto istituzionale, che ha permesso all’anarchia simbolica e culturale di regnare in gran parte del mondo musulmano oggi. In mezzo a questo caos, sono potuti venire allo scoperto personaggi oscuri come Abu Musab al-Zarqawi e Osama bin Laden ed hanno potuto arrogarsi il diritto di parlare in nome di milioni di musulmani nel mondo.

Questa politica che progetta la mappa culturale e politica islamica, passando per le tasche di elite alienate e che viene imposta alla maggioranza musulmana è alla radice della crisi nella fiducia e delle tensioni che segnano i rapporti tra il mondo occidentale e l’islam.

Invece di raggiungere le masse attraverso i loro veri rappresentanti, l’occidente si è lanciato in un futile monologo, dialogando solo con quelli che ripetono le sue parole e che parlano per i suoi interessi.

In questo discorso a senso unico, il dito è sempre puntato contro il mondo musulmano, i suoi modi di vita, le tradizioni storiche e culturali, e mai contro la complessità della realtà, con le sue lotte e i meccanismi di potere.

In quest’ottica, le conferenze per il dialogo con il “mondo musulmano” diventano un insensato esercizio di pubbliche relazioni.

Il termine dialogo implica differenza, mentre quelli che salgono sul podio e parlano attraverso i microfoni da entrambe le parti, sono spesso cloni che condividono lo stesso punto di vista, gli obiettivi e che parlano la stessa lingua.

Gli interlocutori musulmani, accuratamente scelti, parlano a nome dei loro ospiti americani o europei e dicono quello che si vorrebbe dicessero. Questi ultimi quindi possono lavarsi le mani da ogni responsabilità per le calamità, le crisi e i problemi della regione.

Un dialogo serio avviene tra forze diverse, perfino in conflitto, che sono intenzionate a cercare un compromesso e a trovare un accordo.

La verità è che se gli americani e i loro alleati europei non vogliono rivedere le loro politiche nella regione e continuano questo discorso fra sordi con un gruppetto di elite isolate e di regimi dispotici e corrotti, renderanno solamente più profondo il risentimento e la frustrazione di quelle file di uomini e donne che ormai non sperano quasi più in un cambio reale nella regione.

Bisogna inoltre ricordare che i concetti “moderato” e “fondamentalista”, non esistono a vuoto. Per oltre due secoli hanno costituito parte integrante dei conflitti freddi e di quelli violenti, che si sono svolti lungo le estese zone del mondo musulmano.

Per esmpio i clericali sciiti col turbante schierati dietro l’invasione Americana dell’Iraq.

Si dice che questi siano “moderati” “illuminati”.

Però non lo sono i clericali sciiti col turbante poche miglia più in là a Tehran. Quelli sono “pericolosi” “fondamentalisti”.

“Riforma” e “tradizionalismo”, come “moderazione” ed “estremismo” sono considerate parole chiave nel dizionario dell’egemonia globale, assoggettate alla volontà del potere, ed ai suoi instabili capricci e mutamenti.

I popoli della regione sono più che convinti della necessità di una seria riforma politica a non sono in vena di elogi della democrazia, società civile e buon governo.

La questione è invece: gli americani e gli eruopei continueranno ad essere così convinti? O la “democrazia” dell’occupazione, dell’anarchia e dei protettorati esteri su stile iracheno è l’unica alternativa?

Soumaya Ghannoushi è ricercatrice di storia delle idée alla School of Oriental & African Studies, University di Londra.

Fonte: http://english.aljazeera.net/
Link: http://english.aljazeera.net/NR/exeres/7BE451EE-4D86-4A12-8AE2-FAFCE2A2CB6F.htm
17.10.2005

Scelto e Tradotto per www.comedonchisciotte.org da OLIMPIA BERTOLDINI

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